di Massimo Avella
Il sole è tramontato sulle nostre terre e nella nostra anima. Le ombre si sono allungate; le cose del mondo hanno assunto un aspetto impalpabile, morbido, evanescente, spettrale; come se fossero morte da tempo ma inspiegabilmente continuassero a sostenersi nel nostro sguardo, incredulo e confuso. E le certezze che diventano fedi e le fedi che diventano errori. Tutto si è svolto davanti ai nostri occhi; eppure solo adesso ne abbiamo sentore, solo ora, in questa luce diafana che ci rivela l’errore in cui siamo vissuti ed abbiamo edificato i nostri giorni, la nostra vita, isolata dal mondo; il nostro mondo isolato dal resto; la nostra assurda pretesa, il nostro assurdo errore. E nell’errore non ci può essere verità. E questa volta la verità appare al tramonto, beffandosi di noi e delle nostre metafore.
Cammino nella terra della sera; dal mare una leggera brezza mi porta via. Tutto lo sciame di nuvole sembra contenuto in un piccolo spazio, là, sulla parte sinistra dell’orizzonte, dove il sole tramonta. Il colore della luce autunnale riunifica le cose, pallida, sembra riassumerne il senso. In quell’attimo avverto un altrove, un orizzonte senza tempo, che subito vola via… L’ebbrezza di avere creduto davvero possibile che potesse bastare riempire il mondo di cose e servizi e poi lasciarlo gestire da loro, che producono queste cose e questi servizi, senza preoccuparcene troppo, in nome della libertà di impresa; che potesse bastare atomizzare gli individui in monadi vuote e senza scopo, riempirle di piaceri edonistici coi quali convincerle a svegliarsi al mattino, a lavorare a comprare ed a farsi comprare, a sperare ed a fottersi, a crepare e a sopravvivere, fidando di riempire il vuoto della nostra anima con il potere d’acquisto; davvero abbiamo creduto che questo potesse portare a qualcosa di più che ad una società asfittica, violenta, perduta? Si lo abbiamo creduto. E lo crediamo ancora. Forse per necessità lo crediamo.
Il sole è tramontato. Siamo in quell’ora mediana, al crepuscolo serale, in cui è scomparso dietro la linea del mare ed il cielo si giova della luce che resta diffusa, indicibile, nella volta del mondo, che appare ai nostri occhi svuotati finalmente dalla visione triste di una terra in rovina.
Negli anni venti del secolo scorso, Spengler diceva che, come tutte le altre civiltà anche quella occidentale era destinata all’estinzione e già nel XIX secolo era entrata nella sua fase di decadenza, indicata da lui come “civilizzazione”, che corrispondeva al proprio mantenere in vita modelli culturali già morti. Tale ultimo periodo della civiltà occidentale viene descritto da Spengler come caratterizzato dal dominio del denaro e della stampa, intellettualmente arido e politicamente fragile, che resiste alla sua fine solo per mezzo del cambiamento continuo di modelli di riferimento, ma comunque sempre privo di speranza.
Beh, certamente sul dominio del denaro e della stampa il nostro Spengler ci aveva preso. Non credo, d’altro canto che sia l’Occidente a tramontare. Bisognerebbe chiarire cosa si intende con la parola “Occidente”. Non credo sia la cultura occidentale al tramonto; credo sia solo una parte di essa, una parte che riguarda una precisa zona geopolitica; e per altro bisognerebbe tenere presente che il tramontare di qualcosa non è mai annichilimento ma scomparsa, uscita da una certa prospettiva, da una certa angolazione del mondo. Questo è ciò che appare.
È piuttosto l’Occidente come organizzazione politico-economica, alleanza geopolitica, che risulta non più dominante, non più alla guida del mondo. In questo senso e solo in questo senso credo si possa parlare di tramonto. Altri modelli, altre configurazioni che sempre più si vanno affermando sono comunque il risultato di una situazione che nasce nella cultura occidentale e cresce in essa e se ne separa.
Il mondo sta sperimentando nuovi equilibri, nuove configurazioni, che stanno venendo alla luce sotto i nostri occhi ma la posizione politica delle potenze occidentali resta ferma nella negazione della necessità che tali nuove configurazioni possano emergere o siano già emerse come delle realtà tangibili. Le potenze occidentali agiscono come se nulla fosse mutato dalla fine della Guerra fredda e come se l’unico mondo possibile e auspicabile sia un mondo a guida Nato. La percezione ottusa della cultura occidentale continua a negare ciò che appare inevitabile, e all’interno di questa negazione si pone in modo sempre più autoritario; ma allo stesso tempo questa convinzione rischia di tagliare l’Europa fuori dalle attuali dinamiche globali, rendendola sempre più periferica, sia in senso economico che culturale, rispetto agli sviluppi del mondo a sud ed a est di se stessa.
Proprio la nostra vecchia Europa rischia di pagare il prezzo più alto in questo processo di auto emarginazione forzata.
Nella logica del dominante, è il dominio il risultato, di ogni azione. Nessuna cooperazione è possibile; anche se tutti volessero la stessa cosa… Ed è la stessa cosa che tutti vogliono.
Volere la vita e lo sviluppo indefinito non può che significare volere la vita e lo sviluppo di tutte le parti di essa, di tutti gli attori, agenti interconnessi necessariamente; di tutti gli Stati del mondo. L’alternativa sarebbe lo scontro della volontà delle superpotenze che avrebbe come risultato un incontrovertibile, garantito annichilimento.
Ma nella volontà imperialista ogni cosa è conflitto e sua declinazione.
È proprio il superamento di questa volontà che si rende necessario oggi.
Ed è proprio in questo delicato passaggio che noi ci troviamo.
In questa situazione l’Occidente geopoliticamente inteso, resta fermo nelle sue posizioni, che risultano perdenti e superate; getta via la maschera e si mostra per quello che è: una forma di potere oligarchico, demagogico-libertario a capitalismo avanzato. Getta la maschera ed inasprisce la sua potenza come un organismo che sa di rischiare la morte.
Nella nostra esperienza di ogni giorno, voci alla radio, parole sui giornali si diffondono empiricamente, ripetendo in forme mobili e variopinte lo stesso identico contenuto, che non appare mai, che non s’accorda mai con il reale concatenarsi degli eventi; è solo un’ammaliante cantilena, spietatamente uguale, perfettamente rispondente al verticale dettato che si sciorina lungo il vertice di una piramide invisibile e funzionalissima, quotidianamente ordinante.
È evidente che i padroni di questo ordine attaccheranno con tutta la potenza della loro retorica, infarcita di pace, di libertà, e diritti dei popoli, mentre ingrasseranno le fila degli eserciti genocidari, rifinanziando i giorni della memoria, per meglio strumentalizzare i morti, mentre noi accompagneremo i nostri figli a scuola, passando sui cadaveri di altri figli, con la consueta indifferenza che ci contraddistingue.
Dissoltisi gli orizzonti politici, i fantasmi dei sistemi democratici aleggiano nudi sulla vecchia Europa. Svuotati dalle proprie strutture ideologiche, adeguati alla teoria dominante dei mercati, i partiti politici, scevri di contenuti socio-civili e di sapere sociale non sono più in grado di offrire soluzioni efficaci, né all’interno dei singoli paesi, nei quali hanno ceduto all’economia la gestione della società, né sul piano internazionale, nel quale le forme di cooperazione tra gli stati mostrano sempre più la loro pressoché totale impotenza. Quando anche il processo di globalizzazione ha ormai esaurito la sua breve parabola, non resta alla politica occidentale che assolvere mere funzioni amministrative e garantire il mercato: gestire le rotte del mare per render sicuro l’approdo, il dispiegamento ad interim della potenza oligarchica.
Della democrazia non resta che un fantasma sbandierato a destra e a manca, spesso soltanto nel tentativo di supportare la convinzione della nostra superiorità morale.
In realtà l’attuale sistema democratico, è un articolato sistema di cooperazioni-lobby, soggetti non regolati da alcuna legge, i quali sono in conflitto tra loro, negoziano e premono sui partiti, ciascuno volto a difendere i propri interessi, inscritti in un ordine oligarchico internazionale. Gli Stati hanno abdicato alla loro potenza, in misura dello spazio crescente dato al capitalismo internazionale sotto forma di globalizzazione. Servono nuovi modelli, realmente condivisi, di cooperazione internazionale tra le nazioni. Questi nuovi modelli esistono e sono stati già ampiamente sviluppati in via teorica e non solo. Infatti tentativi di applicazione sono già in atto perché resi necessari dalla situazione creatasi su scala globale.
Credo risulti evidente il fatto che, visti i livelli di interconnessione raggiunti dai sistemi mondiali, sia necessario pensare ad una organizzazione pluridimensionale degli Stati. Un mondo a più dimensioni, che contempli le differenze e le identità. Tali sistemi non possono non fare i conti con l’orizzonte ideale al quale deve tendere l’umanità. Non possono non fare i conti con le esigenze dei popoli e con il progresso della società.
Alla sera, il crepuscolo che qui sembra precedere la notte, non è altro che lo spettacolare annuncio del mattino, che irrompe già verso un altro orizzonte, portandosi dietro i suoi propri fantasmi.
* Immagine tratta da Wikipedia (“Il crepuscolo” di Félix Vallotton, collezione privata), qui il riferimento.