Contesto, contenuto e attualità della filosofia della scienza di Nietzsche
di Helmut Heit
La Scienza è senz’altro uno dei fondamenti culturali più importanti e influenti della civiltà moderna. La filosofia di Nietzsche è largamente considerata, a ragione, una delle critiche più significative portate contro i fondamenti (morali e non solo) di questa stessa civiltà. Il filosofo tedesco era interessato in particolare alla validità, alla funzione e all’impatto della Scienza, intesa nel più ampio senso di Wissenschaft (concetto che include tutte le discipline di ricerca accademica). La Wissenschaft, in questo senso, è stata un motivo di preoccupazione per Platone e Aristotele (episteme), come lo è stata con sfumature storiche ovviamente differenti per Bacone, Kant e molti altri. Da un punto di vista filosofico la Scienza può essere intesa in due modi: o come un insieme di conoscenze prodotto da un sistema formalizzato e formalizzabile; oppure come lo specifico atteggiamento mentale proprio di una pratica socialmente e storicamente rilevante. Da una parte abbiamo quindi una teoria analitica della scienza, mentre dall’altra incontriamo una teoria sociologica e un’ermeneutica, storicamente orientate, interessate a ricostruirne le condizioni particolari di apparizione. Queste due differenti posizioni manifestano da sempre una certa sfiducia reciproca. Quel che vorrei dimostrare in questo piccolo intervento è che l’approccio di Nietzsche alla Scienza potrebbe rivelarsi prezioso per provare a conciliare, almeno parzialmente, queste due posizioni tradizionalmente (e forse solo apparentemente) incompatibili.
Nietzsche era seriamente interessato sia alla verità epistemologica delle conoscenze scientifiche acquisite, sia ai fondamenti culturali (e agli effetti sociali) prodotti dalla Scienza e dalla sua particolare forma di rapporto con la verità. Egli è riuscito ad intrecciare gli interrogativi che riguardano la validità e l’affidabilità della conoscenza scientifica con quelli riguardanti l’impatto che essa ha sulla nostra vita. L’obiettivo principale di Nietzsche era infatti quello di giudicare la verità potenziale delle proposizioni scientifiche, dopo averne lasciato emergere le fondazioni metafisiche e morali con il martello scettico.
Una ricostruzione affidabile della filosofia della scienza di Nietzsche, comunque, non può non tenere conto dei tre aspetti menzionati nel sottotitolo: il suo contesto storico, contenuto epistemologico delle sue proposizioni e la loro attualità.
1.
Nietzsche considerava il problema della scienza come un complicatissimo puzzle da risolvere. In una tarda prefazione (del 1886) della sua Nascita della tragedia egli riassume così il suo primo importante travaglio intellettuale:
Ciò che allora mi venne di fatto di afferrare, qualcosa di terribile e pericoloso, fu un problema con le corna, non proprio necessariamente un toro ma in ogni caso un problema nuovo: ecco, oggi direi che si trattava dello stesso problema della scienza – la scienza concepita per la prima volta come problematica, da mettere in questione.
I progressi delle scienze naturali avevano rapidamente trasformato il mondo culturale di Nietzsche sotto molti punti di vista, producendo un enorme impatto sul pubblico istruito e stravolgendo profondamente le tradizionali gerarchie delle discipline accademiche. Nietzsche in vita ha sempre seguito molto attentamente il dibattito scientifico a lui contemporaneo, partecipando attivamente allo sviluppo delle scienze umane ed osservando inizialmente un po’ più passivamente il fiorire di quelle naturali. Ciò nonostante sarà proprio grazie ai suoi studi scientifici che Nietzsche (come Lange, Helmholtz, Du Bois-Reymond, Mach e altri) adotterà una prospettiva radicalmente anti-metafisica che (nonostante il ripudio esplicito della filosofia kantiana affermato da Nietzsche) potrebbe oggi essere definita naturalistica e neo-kantiana. Per Nietzsche infatti il mondo dell’esperienza sensoriale è co-costituito dal percipiente, il che implica che le nostre teorie della conoscenza non possono considerarsi interamente risolvibili in un catalogo puro e schematizzabile di dati bruti. Nietzsche tende infatti verso una concezione pragmatica di “filosofia sperimentale” (Kaulbach 1980), ma non di meno, grazie ai suoi studi in filologia, in storia e in psicologia, supera sia il Kantismo sia il positivismo.
I dati empirici e la supposta fondazione delle teorie scientifiche sono co-costituiti dall’attività conscia e inconscia dei soggetti umani. Se sulla base dell’apparato sensoriale umano un gran numero di differenti interpretazioni del mondo sono divenute possibili, Nietzsche ne conclude che queste interpretazioni non sono fondate su stati di cose oggettivi, ma sui bisogni naturali e culturali della vita umana. “Ciò che ci separa da Kant così come da Platone e Leibniz: noi crediamo solo nel divenire, anche nella sfera cognitiva, noi siamo e rimaniamo storici” (Notes 1885, 34 [73]; KSA 11, 442). Il filosofo tedesco considerava infatti i trascendentali kantiani come delle entità storiche, e come delle variabili naturali, esse stesse conseguenza di certi modi di vivere. La “naturalizzazione” della storia da parte di Nietzsche – se così si può definire il suo sforzo per tenere su un piano sincronico lo sviluppo della scienza e le sue condizioni storiche e politiche di apparizione e trasformazione – include sia i processi di osservazione ed esperienza, sia quelli di ragionamento critico e concettualizzazione storica.
Persino i giudizi di valore, in accordo coi quali selezioniamo degli argomenti e gli diamo rilevanza, riguardano le nostre condizioni umane. Ciò implica che la frase “gli uomini sono artisti” non esprime un relativismo completo, perché le nostre possibili interpretazioni del mondo sono ristrette dal mondo fattuale e dai bisogni umani (che sono varianti culturali, e per questo non completamente individuali). Nel delineare quest’argomento, Nietzsche sostituisce il problema epistemologico della verità con la diagnosi a posteriori dei suoi effetti. Che bisogni sono soddisfatti, che tipo di vita è supportato da una o dall’altra interpretazione del mondo?
Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni “ci sono solo fatti”, io direi: No, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”: è forse un’assurdità volere qualcosa del genere […] In quanto la parola “conoscenza” [Erkenntnis] ha un significato, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile [deutbar] diversamente, essa non ha un senso dietro di sé, ma innumerevoli sensi. “Prospettivismo”. Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo, i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti” (Notes 1887, 7 [60]; KSA 12, 315).
Un’attenta lettura del frammento indica che Nietzsche non nega l’esistenza di fatti tout court. Ci sono diversi tipi di “fatti”. Egli intende però porre l’attenzione sulla sospetta tendenza a prendere i fatti per fenomeni garantiti senza mettere in questione la volontà di potenza di chi li descrive. Cosi come non c’è testo senza lettura, e non c’è lettura senza interpretazione, i fatti sono accessibili solo in determinate condizioni storiche e in determinati contesti culturali. I fatti inaccessibili non hanno per noi alcun significato. Quindi, non ci sono fatti senza interpretazioni. Le interpretazioni esprimono teorie, valori, condizioni, possono ancora essere buone o cattive, ma sono sempre non identiche ai dati (o al testo). I fatti sono co-creati dall’uomo, ed è perciò che possono cambiare.
Ogni visione del mondo è una semplificazione ordinata (schematica), accordata agli standard umani, della sovrabbondanza della realtà. Questi standard però, ovviamente, si trasformano nel corso del tempo e della storia, permettendo a molteplici visioni del mondo di diventare possibili e di attualizzarsi. La visione del mondo scientifica è anch’essa un’interpretazione fatta dall’uomo, non per forza la migliore. Nietzsche ci insegna che dovremmo essere più consapevoli del fatto che noi recitiamo nel mondo che esperiamo un ruolo ben più attivo di quel abitualmente ci immaginiamo. Questo è in fondo il senso nietzscheano del “prospettivismo”.
2.
Ricostruire metodologicamente la posizione di Nietzsche riguardo alla scienza è notoriamente un’impresa ardua, per farlo seguirò due massime. Primo, prendo seriamente i suoi espliciti consigli di lettura e le sue affermazioni riguardanti le sue idee principali. Nietzsche afferma retrospettivamente:
“Io in realtà non ho fatto altro che fisiologia, medicina, scienze naturali – e anche riguardo agli studi intrinsecamente umanistici io sono tornato indietro solo quando il compito [Aufgabe] mi forzava imperiosamente” (EH books HaH: 3).
Certamente Nietzsche non faceva realmente studi medici, ma le citazioni dimostrano quanto sia gli studi storici che quelli scientifici gli fossero fondamentali per assolvere al suo compito:
“Il mio compito è preparare un momento della più alta contemplazione del genere umano, un grande meriggio in cui esso possa vedere dietro e avanti a sé, dove l’uomo possa uscire dal governo della contingenza e dei preti e porre la questione: Perché? Per cosa? Per la prima volta nella sua interezza” (EH books D: 2).
L’ambizione di Nietzsche è quea di andare a di là sia della semplice contingenza del positivismo ingenuo, sia delle costruzioni religiose, metafisiche e storiciste, ponendo a centro della propria critica storica i modi e i valori attraverso cui l’uomo ha co-creato e continua a co-creare il mondo.
La seconda forma di approccio metodologico al pensiero di Nietzsche sulla scienza che ritengono interessante è quella che Stegmaier chiama “interpretazione contestualizzata”. Invece di raccogliere tutto ciò che Nietzsche ha scritto su scienza e tematiche simili nei suoi lavori pubblicati e non, si tratterebbe piuttosto di provare a ricostruire cronologicamente la sua opinione sulla scienza, considerando il più ristretto e il più largo contesto. Questi ambiti intrecciati permetterebbero di stabilire catene di aforismi (Stegmaier 2012) in cui Nietzsche sviluppa le sue idee su metafisica, causalità, lavoro scientifico, nominalismo, volontà di verità, interpretazione, ecc.
3.
Nietzsche è diventato una delle figure culturali più influenti del suo tempo appena pochi anni dopo il suo crollo (nervoso). Può forse ancora risultare sorprendente, per qualcuno, apprendere che Nietzsche fosse generalmente apprezzato dai padri fondatori della filosofia della scienza del suo tempo (e perfino dal Circolo di Vienna). Sono state ad esempio molto presto osservate analogie tra l’epistemologia di Nietzsche e di Mach (Kleinpeter 1913: 193-257; Frank 1917: 72). Insigni logici positivisti come Otto Neurath (1936: 697) e Rudolph Carnap (1928: 89, 1931: 80) si riferiscono occasionalmente a Nietzsche, condividendo la sua critica a Kant. Data la fondamentale importanza del Circolo di Vienna per i futuri sviluppi del positivismo logico ed epistemologico, questa connessione non dovrebbe essere sottostimata. In ogni caso, ancora più evidente è l’influenza prodotta da Nietzsche su epistemologi “eretici” come l’“anarchico” Paul Feyerabend (1963: 330, 1978: 343), lo “sperimentalista” Ian Hacking (1983: 1, 16f, 59), o il fondatore del realismo prospettico Ronald Giere (2006: 3). Tra i molti epistemologi sensibili all’opera nietzscheana, questi tre in particolare riconoscono esplicitamente l’importanza e l’utilizzabilità delle tesi nietzscheane in ambito epistemologico.
Ronald Giere, certamente non un nemico della scienza, dichiara ad esempio “la pratica della scienza stessa supporta una comprensione prospettica, più che oggettiva, del realismo scientifico” (ibid: 6). Raccomandando infine: “Un modo più modesto di sostenere la conoscenza (ibid: 7)”. Nietzsche non era certamente modesto come Giere, ma è pur vero che per lui la conoscenza aveva il – in fondo modesto – di servire alla sopravvivenza della specie umana. Nietzsche ci sprona, ancora oggi, a cambiare la nostra comprensione di noi stessi e la nostra attitudine epistemica. Invece di credere di comprendere soltanto passivamente materie e fatti, gli esseri umani potrebbero, forse dovrebbero, iniziare a confrontarsi col fatto, certamente inquietante ed increscioso, che essi hanno un ruolo attivo (e creativo!) nel mondo che conoscono; che essi, in fondo, sono co-attori nel processo di “fare-il mondo”.
(Traduzione di Cristiano Carchidi)