di Davide Pittioni
“Crepuscoli” è un tema in chiaroscuro. È quella condizione che si protrae oltre il passaggio di una linea di demarcazione, oltre il tramonto, prima di un’alba. Nel nostro caso, un’eterna transizione. Ma è proprio qui che si rende necessaria un’operazione di pensiero, per riprovare a tracciare quelle linee che abbiamo visto sfumare. Come nota Hegel, è sul fare del crepuscolo che si alza la nottola di Minerva, ovvero la filosofia.
Il prezioso pezzo di Lorenzo Natural (“Oggi, sul fare del crepuscolo, vi racconterò una storia italiana”) ci mette in guardia dalla ossessionante “macchina del presente”. Sono parole amare, incalzanti, che tracciano in poche pennellate la storia di quel crepuscolo che è la nostra epoca. A partire dallo spartiacque, classicamente rappresentato dalla caduta del Muro di Berlino e delle ideologie che teneva in tensione, del finire del millennio scorso.
Ma come dimenticare che in quegli stessi anni, nel cuore dell’Europa, si consumava un conflitto devastante? A margine del Secolo Breve, i Balcani furono teatro di guerre sanguinose. Giuseppe Nava, con “Come cani randagi”, ci getta uno sguardo “inedito”. Lo fa attraverso la sensibilità dei poeti che vissero sulla loro pelle quegli anni terribili, anni in cui “trovare un bicchiere di grappa è incomparabilmente più difficile che trovare la morte”. E i cani randagi? Dove sono? Non lo siamo forse anche un po’ noi, come si chiede Izet Sarajlić durante l’assedio di Sarajevo?
Il crepuscolo è, insomma, infinitamente più complesso e caotico di un evento di rottura: è un passaggio con una molteplicità di eventi, e forse – per come si è messa la nostra condizione – la loro definitiva scomparsa: è così che irrompe sulla scena la macchina mediatica.
Un’epoca in cui – al compimento ormai definitivo della politica come narrazione che abdica alla prassi e alla trasformazione – scorgiamo ancora i segni di nuove ripoliticizzazioni. Termine arduo, ma che ben descrive quel “cedimento a destra” dell’Europa assediata da crisi di ogni ordine, che Andrea Muni sviscera con sincerità nel “Crepuscolo rosso-bruno delle ideologie”. È lo stesso caso del crepuscolo sul ghiacciaio che descrive la bella testimonianza degli “Uomini del ghiaccio” di Ruben Salerno, che si protrae oltre la sua linea.
Ma c’è un’ulteriore indicazione che rilevano gli articoli di questo tema, decisiva per meglio comprendere il nostro crepuscolo. Le tante sfumature dell’indistinto riacquisiscono contorni più chiari se riusciamo ad ammettere che “un eccesso di prossimità ci impedisce di vedere fino a che punto il mondo possa essere cambiato sotto i nostri occhi nel giro di meno di un decennio”. Ed è quasi straniante ritrovarci nelle stesse parole del celebre scambio “Oltre la linea” tra Jünger ed Heidegger, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Là era la linea critica del nichilismo in questione e Heidegger ammetteva che cadremmo vittima di un’illusione ottica se pensassimo di poter semplicemente varcare uno soglia. E tuttavia, in gioco c’è ancora un oltrepassamento. Non fedeli, ma oltre la linea, anche se la linea non c’è.