di Sabina Borsoi
“Tina Modotti, hermana, no duermes, no, no duermes”: è il primo verso della poesia che Pablo Neruda dedica a Tina Modotti in occasione della sua morte, parole che verranno incise sulla piccola umile lapide sperduta nell’immenso Panteon de Dolores di Città del Messico.
Neruda, come altri intellettuali dell’epoca – Rafael Alberti, Antonio Machado, Bertold Brecht, Ernest Hemingway, Costancia della Mora,… – conosce Tina in Spagna lottando nella sanguinosa Guerra Civile contro il fascismo franchista. Tina si trova lì come membro del Soccorso Rosso Internazionale assieme a Vittorio Vidali, il comandante Carlos del V Reggimento. Per tutti è Maria, qualcuno la conosce come Carmen Ruiz, ma solo a pochi intimi amici rivela la sua vera identità, il suo passato di fotografa in Messico e le sue origini Italiane, friulane.
Ricostruire la sua storia sarà molto difficile anche per i posteri: Tina Modotti è stata riscoperta solo molti anni dopo la sua morte, le informazioni che vengono raccolte tra archivi e testimonianze risultano spesso carenti e contrastanti. Si delinea il profilo complesso di una donna la cui vita è caratterizzata da emigrazioni, esili, arte, lotte politiche, amori e rivoluzioni. Dall’Italia agli Stati Uniti, dal Messico all’Europa, e poi la Russia di Stalin, la Spagna della guerra civile e di nuovo il Messico. Tutto ciò fa di Tina Modotti una figura malleabile su cui sono state spesso create narrazioni discutibili. Artista, fotografa, comunista, ad un certo punto della sua vita sceglie di abbandonare la macchina fotografica per dedicarsi completamente alla lotta antifascista come membro del Soccorso Rosso Internazionale.
Questo è il passaggio più discusso della sua vita sul quale si sono concentrati critici, biografi e romanzieri interpretando, supponendo e diffondendo teorie che in un certo senso rischiano di minare il valore della sua scelta. Lo fanno soprattutto da sinistra imputando l’abbandono dell’arte alla grigia macchina stalinista che risucchia le anime fagocitandole nei suoi ingranaggi, un pericoloso fantasma del passato da scongiurare, una macchietta da lavare. Ma ricostruendo il suo percorso, ascoltando i suoi contemporanei e la sua stessa voce nelle lettere e negli articoli risulta chiaro che la versione vittimistica della vita di Tina Modotti non regge.
Tina (Assunta Adelaide Luigia) Modotti nasce a Udine nell’agosto del 1896, una cittadina di provincia al confine nord orientale dell’Italia in cui i socialisti, come suo padre, non erano ben visti. Come molte famiglie dell’epoca anche la sua è destinata a emigrare in America, un pezzo alla volta, man mano che si mette da parte il gruzzoletto. Migranti economici che puzzano di aglio, si direbbe oggi. Così Tina diciasettenne raggiunge il padre e la sorella maggiore a San Francisco. Mentre un occhio apprensivo e preoccupato resta aperto sulla situazione Italiana, l’altro vivace e curioso recupera in fretta tra libri e mostre gli anni di studio persi per lavorare in fabbrica. In questo contesto conosce il futuro marito, il poeta e pittore Robo del quale rimarrà vedova dopo pochi anni, ma dal quale erediterà il sogno del Messico. Sogno che si realizzerà rapidamente assieme al fotografo e amante Edward Weston. I due si immergono con entusiasmo nel florido clima culturale messicano e stringono subito amicizia con i muralisti Rivera e Siqueiros. Tina è modella e allieva di Weston, da lui impara la tecnica e la ricerca dell’equilibrio delle forme e subito esprime il suo talento. Viene definita da Siqueiros, in un articolo dedicato alla sua prima esposizione, una fotografia pura, onesta che non ricorre a trucchi ma, accettando i limiti dello strumento, riesce a creare opere di pura bellezza. Tina nel frattempo comincia a frequentare il partito comunista, la redazione del suo giornale “El Machete” fondato, tra gli altri, dai muralisti ed entra a far parte della Liga Antifascista. Conosce il triestino Vittorio Vidali, inviato direttamente da Mosca per controllare il partito, conosce il suo grande amore, il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella che verrà ammazzato dai funzionari del dittatore Machado. Man mano che la sua attività politica si intensifica, i soggetti delle sue fotografie cambiano. Ritrae operai, campesinos, bambini della calle e simboli della rivoluzione, mantenendo sempre un equilibrio perfetto tra valore estetico e valore sociale. Tuttavia questo equilibrio, almeno nelle sue intenzioni, è destinato a incrinarsi in favore della funzione politica. Sarà Tina stessa a sottolinearlo nel saggio “Sobre la fotografia” pubblicato in occasione della sua ultima esposizione messicana, il suo ultimo atto rivoluzionario prima dell’esilio. Il clima politico in Messico è cambiato, è iniziato quel processo chiamato Contrarrevolucion e i primi ad essere colpiti sono i pericolosi comunisti stranieri.
Nel 1930 Tina viene espulsa e imbarcata, destinazione Rotterdam. Sulla nave c’è anche Vidali che la invita a seguirla a Mosca. Lei preferisce passare un periodo a Berlino, dove tenta di mantenersi come fotografa. Ma la luce non è quella del Messico, i materiali per la sua Graflex sono difficili da recuperare, ha pochi contatti, pochi soldi e l’OVRA alle calcagna. Dopo qualche mese raggiunge Mosca, le viene offerta la possibilità di lavorare come fotografa del Partito, ma lei rifiuta, preferisce agire attivamente come membro del Soccorso Rosso Internazionale. Nell’ultima lettera che scrive a Weston – con il quale ha sempre mantenuto una fitta corrispondenza – parla di “una vita completamente nuova” e si ritiene “quasi una persona diversa, ma molto interessante”. Ad un altro amico fotografo, Manuel Alvarez Bravo, esprime il suo stupore riguardo l’indifferenza con cui si sta separando dalla sua Graflex e l’assoluta mancanza di tempo da dedicare alla fotografia. Inizialmente Tina si dedica all’accoglienza dei rifugiati politici che fuggono dalle persecuzioni fasciste, poi assieme a Vidali viaggia in tutta Europa per sostenere le varie sedi del Soccorso Rosso fino ad approdare in Spagna nel 1936 quando sta per esplodere la Guerra Civile. Vidali, il Comandante Carlos, fonda il V Reggimento. Tina si occupa dell’allestimento degli ospedali, dell’organizzazione degli aiuti internazionali e dell’evacuazione dei bambini all’estero. Scrive inoltre diversi articoli per Ayuda, semanario de solidariedad, organo del Soccorso Rosso spagnolo. In questi articoli tratta diversi temi, ma in particolare traspare la sua convinzione nella lotta contro il fascismo, nell’internazionalismo, nella solidarietà di classe.
La causa antifascista è il filo conduttore della vita di Tina Modotti, causa alla quale sarà tanto fedele da rifiutare la tessera del partito comunista dopo la stipulazione del patto Molotov-Ribbentrop tra Stalin e Hitler. Coloro che hanno combattuto con lei in Spagna la ricorderanno come una donna fragile ma instancabile, forte e dura nei suoi ideali, ma senza mai perdere la tenerezza. Troppo spesso questa ultima parte della vita di Tina è relegata in un secondo piano rispetto alla Tina fotografa. Ma si dovrebbe ridare il giusto valore alla sua scelta di dedicare quegli anni alla lotta – ancora attuale – contro tutte le forme di fascismo. “Porque el fuego no muere”, ma di tanto in tanto bisogna ravvivarlo.