di David Watkins (edizioni Il Cinghiale, collana “Fotocopie”)
Forse, il segnale ci prova
magari lo vorrebbe pure: fare il maturo della situazione,
dirti attenzione, la tua macchina è la morte
possibile di un bambino e di una bambina.
Ma poi, eccolo lì, tutto contento, nella sua immagine,
nei suoi colori decisi, a segnalare soltanto
un momento sospeso per sempre
nell’esultanza del fine scuola, la voglia bimba
di buttarsi per strada, le cartelle al vento,
un nuovo amore.
Sono bravissimi
a cadere, scivolare è sempre stato
il loro gioco preferito:
spazzati via da un vento
che ci costringono a immaginare,
restano per aria a braccia aperte
invocando chissà cosa.
In effetti, nessuno può dire
se stiano cadendo al suolo
o levitando verso il cielo:
stanno per aria, e questo è quanto.

Il non avuto volto, il corpo riassunto
in poche linee. Quest’assenza
pressoché perfetta di segni particolari
è il segno della loro peculiare bellezza.
Offrono una caricatura stilizzata
all’umana sventura, un contrappunto
previdente e spensierato
alla vita nostra incidentata.

Degli animali
ritraggono l’idea, restituiscono
l’esistenza dei cerbiatti
alla beatitudine di un salto
che non procede da uno sforzo.
Il succedersi dei decenni
non porta grandi cambiamenti
nel loro mondo, sensibile
allo spazio e alla geografia
più che al tempo e alla storia.
Nessuno conosce il nome
del loro creatore, nessuno si è mai interrogato
sull’esistenza più o meno credibile del loro dio.
È probabile che siano arrivati così
sulla terra, senza promesse e liberi
dal benché minimo progetto,
generati in un sogno
che ci precede, e destinati a essere
soltanto ciò che sono.
A bocca aperta, con le mani giganti
ci ricordano che è bello
restare fuori, bellissimo
non essere addetti.
Possono essere utili anche quando
non sai più dove andare.
*Immagine di copertina di Belinda Fewings (via Unsplash), crediti qui.