di Nizam Pompeo
L’Atelier Home Gallery è una neo-nata galleria d’arte, nonché associazione artistico-culturale, che ha sede a Palazzo Panfili (via della Geppa, 2) a Trieste. L’atelier offre la possibilità ad artisti emergenti, giovani e non, di esporre le loro opere gratuitamente per farle conoscere al pubblico.
Tra gli eventi in programma vi sono presentazioni di libri, cortometraggi, concorsi letterari, corsi di pittura e incontri di psicanalisi, live performances di musica, danza e teatro, ed esposizioni temporanee di artisti italiani ed internazionali.
Dal 16 gennaio al 6 febbraio sarà possibile ammirare presso l’Atelier le opere della pittrice e psicanalista Roberta de Jorio. L’inaugurazione, tenutasi il 16 gennaio alle 18.30, si è svolta in un clima di apertura e curiosità, alla presenza della pittrice e del direttore artistico dell’Atelier Roberto del Frate. La mostra della De Jorio, come ha spiegato il curatore della mostra del Frate, è tutta giocata intorno alla relazione (e all’ambivalenza) tra totem e tabù. De Jorio reinterpreta nelle proprie opere la celebre antinomia freudiana inscenando il rapporto pulsionale (e al contempo fantasmatico) dell’uomo con la materialità delle cose, declinandolo in molteplici varianti.
“Ciascuno […] pare che si crei e alimenti il proprio personale tabù – afferma l’autrice delle opere –, spesso effetto di tabù consolidati della società a cui appartiene, a cui però si aggiungono sempre elementi strettamente personali e imponderabili che raccontano di storie inconfessabilli o fantasiose trasgressioni… Crearsi un totem (e con esso il conseguente tabù) fa parte del gioco sostanziale in cui poter fantasticare di fissare un oggetto, farne un elemento portante e da questo prendere le distanze in modi differenti, amandolo, odiandolo, cercandolo o facendone l’oggetto di una speciale ed affascinata fobia… Una volta compiuta questa operazione illusoria, come per incanto, il mondo sembra LIBERO da tutti i divieti tranne da quello che consegue dalla nostra creazione totemica… tutto tranne quello. Tutto ci sembra diventare accessibile tranne ciò che ci siamo proibiti o ci è proibito”.
Le opere di De jorio ci appaiono come un’espressione di “una frustrante della mancanza di certezze, unita ad una paura di procedere”, che però al contempo ci suggeriscono l’idea di una piena accettazione della vita, sia essa dolore, gioia, passione, energia. La stessa pittrice disse al critico Enzo de Martino “la cosa che più desidero è essere artista della vita”.
Non bisogna dunque temere di farsi travolgere da questo turbinio di forme, dal vortice di colori talvolta accesi e talvolta più soffici, ma sempre, innegabilmente, vivi e pulsanti come un cuore che aumenta “irrazionalmente” i propri battiti sotto l’influsso di un ritmo tribale. La pittura di De Jorio non ha lo scopo di sedare, accogliere, coprire e abbellire le fratture del disagio, ma piuttosto quello di scavarlo il più a fondo possibile, per farne brillare il sintomo. Raffigurando un mondo infantile e provocatoriamente ingenuo, in cui non vi sono figure o forme “totemiche” rassicuranti, ma solo la rappresentazione-esecuzione di tali fratture, è come se l’autrice ci indicasse la strada verso un faccia a faccia con ciò che si cela oltre il nostro totem personale: un tabù che non è altro che noi stessi.
Ed è proprio in questa atmosfera di non-giudizio e di totale libertà che la pittrice afferma che “il desiderio è qualcosa che ci appartiene, frutto di ciò che resta dell’irrazionalità di tutto ciò che è materia… è energia vitale… il desiderio è e rimane sempre inappagabile poiché la sua funzione non è di colmare un vuoto, ma di crearlo senza sosta, fungendo così da vero e proprio motore del nostro fare”.
Tra le opere più interessanti vi sono indubbiamente la “Dea serpente”, sincera e personalissima rappresentazione di una figura femminile, in cui l’algida freddezza del viso si sposa con la spietata sensualità del serpente, congelati in una tecnica mista di impressionante abilità, e lo splendido e sconcertante autoritratto che impedisce al visitatore di ritrarsi da quello sguardo penetrante.
“I totem che dipingo sono la rappresentazione della fantasia che gli uomini hanno di poter gestire le cose, fissandole. Le cose sono ingestibili, insituabili e ingovernabili… Le cose vanno e vengono secondo il loro ritmo, le cose appartengono al loro movimento, alla danza delle loro cellule… A noi è dato ascoltarle e cogliere in esse l’esca per il nostro fare, o almeno un buon motivo per cantare, rivolti al cielo, la nostra canzone corale in questo mondo materiale”, racconta Roberta de Jorio.
Ospite d’eccezione della serata è stata la cantante svedese Marina Martensson, che ha eseguito alcuni brani, contemporanei e non, rivisitati secondo uno stile in bilico tra il blues e il jazz, dipingendo la sua performance con grazia, dolcezza e al tempo stesso con decisa e graffiante fierezza.