di Antonio Lucci
Se l’attività di Georges Bataille come romanziere della sessualità perversa, filosofo eteroclito, teorico del sacro e della religione è (relativamente) nota al pubblico, non da ultimo per la sua vis scandalosa, forse lo è meno quella dedicata a una branca del sapere apparentemente lontana da una personalità come quella del pensatore francese: l’economia.
Eppure Bataille ha dedicato a quest’argomento molti anni di studio: ne sono testimonianza il saggio La nozione di dépense (1933), lo scritto pubblicato postumo Il limite dell’utile (redatto tra il 1939 e il 1945) e l’opera di maggior respiro La parte maledetta (1949) che raccolgono le sue riflessioni, svoltesi in più di un decennio, su questi temi.
In questi testi l’economia umana, quella che vede il suo fondamento nella (presunta) scena originaria del baratto, dello scambio, del dare e del prendere, viene descritta nei termini di un’economia “ristretta”, vale a dire di un frammento, che andrebbe compreso e ricompreso entro il quadro generale di un economia ben più ampia – “generale” – espressione con cui Bataille descrive il funzionamento “economico” su cui si reggerebbe il cosmo intero: “Sulla superficie del globo, per la materia vivente in generale, l’energia è sempre in eccesso, la questione è sempre posta in termini di lusso, la scelta è limitata al modo di dilapidazione della ricchezza” (p. 74).
Secondo Bataille l’intero universo, e quindi la vita in generale (non solo quella umana), funzionerebbe seguendo delle leggi sì economiche, ma che però sono irriducibili al principio economico “ristretto” dello scambio, al circolo dell’acquisizione e conservazione. L’universo funzionerebbe, piuttosto, seguendo un principio di dispendio “lussuoso”: a livello cosmico, infatti, viene spesa molta più energia, nella creazione della vita, di quanta ne venga prodotta, poi, dal circolo della vita stesso.
E questo sistema generale del dispendio economico è anche quello che regola la vita degli organismi animali sulla Terra: questi, infatti, mangiando, riproducendosi e morendo attuano delle forme – secondo Bataille – plateali di dispendio: “la manducazione di alcune specie da parte di altre è la forma di lusso più semplice” (p. 84), in quanto essa non solo distrugge altre forme di vita, ma neanche è, come mostra il processo trofico delle piante, l’unica modalità che si dà in natura di nutrirsi. Inoltre, dato che in natura esistono sia metodi di riproduzione non sessuata (come la partenogenesi), che forme di “immortalità” biologica (come quella dei microorganismi che si riproducono per scissione) anche la sessualità riproduttiva e persino la morte andrebbero considerate, secondo Bataille, dal punto di vista dell’economia generale, come forme di lusso: “Il lusso della morte, a questo proposito, viene considerato da noi allo stesso modo della sessualità, dapprima come una negazione di noi stessi, poi in un improvviso rovesciamento, come la profonda verità del movimento di cui la vita è l’esposizione” (p. 85).
In questo senso l’economia ristretta, da intendersi sia come il mantenimento biologico da parte del singolo delle proprie energie vitali, sia come sistema propriamente economico-monetario basato sullo scambio e sull’accumulazione di beni, non sono che un caso particolare, e del tutto limitato, rispetto all’economia di respiro cosmico appena schizzata.
L’applicazione dei principi dell’economia generale al campo degli scambi economici propriamente detti è perfettamente riassunta dal titolo del paragrafo introduttivo del saggio bataillano sulla dépense: Insufficienza del principio classico dell’utilità.
Il principio economico classico di utilità, ossia quello di produttività, non basta a spiegare il funzionamento dell’economia reale, se non attraverso una fictio che non tiene conto di una parte importantissima dell’economia reale, quella che viene definita dall’autore la parte maledetta:
L’attività umana non è interamente riducibile a processi di produzione e di conservazione, e il consumo dev’essere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall’uso del minimo necessario, agli individui di una data società, per la conservazione della vita e per la continuazione dell’attività produttiva: si tratta dunque della condizione fondamentale di quest’ultima. La seconda parte è rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l’attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse. (p. 44)
Bataille riconduce la nascita stessa dell’economia alla dépense, seguendo le analisi dedicate dall’antropologo Marcel Mauss al tema dono: non sarebbe stato il baratto la forma arcaica dello scambio, ma il potlatch. Con questo termine le scienze etnoantropologiche hanno definito il dono spropositato di ricchezze fatto al fine di obbligare, umiliare, sottomettere il donatario al prestigio di colui che dona, o addirittura la distruzione spettacolare delle suddette ricchezze, effettuata per lo stesso fine. A un potlatch doveva necessariamente far seguito un altro potlatch, di grandezza uguale o maggiore: solo in questo modo chi era stato fatto oggetto del dono poteva non sentirsi umiliato, in debito, nei confronti del donatario. E per restituire in forma aumentata il dono, venivano contratti debiti enormi, per appianare i quali venivano instaurati una serie di scambi che possono essere considerati a giusto titolo il vero e proprio motore originario dell’agire economico.
Nascerebbe così, non solo l’economia, ma anche il prestito a usura, che, sostiene Bataille, assomiglia molto al sistema di prestiti bancari delle società attuali: nelle società del potlatch, assommando tutti gli averi effettivi di coloro che si facevano prestare beni al fine di rispondere al dono obbligante, non si sarebbe mai avuto il reale importo dei beni imprestati, ma sempre di meno, esattamente come accade nel moderno sistema bancario: assommando i beni dei beneficiari dei prestiti non si avrà mai una somma pari al prestito erogato.
Dunque alla base dell’economia monetaria ci sarebbe, secondo Bataille, una questione di riconoscimento, di orgoglio: è per affermare il proprio rango sociale, per umiliare l’avversario, per ricoprirsi di gloria che si distruggono, con spettacolari ecatombi di bestiame e schiavi, con distruzioni apparentemente assurde di beni accumulati in lunghi periodi di tempo, i frutti dell’accumulazione economica, la parte più rilevante di essi. (Il riconoscimento era, tra l’altro, una tematica cara a Bataille, che l’aveva approfondita grazie al suo più importante referente filosofico, nonché amico e maestro: Alexandre Kojève, che aveva fatto proprio del desiderio di riconoscimento la chiave di lettura della Fenomenologia dello spirito di Hegel).
È la proprietà positiva della perdita, come la definisce Bataille: il fatto che la parte delle passioni, forse la parte più rilevante dell’animo umano, non sia, non possa essere, soddisfatta dal mero consumo e accumulazione dei beni prodotti. Entrano in gioco altri valori, valori propri del thymós, di quel coté umano che non risponde alle leggi dell’economia di produzione. Non a caso Bataille riporta come sia la gloria, disposizione emotiva timotica per eccellenza, un validissimo esempio di sentimento collegato alla parte dell’animo che sottostà alle leggi della dépense.
Non va fatto però l’errore, secondo Bataille, di pensare che le argomentazioni appena riportate siano valide solo per quel lontano mondo in cui valevano le leggi del potlatch.
La dépense vive, ed è costantemente presente anche (e forse soprattutto) nel mondo di oggi:
Intorno alle banche moderne, come intorno agli alberi totemici dei kwakiutl, il medesimo desiderio di offuscare gli altri anima gli individui e li trascina in un sistema di piccole parate che li acceca reciprocamente, come se fossero davanti a una luce troppo forte. A qualche passo dalla banca, gioielli, abiti, macchine attendono nelle vetrine il giorno in cui serviranno a costituire l’accresciuto splendore di un sinistro industriale e della sua vecchia consorte, ancor più sinistra. A un grado inferiore, pendole dorate, credenze per sale da pranzo, fiori artificiali, rendono servizi egualmente inconfessabili a coppie di droghieri. L’invidia da essere umano a essere umano si libera come tra i selvaggi, con equivalente brutalità: solo la generosità, la nobiltà sono scomparse e, con loro, la contropartita spettacolare che i ricchi ricambiavano ai miserabili. (pp. 52-53)
La virtù che dona (incisiva espressione di Friedrich Nietzsche) è quella che è venuta a mancare: la dépense antica si dispiegava nelle feste, nei banchetti pubblici, fino alle opere straordinarie dell’evergetismo greco-romano: strade, monumenti, opere pubbliche erano finanziati dai ricchi, dai nobili, dai potenti, solo per accrescere il proprio onore, la propria gloria; solo per appagare il proprio desiderio di riconoscimento.
Al contrario, oggi, la dépense si esaurisce nell’accumulazione di beni, nella loro esposizione o anche nella loro mera conservazione: macchine di lusso, gioielli, oggetti inconfessabili secondo Bataille.
Oggi, nell’epoca del tardocapitalismo, le analisi di Bataille appaiono forse più inattuali che mai. Che spazio ha un’economia del dono, del dispendio, della generosità fine a se stessa in una società globale in cui il sistema di accumulazione sembra essere l’unica strategia economica ad essere sopravvissuta? E, d’altra parte, non rischia forse un’economia del dono di diventare una vetrina per plutocrati à la Elon Musk, che pensano di poter risolvere individualmente, tramite enormi potlatch tecnologici, i problemi della contemporaneità?
La proposta di Bataille, tesa come una corda tra il rischio dell’assoluto oblio e quello di essere portata all’estremo, resta ancora oggi, per qualsiasi pensiero che non si accontenti della narrativa dell’accumulazione come unica risposta alla domanda sull’essenza “economica” dei rapporti umani, una provocazione e una sfida.
* Tutte le citazioni del testo sono tratte da Georges Bataille, La parte maledetta. Preceduto da La nozione di dépense. Trad. it. di F. Serna, Bollati Boringhieri, Torino 2002.