Non bastano scenografie girevoli e buone voci per fare un musical. Non serve un’interprete di successo al centro della scena se poi quello che ne esce potrebbe risultare fatale per la sua popolarità. È troppo rischioso decidere di proporre un musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber che sta girando il mondo da quasi quarant’anni e di cui era già stata fatta un’edizione italiana non molto tempo fa. Anche se non è vietato produrre e rappresentare spettacoli musicali tradotti dalla lingua originale, questa pratica malvagia dovrebbe almeno essere sanzionata, perché un musical anglosassone tradotto in italiano ha lo stesso effetto del Barbiere di Siviglia in giapponese o di Cavalleria Rusticana in inglese o polacco.
Malika Ayane, l’interessante pop star dal registro timbrico personalissimo, è stata scelta come protagonista di Evita e nessuno sa perché, probabilmente nemmeno lei. In seria difficoltà nell’entrare in un personaggio che, nei tratti espressivi e fisici, più diverso non potrebbe essere, la cantante milanese viene anche messa perfidamente in crisi da alcuni passaggi in cui la tonalità dei brani è troppo spinta rispetto alla sua estensione vocale, e ci regala infatti nella prima metà del secondo atto un paio di stecche di prim’ordine.
Costretta a indossare una maglia color carne quando i costumi lasciano libere spalle e braccia, a Malika non è consentito farci vedere i tatuaggi che di solito orgogliosamente ama ostentare, ed è un accorgimento che purtroppo cancella anche quel briciolo di ironia in cui avremmo visto una volontà di non prendersi troppo sul serio e che avrebbe forse dato allo spettacolo un senso scanzonato – più appropriato, date le circostanze – al posto di quello grave ed eccessivamente melodrammatico che si è abbattuto sul pubblico per due ore.
Le parti collettive soffrono di una discrasia evidente: le voci corali sono potenti e impetuose, si distinguono bene, eseguono la partitura fedelmente intrecciandosi nelle linee melodiche accattivanti. Non ci si è invece sforzati molto per inventare coreografie un po’ originali e meglio sincronizzate.
Per la parte di Che Guevara, che nella realtà non incontrò mai e mai ebbe a che fare con Eva Peron, c’è il prestante Filippo Strocchi il quale però, essendo stato selezionato alcuni anni fa per lavorare nel cast internazionale di Cats nel ruolo di Rum Tum Tugger, il gatto teppista, si deve essere affezionato alla sua precedente incarnazione felina e interpreta il braccio destro di Fidel Castro come se ancora si trovasse armato di unghie e vibrisse.
Nella deludente performance complessiva brillano invece le voci di Tiziano Edini, nel ruolo di Augustin Magaldi, l’uomo che portò a Buenos Aires la giovane e ambiziosa Evita, e soprattutto quella di Enrico Bernardi, che interpreta Juan Peron in maniera convincente e con un’importante presenza scenica.
Nel 2010, al Politeama Rossetti Evita era andato in scena in versione originale con Abigail Jaye e Mark Powell. È un bel ricordo, e rischia seriamente di diventare anche un rimpianto.
Evita è al Politeama Rossetti, dal 18 al 22 gennaio 2017