di Davide Pittioni
Tre momenti nella storia moderna e contemporanea hanno dato un contributo decisivo alla definizione dei diritti dell’uomo. La Dichiarazione di indipendenza americana, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la Dichiarazione universale dei diritti umani. Tutte dichiarazioni, dove “si dichiara”, cioè formule giuridiche strettamente legate alle funzioni della sovranità: è il sovrano che dichiara. In questo senso il valore dei diritti umani è ciò che fonda la nuova sovranità, ma anche il risultato, l’effetto, della sanzione della sovranità. Un paradosso che risiede nel cuore stesso della sovranità. Un cortocircuito tra la funzione e la rappresentazione della figura del sovrano.
Prendiamo la Dichiarazione di indipendenza americana. Sì, proprio la carta fondamentale di quella che, una volta esaurite le terre (immense per l’epoca) del Nord America, diventerà la potenza imperialista per eccellenza (gli sporchi yankees avevano anche un bambino nell’acqua sporca). La dichiarazione si apre con un paradosso: “noi riteniamo di per sé evidenti le seguenti verità”. Ma come, si potrà obiettare, se le verità (leggi diritti umani) sono di “per sé” (badare, non in sé) evidenti, perché c’è stato il bisogno di dichiararle esplicitamente? Semplicemente, ma è un problema mica da poco, perché non erano garantite, erano oscurate da un potere sovrano, la corona britannica, che le soffocava. È per questo motivo che le forme di pensiero del giusnaturalismo e del contrattualismo, le basi teoriche delle rivoluzioni settecentesche, furono costrette a recuperare una dimensione originaria, lo stato di natura, in cui si mostrassero nella loro evidenza i diritti inalienabili dell’uomo. A partire da questa fondazione extragiuridica (o meglio pregiuridica) è possibile sviluppare una critica al potere sovrano, si può giudicare e condannare, di fronte al tribunale della ragione, un sovrano assoluto. Come mette in luce John Rawls, non è necessario che lo stato di natura si sia verificato storicamente, che sia effettivamente la condizione naturale da cui prende avvio la società, perché lo stato di natura può essere pensato come condizione mentale in cui immaginare, attraverso procedure neutrali (lo sono veramente?), i diritti e i principî di giustizia che dovrebbero governare la società. Si tratta quindi di un artificio retorico, di una strategia discorsiva che permette ai coloni americani di “sganciarsi” dalla nazione britannica per rifondare una società che tuteli le “evidenze della ragione”. Tornando al paradosso della sovranità, grazie all’apparato concettuale giusnaturalista, la dichiarazione ha una funzione retroattiva: dichiaro i diritti che mi permettono di emanare una dichiarazione. La fondazione di un nuovo diritto si autogiustifica condensandosi nella dichiarazione.
Il discorso giusnaturalista – che nella rivoluzione americana, poi francese, ha giocato un ruolo decisivo e prevalentemente progressivo (e ma Robespierre? E la ghigliottina? E Bush padre? Bush figlio?) – può però diventare un poderoso equivoco. Rischia di diventare verità a-storica, momento fondante ed immutabile della civiltà. E ciò non riguarda solo lo stato di natura del pensiero contrattualista, l’antecedenza cronologica della stato naturale, ma anche il neo contrattualismo di Rawls che, pur considerando la situazione originaria come un esperimento mentale, è costretto a universalizzare la Ragione (fondamentalmente Rawls è un illuminista), rendendola quindi fonte di diritto e giustizia che attraversa immutata la storia. La ragione di Rawls è in definitiva sovrastorica, data una volta per tutte. È qui che avviene la rimozione che permette lo svilupparsi del pensiero giusnaturalista e contrattualista. Ciò che viene rimosso è la condizione materiale del diritto: il conflitto. Non si dà diritto senza conflitto. Questa è la lezione, tuttora insuperata, di Hobbes.
Potremmo definire il pensiero di Hobbes lo svelamento del discorso contrattualista: in Hobbes tutto avviene alla luce del sole. Il conflitto (lo stato di guerra) porta gli uomini ad unirsi nel contratto perché possano godere della pace e della sicurezza sociale: per eliminare, cioè, il conflitto. Il diritto naturale, che non ha consistenza perché privo di garanzie, deve essere sostituito dal diritto positivo del sovrano. Il diritto naturale, infatti, è una condizione valida solo nello stato di natura (affermazione non così tautologica come sembra, altrimenti non esisterebbe un pensiero liberale). Di nuovo, l’infelice coscienza del contrattualismo in Hobbes si confessa: il diritto naturale è una virtualità, ma non per questo priva di effetti. Per Locke e gli altri invece il conflitto resta latente, ricacciato continuamente sotto al tappeto dal richiamo del contratto: non è mai tematizzato, sembra un fantasma che aleggia nel pensiero contrattualista minacciando continuamente la pace sociale e lo status quo.
In tutto il pensiero contrattualista, da Hobbes a Rawls, l’obiettivo è risolvere la tensione verso la giustizia (che è un processo inclusivo che “apre” continuamente – attraverso il conflitto – le norme del diritto), definendo i diritti una volta per tutte: in Hobbes sciogliendo i vincoli del sovrano (il Leviathan) dal corpo sociale, nel pensiero liberale enfatizzando la funzione sociale dell’accordo tra gli uomini. Sia Hobbes che Locke restano però incapaci di problematizzare il tema del conflitto. Si fermano ad ammirare la grandezza della costituzioni formali, delle dichiarazioni, dei valori universali, ma non si rendono conto che all’interno del diritto si combatte una battaglia per la ridefinizione dei suoi termini e dei “soggetti” che ne sono coinvolti. Ovvero, che la società è costitutivamente attraversata da contraddizioni. Così nonostante le Dichiarazioni dei diritti siano scritte in termini volutamente universali, c’è sempre un fuori escluso dal diritto. Che sia per motivi di genere, condizioni sociali, inclinazioni sessuali, religione, o etnia.
L’autorappresentazione ideologica che una società esprime in una costituzione ideale mistifica la costituzione materiale che ne è alla base: a questo livello si trova un campo di forze attraversato da una serie di conflitti che producono e riproducono continuamente il diritto (in barba alla Bicamerale e alla pax sociale). È per questo che non può mai bastare una Dichiarazione. E che Robespierre ci fa così paura.