di Cristiano Carchidi
Iniziamo dalla fine: Franco Berardi semi-ironicamente chiede a se stesso perché mai abbia scritto un libro così brutto, per quale ragione si sia occupato di studiare fenomeni così cupi e a tratti raccapriccianti.
La risposta che si dà è quella di aver voluto formulare un “caoide“, cioè, mutuando il linguaggio di Felix Guattari, una breccia di delucidazione critica in un mondo il cui grado di caos è in continua crescita e che si trova all’apice dello spasmo.
Nel suo ultimo volume, Heroes. Suicidio e omicidi di massa, Franco “Bifo” Berardi compie dunque un’ interessantissima ricerca in profondità nel fragile tessuto della società moderna partendo dai suoi “orli”, dai suoi casi-limite.
L’autore ci racconta come l’idea stessa di scrivere il libro sia nata da un recente avvenimento che si potrebbe considerare ridicolo se non fosse tanto tragico: negli Stati Uniti d’America, il 19 Luglio 2012, durante la proiezione della prima di Il cavaliere oscuro-Il ritorno James Holmes, un ragazzo che si trovava tranquillamente seduto in sala a seguire il film – la cui uscita aspettava con ansia – durante l’intervallo decide di andare in auto, recuperare l’arsenale che portava con sé, rientrare in sala e scaricarlo sugli sfortunati spettatori, 58 dei quali rimasero feriti e 12 persero la vita.
Per chi vive in questi tempi bizzarri, non è certo una novità sentire il racconto di un avvenimento simile, ma ciò che di questo caso specifico colpisce l’autore è la ferocia immotivata e nichilistica del giovane stragista. Partendo da questo evento non-del-tutto particolare Berardi illustra numerosi casi simili degli ultimi decenni, cercando (talvolta forzatamente) di farli rientrare nel quadro della drammaticità di una società sempre più fragile e spasmodicamente suicida.
Il testo si può figurativamente dividere in due parti. La prima è un’analisi di una serie di omicidi di massa, attraversati dal comune “non senso” di fondo. La seconda si occupa del suicidio nella sua veste moderna, inteso come fenomeno esemplare, atto che nel nostro tempo sta cambiando prospettiva e scenografia.
Nel prologo l’autore dichiara:
“Sono interessato a persone che soffrono esse stesse, e che diventano criminali perché questo è il loro modo di esprimere il loro bisogno psicotico di farsi pubblicità e di trovare un’uscita suicidaria dall’inferno che vivono.
Seung Hui Cho, Eric Harris, Dylan Klebold, e Pekka-Erik Auvinen, che si sono uccisi dopo aver provato ad attirare l’attenzione del mondo facendo terminare la vita di persone innocenti. Scrivo anche di James Holmes che ha commesso una sorta di suicidio simbolico senza uccidersi realmente. Scrivo di omicidi-suicidi spettacolari, perché questi killer sono la manifestazione estrema di una delle principali tendenze della nostra era. Li vedo come gli eroi di un periodo di nichilismo e spettacolare stupidità: l’età del capitalismo finanziario”.
Lo scopo del volume di Berardi è far convergere una critica culturale della modernità con un’analisi semiotica di questi casi-limite, che caratterizzano l’iper-realtà in cui secondo lui attualmente viviamo. Per lui Heroes, il celebre brano di David Bowie, descrive l’inizio di questo periodo di rivoluzione neoliberale e di trasformazione digitale del mondo. Il 1977 è infatti, a giudizio di “Bifo”, il momento cruciale in cui si dice addio ad ogni forma di speranza nel futuro: il periodo successivo a quell’anno è sempre più nettamente contraddistinto dal nichilismo. Si assiste alla morte degli eroi come forma del possibile, alla loro scomparsa, alla dissoluzione dell’idea stessa dell’eroico, i cui protagonisti sono divenuti fantasmi.
Questo momento-evento storico ha dato il la al passaggio dalla crescente civilizzazione dell’umanità alla sua de-evoluzione o de-civilizzazione. La lotta tradizionale tra industriali borghesi e lavoratori si è estinta sacrificandosi sull’altare del Dio-mercato.
Berardi riprende qui il filo mai interrotto della sua critica al sistema finanziario che domina l’economia mondiale, per attaccare uno dei suoi tratti costitutivi fondamentali: la virtualizzazione del valore per mezzo di un potere simulativo, che ha pian piano trasformato forme fisiche reali in immagini evanescenti, in veri e propri simulacri (come spiega benissimo Jean Baudrillard).
“Bifo” si lascia dunque andare ad un pensiero cupo sul presente-futuro dell’Occidente, le cui forme di soggettività e sensibilità sono sempre più risucchiate dal buco nero del sistema finanziario-digitale: esso ha frammentato sempre più una realtà i cui pezzi difficilmente possono essere riuniti in modo da completare il puzzle. Non appare molto chiaro quale sarebbe il periodo idilliaco cui l’autore fa riferimento, ma è interessante leggere la feroce critica dipinta con ironia in queste pagine.
Nella prima parte del libro, Berardi racconta le vicende tristemente famose di alcuni giovani ragazzi che si sono resi protagonisti di stragi insensate. Oltre alla storia del protagonista del testo, il Joker del Colorado, viene raccontata la strage di Columbine, famosa oltre che per la spettacolarità dell’evento in sé, per la magistrale riproduzione che ci ha offerto Gus Van Sant con il suo Elephant: Eric Harris e Dylan Klebold, dopo aver accuratamente preparato la “scena”, si presentano nel loro college armati fino ai denti e sferrano un attacco del tutto immotivato verso colleghi e professori uccidendone dodici e ferendone ventisette.
Il 7 Novembre del 2007, invece, Pekka-Erik Auvinen (di soli 18 anni) ha ucciso nove studenti nella ridente cittadina di Tuusula, spiegando il suo gesto in un incredibile “Manifesto del selettore naturale”: una falsa interpretazione delle teorie evolutive mista a tanta fantasia e ad un protagonismo morboso, sono i motivi che spingono il quasi-adolescente a compiere una strage.
Seung-Hui Cho, un ragazzo sofferente di problemi psichici (superficialmente ignorati dalle persone a lui più prossime), compie una strage in stile digitale, al Virginia Polytechic Institut, solo dopo aver inviato alla NBC un plico contenente materiale vario che l’emittente ha giudicato lungo e delirante.
Per concludere il triste elenco, Anders Behring Breivik nel luglio 2011 ad Oslo uccide oltre cento persone riunite in un campus “radicale”, con un gesto di politica neo-conservatrice fondato su valori dichiaratamente tradizionalisti.
Ognuno di questi crimini ha ovviamente una matrice differente che Berardi evidenzia sia attraverso la propria interpretazione sia attraverso quella assorbita dall’opinione pubblica. L’obiettivo del testo non è dare una spiegazione approfondita di ogni singolo episodio (le cui motivazioni non vengono sviscerate nei dettagli, come forse meriterebbero). Lo scopo dell’autore è invece gettare uno sguardo su questi eventi partendo da una prospettiva laterale, da un quadro fragile e frammentario come quello che compone la personalità delle giovani generazioni: la precarietà causata da una situazione economica, culturale e politica sempre più frammentaria, che ha perso il valore della realtà per tuffarsi in una dimensione virtuale.
Berardi coglie alcune delle cause di gesti così estremi nella facilità con cui tali atti vengono compiuti, dovuta a una sorta di irrealtà che i giovani che ne sono protagonisti vivono e che non riescono a superare. Tali eventi si verificano all’interno di una cornice tracciata dal “semio-capitalismo”, il capitalismo del simbolo come valore fittizio, sistema barocco in cui la spettacolarità diventa mito.
Indice dello stato di collasso che caratterizza la nostra società è anche, secondo Berardi, il numero sempre maggiore di suicidi che contraddistingue i nostri tempi e la loro precarietà. “Bifo” analizza questo fenomeno per mezzo della descrizione di alcuni gesti rituali (e non) come l’Hikikomori, suicidio volontario diffuso in Giappone, e il Puputan, gesto simbolico dei balinesi disperati. Tenta inoltre di tracciare una mappa differenziata, raccontando dei suicidi diffusi tra i lavoratori asiatici sfruttati e tra i banchieri: i nuovi protagonisti di un atto estremo che accomuna tutte le classi sociali. La diffusione del suicidio come arma (di difesa e offesa al contempo), sostiene l’autore, contraddistingue la volatilità della vita stessa, una volta che essa è inserita nelle logiche di una realtà simulata.
Verso la fine del libro, la narrazione s’interrompe bruscamente nel momento in cui “Bifo” intreccia quanto ha raccontato nelle pagine precedenti e ciò che ha trovato in una città come Seul, che per lui simboleggia la virtualità del mondo presente. La capitale sudcoreana non può essere descritta se non ricorrendo al concetto, che a questo punto Berardi introduce, di “desertificazione”. Una situazione che porta allo spasmo e alla paranoia, alla fragilità e alla distopia, e da cui – secondo l’autore – solo l’ironia può tirarci fuori.
Nella conclusione che fa da seguito a questo tema a tinte fosche, a questo deserto del reale in cui siamo immersi, Berardi chiude in modo tragico – nel vero senso del termine – nell’affermare con amara lucidità che non ci sono speranze, ma che allo stesso tempo questo non è un male, in quanto non c’è mai gioia senza disperazione.