Orchestra of Spheres al Miela: psichedelia e autoironia

di Carlo Selan

Un ritmo morbido ma allo stesso tempo rapido e ossessivo accompagnato da immagini vistose e allucinate proiettate su uno schermo, una musica che gioca a indovinare i colori dei diversi fasci luminosi che inondano il palco e che si perde in vocalizzi, rumori disturbanti accompagnati da suoni sintetici ed elettronici e da linee melodiche suonate da chitarre elettriche molto effettate e artefatte. È quasi difficile descrivere che cosa significhi veramente ascoltare dal vivo un gruppo musicale come gli Orchestra of Spherse, band neozelandese proveniente da Wellington che si è esibita il 23 novembre al Teatro Miela di Trieste. Parlare dei loro spettacoli come se essi fossero soltanto dei normali concerti sarebbe infatti altamente riduttivo. Meglio, forse, utilizzare il termine performance, più adatto a rendere l’idea di una messa in scena in cui l’aspetto sonoro conta quanto quello visivo e gestuale.

Certamente, però, si può affermare che un loro live risulta essere sempre un’esperienza inaspettata per chiunque decida di assistervi: è impossibile non rimanere spiazzati di fronte a proiezioni luminose di farfalle enormi che volteggiano dietro a quattro musicisti vestiti in maniera orientaleggiante e misteriosa, che improvvisano lunghi assoli di chitarra o di pianola sopra un ritmo percussivo quasi tribale e sciamanico. A tutto questo, poi, bisogna aggiungere delle intro musicali e delle melodie che, se a volte appaiono così solennemente cupe e cerimoniose da ricordare le sonorità dei Death in June o dei Velvet Underground di “Venus in Furs”, in altri momenti spaziano e si muovono su toni molto più psichedelici e lisergici in cui è possibile riconoscere influenze musicali tra loro diversissime, dai primi Grateful Dead ai Tame Impala, dal funk anni Ottanta al dream pop dei Cocteau Twins. D’altronde, se si guarda alle note di presentazione della band sul loro sito web ufficiale, i riferimenti musicali che loro stessi citano per descrivere la loro musica sono molteplici e differenti (quasi canzonatori), dalla psychedelic disco al polynesian no wave prog. Insomma, una musica raffinata e pensata ma, allo stesso tempo, per niente concettuale e difficile ma anzi immediata, viscerale, capace di coinvolgere fisicamente ed emotivamente l’ascoltatore spingendolo a ballare e a lasciarsi andare.

Interessante, poi, la capacità degli Orchestra of Spheres di proporre una performance musicale e visiva che, nonostante i toni orfici che spesso sembra assumere (tra Occhi di Fatima disegnati sopra le lunghe tuniche colorate dei musicisti e momenti parlati del concerto in cui la cantante sembra esprimersi come se fosse in trance), volutamente non si fa prendere troppo sul serio e riesce a rimanere scherzosa e ironica, quasi a voler dare l’impressione di come tutto quanto alla fine non sia altro che un prezioso e articolato gioco, una presa in giro che coinvolge chiunque e non risparmia nessuno. Nella loro musica, dunque, non è presente pesantezza ma neanche ostentato benessere: è come se la loro ricerca sonora fosse mossa dalla volontà di far sentire a proprio agio lo spettatore ma, nello stesso tempo, volesse anche trattarlo in maniera scomoda e non accogliente.

Il concerto degli Orchestra of Spheres è stato solo uno dei tanti interessanti appuntamenti musicali che propone il Teatro Miela di Trieste per la stagione di quest’anno. Sabato 1 dicembre, ad esempio, ci sarà il chitarrista e cantautore italiano Massimo Priviero che proporrà il suo repertorio dai toni profondamente rock, mentre il 7 dicembre sarà la volta di Machiko Suto, artista più orientata verso la musica classica che si esibirà suonando il clavicembalo.

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