di Diletta Coppi
Quello che sta accadendo nella striscia di Gaza è un genocidio. Cominciare a usare parole corrette e mezzi di informazione validi sono dei metodi per riconoscere al popolo palestinese la legittimità di cui ha diritto. In questi giorni l’opinione pubblica sembra essere diventata un tifo da stadio: chi si schiera con Israele e chi invece no e viene subito tacciato di antisionismo. Come spesso accade a essere dimenticate sono le persone. Nella striscia di Gaza, la più subumana prigione a cielo aperto che il mondo abbia mai visto, vivono in 360 km² di terra due milioni di esseri umani, di cui più della metà ha meno di venticinque anni.
La distorsione delle notizie e la manipolazione che ne viene fatta, da sempre, provoca danni enormi. Questo intenzionale fraintendimento della storia permette l’oppressione di un popolo e legittima un regime coloniale di occupazione da settant’anni. Le menzogne che i mezzi di comunicazione mainstream diffondono sono utili a giustificare la violenza che Israele sta mettendo in atto nei confronti del popolo Gazawi bombardando indistintamente tutta la striscia compresa la frontiera di Rafah, l’unica via di uscita verso l’Egitto. Ma non solo, sono state sospese la fornitura di elettricità, di acqua, di gas e di cibo. Questa, a detta di Tel Aviv, dovrebbe essere la naturale risposta in difesa all’attacco da parte di Hamas avvenuto sabato 7 ottobre. L’assedio totale di Gaza però è proibito dal diritto internazionale e umanitario, come hanno affermato anche le Nazioni Unite.
Non esiste una giustificazione alla violenza, mai e per nessuna delle parti, ma provare a contestualizzare la situazione è tanto difficile quanto doveroso. L’attacco dei militanti di Hamas è una risposta di odio che è andato radicalizzandosi in persone che da settant’anni vivono nell’annessione illegale delle proprie terre subendo crudeltà in modo sistematico senza avere la possibilità di difendersi, senza essere riconosciuti, senza essere. Il governo di estrema destra di Netanyahu, l’espansione delle colonie, la discriminazione, la privazione dei diritti hanno contribuito a questa esplosione di violenza, negarlo sarebbe come raccontare solo una parte della storia.
Questo non deve essere letto come una giustificazione dei crimini commessi da Hamas, deve essere letto come un tentativo di inserire in un contesto storico, politico e attuale quello che sta accadendo, ma soprattutto è un invito a non cedere allo scandalo a senso unico e al doppio standard occidentale, tipico della narrazione dei conflitti, che tendenziosamente giustifica la resistenza di alcuni e definisce quella di altri come terrorismo.
Grazie Diletta. Credo ci sia il bisogno in questo momento di mettere in luce, senza scadere in tifoserie, il modo violento in cui una certa stampa (buona parte ahimé) tende a umanizzare solo una parte delle persone, delle vittime, coinvolte nei vari conflitti mondiali. Mi ha colpito molto come le vittime israeliane per i nostri giornali hanno (sacronsantamente) un volto, una foto, una storia; mentre le vittime palestinesi sembrano così distanti, puri numeri, pure notizie… ; un po’ lo stesso discorso degli abitanti del Donbass o dei profughi armeni di Stepanekert. Che dire, questa umanità a senso unico spiace, dispiace, assomiglia molto a una forma di disumanità.