di Andrea Muni
L’Europa ha scoperto di recente di avere un’emergenza immigrazione. Il fenomeno migratorio messosi in moto a causa della destabilizzazione militare e politica del Medio Oriente e dell’Africa Nord Orientale è soltanto agli inizi e la sua crescita non potrà che rivelarsi esponenziale (almeno finché i problemi politici dei luoghi di provenienza dei migranti non saranno risolti, il che purtroppo non accadrà certamente a breve).
Barack Obama non vuole fare più guerre, ed è per questo che sanziona severamente la Russia che invece ultimamente ha una gran voglia di farne. Dopo aver mandato in malora tutti gli equilibri del Medio Oriente, l’Occidente si è riscoperto pacifista, al punto tale da trovare l’accordo con l’Iran proprio mentre appoggia politicamente la guerra contro i ribelli Houti filo iraniani della Lega Araba (sunnita, e in equivoci rapporti con l’Isis), una Lega capitanata dall’Egitto di un dittatore (che nelle ultime elezioni ha preso il 96% dei voti) e dalla monarchia assoluta dell’Arabia Saudita. Inoltre, la questione ucraina rimane irrisolta, con l’annessione della Crimea che ormai è un dato di fatto, e un cessate il fuoco che lascia in una situazione di incertezza istituzionale e internazionale la parte del paese che ha votato a maggioranza schiacciante il referendum separatista non riconosciuto dall’Europa.
Fino a due settimane fa in Italia e in Europa si parlava di quantitative easing, di Jobs Act, di leggi elettorali, di Grexit, di Mario Draghi e di dati sulla disoccupazione. Il dibattito politico sembrava infatti tutto concentrato principalmente sull’autosuggestiva analisi delle positive congiunture economiche che dovrebbero far uscire il paese e il continente dalla crisi. A nessuno sembrava ancora uno scottante problema “interno” il fatto che un numero imprecisato e crescente di persone disperate si diriga (e continuerà esponenzialmente a dirigersi) verso il nostro continente. Questo fatto, questo dato indiscutibile, è effettivamente un problema politico talmente enorme che – se non sarà gestito con oculatezza e intelligenza – rischia di rendere inutile persino l’improbabile new deal che alcuni ottimisti hanno iniziato a ventilare.
I partiti di centro, PD in testa, si rifiutano di affrontare politicamente il fenomeno immigrazione semplicemente perché non hanno altri argomenti oltre al buonismo da mettere in campo, mentre le “estreme” sfruttano ampiamente questo tema a puri scopi propagandistici (sanno benissimo che – per ora – non governeranno, e quindi possono sparale grosse, guadagnando ovviamente consenso). Le destre “sociali” gongolano, ritrovano quel rapporto viscerale che un tempo le legava ad un ceto medio ormai polverizzato in sottoproletariato, mentre le sinistre intravvedono romanticamente nell’immigrazione un modo per realizzare l’internazionalizzazione della lotta. I partiti xenofobi hanno avuto gioco facile a guadagnare consenso nelle fasce della popolazione che più risentono dell’ondata migratoria, quelle fasce della popolazione che non votano PD, e che vivono gli effetti del fenomeno migratorio sulla propria pelle e nella propria quotidianità. Quello che mi domando è come sia stato possibile lasciare politicamente alle destre estreme (Lega compresa) la leadership culturale su un problema politico enorme e reale come quello dell’immigrazione, senza nemmeno provare a costruire un discorso che sia veramente competitivo e che non si risolva nell’argomento squisitamente legalitario-umanitario (di cui si armano principalmente coloro che non soffrono direttamente le conseguenze pratiche dell’ondata migratoria).
I debolissimi argomenti xenofobi stanno dilagando perché non c’è ancora un discorso serio, convincente, non ideologico e non buonista, a fargli seriamente da contraltare.
Coloro che si impegnano, o che anche solo simpatizzano, per l’integrazione degli immigrati sono dipinti dalla propaganda xenofoba come sinistrorsi, invidiosi, nemici degli italiani, e addirittura come abusatori di fondi UE. Molte delle accuse rivolte contro chi lavora attivamente (gratuitamente e non) nel campo dell’integrazione sociale – cercando di gestire al meglio e di “arginare” gli effetti più deleteri dell’ondata migratoria – sono semplicemente agghiaccianti, ed è comprensibile che le reazioni da parte dei lavoratori e dei volontari siano piccate e sgomente, per non dire incazzate. Al tempo stesso però non ci si può limitare all’indignazione e a restituire gli insulti, sono necessarie una contro-politica e addirittura, non temo di dirlo, una contro-propaganda riguardo al fenomeno migratorio.
Il tamtam fascio-leghista purtroppo sta avendo successo, in Italia e in Europa. Gli immigrati sono percepiti da un’ampia fascia della popolazione come mostri, mentre chi lavora per la loro integrazione viene dipinto come un “nemico della patria”. Quale può essere davvero la mossa da contrapporre a questa aggressione? Di certo non può essere quella di ribattere: “No, gli immigrati sono buoni, e noi ancora più buoni di loro e di voi messi insieme”. La risposta non può essere questa perché, purtroppo, non è essendo buoni che ci si fa amare. Mi piacerebbe provare ad articolare sommariamente alcune prese di posizione che potrebbero rappresentare una prima, ancora molto rozza, forma di contropropaganda sul fenomeno immigrazione, da discutere ed ampliare con tutte le altre persone eventualmente interessate alla questione.
Iniziamo dalla questione morale. Consideriamola strategicamente, essa recita più o meno “gli immigrati non sono cattivi, sono dei poveri cristi, e noi dobbiamo aiutarli per questioni di umanità”. Ad essa si oppone la risposta xenofoba, dal fortissimo impatto emotivo e dal successo tristemente assicurato, la risposta è: “..e a me che cosa me ne frega, degli immigrati?”. Molte persone – non per forza orribili – rispondono così, non ci sì può far niente, e non si può rispondergli “sei una bestia, vergognati”, perché non è insultandoli che gli faremo cambiare idea. Il problema è infatti che quell’ “uomo qualunque” è in realtà una grossa fetta (se non la maggioranza) del paese, è con questo che bisogna fare i conti. Il problema non è, e non deve nemmeno sembrare, di natura “umanitaria”. Il problema è interamente di natura politica, finché questo non entrerà nella testa delle persone (anche di molte persone che si occupano di integrazione), le cose non potranno che peggiorare. Se da una parte si dice infatti che bisogna chiudere le frontiere, sparare ai barconi, sospendere Schengen ed espellere tutti gli irregolari senza nemmeno verificare le eventuali richieste di asilo politico, dall’altra a volte una esasperata forma di identificazione con la tragedia dei migranti sembra rovesciarsi in una strisciante scusa per scatenare il proprio odio ideologico.
La gente è stufa di “avere cuore”, viviamo in un paese in cui un sesto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, è difficile avere cuore per gli altri quando si sta sprofondando a propria volta. Basti ricordare che in Francia molti immigrati di seconda generazione votano Front National perché temono gli effetti di quella stessa immigrazione che ha condotto i loro genitori sul suolo francese. Le argomentazioni da controbattere alla propaganda xenofoba sono a mio avviso abbastanza semplici; hanno l’handicap di farci sentire un po’meno “buoni”, meno eroi, meno umani, ma potrebbero avere il pregio di trovare trans-ideologicamente d’accordo molti di noi. Credo sia arrivato il momento di sacrificare un certo narcisismo morale sull’altare di una nuova efficacia strategica.
1) L’ondata migratoria in atto è inarrestabile, irreversibile. La sua causa è l’instabilità politica dei paesi di provenienza, instabilità che le nostre guerre hanno pesantemente aggravato. Ciò significa che gli immigrati non vengono qui per ragioni sganciate da quello che i governi occidentali, votati a maggioranza dai loro cittadini, hanno deciso di fare a livello delle loro politiche estere. Più della metafora leghista, del padrone che sceglie chi far entrare e chi no a casa propria, la metafora giusta per descrivere la situazione attuale è forse quella del pirata della strada – che dopo aver guidato follemente facendo guerre e appoggiando rivoluzioni a caso, si chiede come mai l’occidente stia venendo invaso da persone disperate.
2) Le persone disperate non smetteranno di arrivare se gli spariamo addosso: se sono così disperati da voler compiere un “viaggio della morte” (!!!) significa che stanno già fuggendo da qualcosa o da qualcuno che mette in pericolo le loro vite.
3) Gli immigrati non sono né buoni né cattivi, sono persone che hanno perso tutto e che arrivano nel nostro paese, senza niente, dopo aver vissuto traumi e sofferenze atroci. Il punto più delicato di tutti è questo: il fatto che abbiano vissuto esperienze atroci può forse renderceli (più o meno) simpatici, ma non li rende “buoni” – e sì, in un certo senso, il fatto che siano disperati li rende pericolosi, esattamente come è potenzialmente pericolosa ogni persona disperata, che ha perso tutto, e che non intravvede nemmeno la speranza di una via d’uscita.
4) La maggior parte dell’immigrazione clandestina reale è molto meno scenografica di quella via mare, e fintanto che Schengen esiste è semplicemente incalcolabile (e inarrestabile) perché non esistono confini nazionali. Ma ci rendiamo davvero conto di cosa significherebbe, per un’Europa che è già pressoché inesistente, sospendere Schengen?
Noi non possiamo fermare quello che abbiamo causato destabilizzando quei paesi con le nostre guerre, né al contempo possiamo accogliere tutti i profughi del mondo, e infatti abbiamo già delle leggi che prevedono l’espulsione, e dei CIE in cui i clandestini sono detenuti in attesa dell’espulsione o dell’accoglimento. Non c’è alcun bisogno di ulteriori giri di vite, la legge Bossi-Fini è una legge già abbastanza restrittiva, anche troppo, basterebbe farla rispettare. Come riferisce il rapporto del presidente della fondazione Migrantes, solo un terzo dei centosettantamila migranti arrivati in Italia via mare (nel biennio 2012-2014) si è fermato nei centri di accoglienza. È qui che certamente c’è una colpa oggettiva della burocrazia italiana, che fa il gioco della propaganda xenofoba, ed è proprio qui che il governo dovrebbe e potrebbe agire il prima possibile.
Quello di cui c’è bisogno è di aiutare queste persone a sopravvivere decentemente fintanto che sono nel nostro paese, se devono essere espulse, e di aiutare quelle che possono rimanere qui a crearsi un’esistenza degna. Quello che per interessi divergenti nessuna delle due retoriche (xenofoba e umanitaria) ha voglia di dire, a mio avviso, è che è ovvio che abbandonare a se stesse persone già disperate non può che innalzare il rischio che queste commettano crimini e atti pericolosi per se stessi e per gli altri. Non avere paura di ammettere questo significa a mio avviso voler affrontare davvero i problemi, voler davvero provare a creare una strategia di comunicazione sull’immigrazione che sia capace di mostrare fino a che punto sia inconsistente quella xenofoba. Non dobbiamo proteggere e integrare gli immigrati perché sono poveri e buoni, dobbiamo proteggerli e integrarli per proteggere (e integrare) noi stessi.
Le posizioni xenofobe affascinano perché offrono dell’Occidente un’illusione di potenza che non esiste più; le posizioni xenofobe piacciono perché rovesciano nevroticamente l’impotenza in onnipotenza, regalando così a chi le fa proprie l’illusione che sia possibile arrestare la colonizzazione dell’Europa usando il “pugno di ferro”. Ma, dall’altra parte, dalla parte dell’integrazione, è fondamentale iniziare a spiegare alla popolazione nazionale che più risente della crisi, che i soldi pubblici ed europei stanziati per le politiche di integrazione sono soldi che effettivamente sono spesi anche per loro, spesi per quei sei milioni di italiani che vivono sotto la soglia della povertà (e che giustamente li vorrebbero per loro). I soldi spesi per l’integrazione sono soldi per la loro sicurezza, ed è giusto che essi possano valutare e giudicare se sono spesi bene o male.
Quello che bisogna esercitarsi a far capire è che non c’è scelta, la scelta è un’illusione. L’immigrazione è un fenomeno talmente crescente e inarginabile che, se lo affronteremo di petto, in stile Le pen-Salvini, rischiamo il disastro. La xenofobia à la Le pen-Salvini mette le persone comuni, le persone che vivono davvero sulla propria pelle il fenomeno migratorio, molto più in pericolo rispetto alla strada dell’integrazione. Bisogna dare a queste persone disperate qualcosa da perdere, che sia l’illusione di un futuro, o anche soltanto un briciolo di calore umano; dobbiamo farlo per noi, per il nostro bene e per la nostra sicurezza, non per loro. I “buoni” sono sempre, forse a ragione, indiziati di malafede.
Pienamente d’accordo e speriamo in un aiuto effettivo da parte dell’Europa dopo aver preso coscienza che il nostro paese può essere un paese di migrazione ma non il solo paese di immigrazione per tutte le persone che scappano dalle loro terre per i motivi da te già ampiamente considerati.