di Francesca Pascale
L’immagine-movimento: cinema e realtà
L’immagine-movimento è un concetto del filosofo Gilles Deleuze, trattato nei libri L’immagine-movimento. Cinema 1 (1983) e L’immagine-tempo. Cinema 2 (1985). In questi testi Deleuze analizza la capacità che il cinema avrebbe di esprimere tempo e movimento attraverso le immagini. Il termine utilizzato dal filosofo è tratto da Henri Bergson e dal suo celebre e inaugurale saggio Materia e Memoria (1896), che sviluppa una teoria complessa e innovativa riguardo ai reciproci rapporti tra materia, memoria e percezione. Il problema principale che si pone Bergson è capire come sia possibile transitare da un ordine all’altro degli elementi che compongono questa triade. Come spiegare il fatto che i movimenti generano immagini, o a rovescio che le immagini ci abitano e – in un certo senso – ci vengono incontro come trasportate da una sorta di movimento? O ancora, che rapporto c’è tra immaginazione, prefigurazione e atti volontari/involontari?
Deleuze elabora il concetto dell’immagine-movimento in stretto accordo con le tesi di Materia e Memoria, contaminandolo con le tesi del Pasolini di Empirismo eretico. Ne L’immagine-movimento. Cinema 1 il filosofo sostiene che dalla scoperta bergsoniana dell’immagine-movimento non siano ancora state tratte tutte le conseguenze possibili (anche se critica al contempo l’approccio semplicistico di Bergson al cinema). Deleuze si incarica così di riprendere e ampliare il rapporto immagine-movimento-percezione a partire da uno studio delle esperienze estetiche legate alla settima arte. L’immagine-movimento. Cinema 1, si apre con una premessa che distingue questo testo da una (quand’anche eterodossa) storia del cinema. Lo studio di questo saggio sarebbe da intendersi piuttosto come “una tassonomia, un tentativo di classificazione delle immagini e dei segni” attraverso cui il cinema pensa la realtà.
Diversamente dalla filosofia, che pensa con concetti, i film pensano con le immagini. Sono loro a essere la carne dei film, e ad avere la cinematografica capacità di “pensare le cose stesse”. Per Deleuze nel cinema non vi è distinzione fra realtà e immagini: le immagini sono le cose, la realtà in movimento, mentre il movimento – a propria volta – non è che il rapporto tra le singole cose e il tutto. L’immagine-movimento è l’immagine dominante del cinema classico: rappresenta le traslazioni di un corpo nello spazio, ovvero il divenire, ma in modo limitato e contenuto all’interno di una struttura narrativa. Uno dei maestri dell’immagine-movimento è Orson Welles, le sue riprese esprimono spesso due movimenti complementari: uno orizzontale e lineare, che traccia una sorta di via di fuga, e uno circolare-verticale, che opera con movimenti di camera dal basso verso l’alto.
In Quarto Potere questa particolare tecnica si rivela fondamentale per caratterizzare il personaggio di Kane come moderno Gatsby: l’inquadratura che muove dal basso verso l’alto crea infatti nello spettatore una sensazione di maestosità, accentuando ed evidenziando la potenza inarrivabile del protagonista.
L’immagine-movimento è costituita da tre varietà, o altereghi: l’immagine percezione, l’immagine-azione e l’immagine-affezione. La prima rappresenta il modo in cui il personaggio percepisce il mondo circostante. La seconda mostra la relazione tra il personaggio e il suo ambiente, focalizzandosi su azioni e reazioni. L’ultima mette in evidenza le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi attraverso primi piani e dettagli espressivi. In questo tipo di cinema il tempo è subordinato all’azione e allo sviluppo della trama. Con movimenti come la Nouvelle Vague in Francia e il Neorealismo in Italia, si ha per Deleuze una svolta artistica che porta a una nuova manipolazione delle immagini cinematografiche. Neorealismo e Nouvelle Vague infatti si concentrano in particolare sul rapporto tempo-immagine, dando vita a un altro genere di immagini, che Deleuze chiamerà le immagini-tempo.
L’immagine-tempo: la rivoluzione delle immagini. [Tutte le cit. sono tratte da L’immagine-tempo. Cinema 2]
Ne L’immagine-tempo. Cinema 2, le immagini sono al servizio di un’altra forma narrativa. Nouvelle Vague e Neorealismo producono per Deleuze una profonda rivoluzione nel cinema occidentale: ne cambiano il gusto, il tipo di scrittura e persino la struttura. Se prima di tale svolta erano le immagini-movimento – specie quelle più disturbanti (come la famosa massa di volatili ne Gli Uccelli di Hitchcock) – a fare da perno e filo rosso narrativo dei film, con Godard, Truffaut, Antonioni e gli altri innovatori questa funzione è assorbita dalle immagini-tempo, che inquadrano, scansionano e colorano il tessuto narrativo in modo inedito.
Invece di mettere in scena un reale già decifrato, il Neorealismo ricrea ad arte un reale da decifrare, sempre ambiguo, sostituendo il classico montaggio delle rappresentazioni con il piano sequenza. Deleuze sottolinea poi come anche la Nouvelle Vague abbia trainato questo nuovo approccio, in particolare Jean-Luc Godard e i suoi film Fino all’ultimo respiro e Il bandito delle ore 11. “[Si consuma con Godard un] passaggio dall’allentamento senso-motorio al puro poema cantato e ballato. Queste immagini, commoventi o terribili, diventano sempre più autonome”.
Per comprendere la rivoluzione dall’immagine-movimento all’immagine-tempo è necessario per Deleuze “fare una ricapitolazione delle immagini e dei segni del cinema. Non si tratta solo di una pausa tra l’immagine movimento e un altro genere d’immagine, ma dell’occasione per affrontare un problema più complesso, quello dei rapporti tra cinema e linguaggio”. Il filosofo introduce l’idea di immagine-tempo come una fase successiva e più complessa del cinema moderno, dove l’immagine non è più strettamente legata all’azione, ma si apre a una dimensione profonda e astratta del tempo. L’immagine non cattura solo un momento specifico, ma contiene in sé una molteplicità di possibili che si snodano e moltiplicano in un tempo più interno ed esperienziale. In relazione al linguaggio, Deleuze sostiene che l’immagine-tempo, nel cinema, corrisponda a una forma di pensiero non discorsiva o aconcettuale, una modalità di espressione che trascende lo svolgimento lineare dell’azione e le tradizionali sequenze narrative.
Deleuze illustra l’immagine-tempo, tra gli altri riferimenti, attraverso il cinema di Antonioni. “Si è spesso voluto trovare l’unità della sua opera nei temi precostituiti della solitudine e dell’incomunicabilità, come caratteristiche della miseria del mondo moderno. Eppure, a suo parere, noi camminiamo con passi molto diversi, uno per il corpo, uno per il cervello”. Antonioni nei suoi film non farebbe altro, per Deleuze, che spiegare come la conoscenza non esiti mai a rinnovarsi, mentre la morale e i sentimenti tendano a rimanere prigionieri di valori sorpassati, che ci rendono schiavi cinici e alienati. Il regista italiano non critica il mondo moderno, alle cui possibilità crede profondamente, “critica piuttosto, nel mondo, la coesistenza di un cervello moderno e di un corpo stanco, consumato, nevrotico”. La cifra stilistica del cinema di Antonioni ricade perfettamente nel dualismo dell’immagine-tempo: un cinema del corpo, in grado di riporre in esso tutto il peso del passato (tutte le stanchezze del mondo contemporaneo, le sue posture, i suoi atteggiamenti), ma anche un cinema del cervello, che scopre la creatività del presente e i suoi colori, provenienti come da un altro spazio-tempo. Antonioni non è per Deleuze tanto il cantore dell’incomunicabilità, quanto più propriamente di questa doppia scissione: tra mondo e corpo, e tra corpo e cervello. Il mondo è dipinto in splendidi colori, mentre i corpi che lo popolano sono stinti e insignificanti. Il mondo attende i propri abitanti, ancora perduti nella nevrosi. Ragione in più per dare attenzione al corpo, scrutarne le stanchezze, le sintomatologie, allo scopo di trarne – infine – nuova linfe e nuove luminose tinte.
L’immagine-tempo ci fa percepire il tempo direttamente, senza doverlo concepire come subordinato al movimento. L’immagine-tempo è caratterizzata da una non-linearità: il passato, il presente e il futuro si intrecciano in modo fluido e spesso senza un ordine cronologico, creando una coalescenza temporale. In pratica, invece di seguire una progressione lineare (dal passato al futuro, passando per il presente), questi elementi temporali si sovrappongono. Per esempio, vediamo punte di presente (momenti di consapevolezza nel qui e ora) che emergono da un passato che non è mai realmente chiuso, e possiamo percepire grazie a esse il futuro come un’eventualità che ci circonda e che retroagisce sul presente. In Stalker la sospensione dell’azione e i lunghi piani sequenza di Tarkovskij, rendono il tempo palpabile e dilatato. In Mirror, sempre dello stesso regista, il montaggio non segue una cronologia lineare, ma si muove tra ricordi, sogni e realtà. Anche Resnais in L’anno scorso a Marienbad dà vita a immagini-tempo di questo tipo: labirintiche, confuse tra realtà e immaginazione, che immergono lo spettatore in un flusso temporale discontinuo.
Il capolavoro della Nouvelle Vague Une femme est une femme di Jean-Luc Godard è un esempio perfetto di come l’immagine-tempo nel cinema possa giocare con la non linearità e la percezione soggettiva del tempo, pur all’interno di un contesto apparentemente “leggero”. La struttura del film è quella del musical: la trama ruota attorno a Angela, una giovane donna che vive una relazione complicata con il suo compagno Emile e rispetto al loro comune desiderio di avere un bambino. Sebbene la storia sembri seguire un andamento abbastanza semplice, Godard gioca con il tempo interno dei personaggi e con la loro percezione di ciò che accade tra il passato, il presente e le aspirazioni future. Il tempo cronologico risulta così frammentato in base alle emozioni, e alle reazioni interiori, dei personaggi. Le interazioni tra Angela e gli altri sono talvolta sospese, e Godard utilizza il montaggio per evidenziare il passaggio tra vari momenti, distorcendo il flusso temporale convenzionale. Anche Mulholland Drive di David Lynch è una miniera di immagini-tempo. Il regista statunitense è un maestro di questo tipo di immagini, che costituiscono la sua cifra stilistica e il suo fascino. In questo film la narrazione si interrompe, cambia prospettiva e si dilata rendendo personaggi ed eventi soggetti a una realtà temporale malleabile. Il confine tra passato, presente e futuro diventa indistinto, creando una sensazione di straniamento in cui il tempo stesso diviene inquietantemente fluido e distorto.
I film che usano queste immagini non raccontano solo storie, ma esplorano il tempo come esperienza percettiva e soggettiva, mettendone attivamente in discussione la concezione classica. Il cinema che le esplora a partire dal dopoguerra è rivoluzionario, poiché introduce una riflessione sul tempo (e la sua percezione) che si pone in completa rottura non solo con gli schemi fondamentali della storia del cinema, ma anche con quelli classici delle categorie kantiane e della fisica newtoniana. La nostra percezione “normale” della realtà – ancora misteriosamente legata dall’ormai esausta estetica trascendentale kantiano-newtoniana – viene meravigliosamente mandata in crisi dalle immagini-tempo, aprendoci a esperienze e percezioni (del mondo, della materia e di noi stessi) ancora quasi del tutto inesplorate.
* Immagine in copertina tratta da À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) di Jean-Luc Godard (1960), fonte wikipedia