Il magico mondo delle parafilie #1. Il frotterismo, l’arte e la filosofia

di David Watkins

Frotterismo:
impulso irrefrenabile a strofinarsi contro una persona non consenziente.
Etimologia: dal fr. frotteur: “chi si sfrega”.m

Mentre ci sentiamo soffocare nell’aria invivibile di un autobus in piena estate, mentre sbuffiamo contro la sorte che ci ha intrappolati in una fila interminabile alle poste, mentre siamo in discoteca e l’unica cosa che vorremmo è bere ancora, ma c’è troppa gente, mentre esercitiamo il nostro odio reciproco, e ci odiamo per il solo fatto di esistere, e di essere capitati lì, insieme, in quel preciso momento, c’è un frotterista che gode alle nostre spalle.

In un senso più concreto e meno patologico dell’innamorato, il frotterista vive nell’attesa. Quando l’autobus obbedisce alle fermate che dividono la città e la smania di scendere è la sola voce che parla in noi, ecco il corpo del frotterista vacillare un po’ più del nostro, cullarsi nella nostra frenesia, ed ecco la sua mano, una manciata di istanti, strofinare il dorso sulla superficie del corpo limitrofo, passare con il palmo, lieve lieve, sul vestiario, ritirarsi tutta in un tremolio.

Ma il frotterista non tocca: appoggia, strofina, sguscia, sfrega, sfiora. È dove la timidezza si mescola all’audacia. Una violenza rarefatta in un cenno della mano.

Un frotterista non può essere colpevole né innocente, ma solo un buono o un cattivo frotterista. Se il suo gesto funziona, se riesce a scomparire nella rara misura che separa il toccare dal non toccare, quel po’ di piacere che egli riuscirà a ricavarne, uscirà dal nostro corpo a nostra insaputa e nessuno potrà dirsi vittima della sua piccola mania. Se invece la volontà che precede la sua mano risulta percepibile, allora il frotterismo scade nel viscido e nella molestia.

La geometria ideale dei suoi movimenti è come abbandonata a se stessa; la balistica delle sue mani, strattonata da un vento che non esiste, ma che egli ci costringe a immaginare. Il suo più ostinato capriccio, la sua intenzione più recondita e cocciuta, il suo cuore pieno di scrupoli e di voglie, tutto deve intrufolarsi nella grazia di un movimento necessario, dettato da un intrico inevitabile di minime contingenze o dal puro caso. Dare l’impressione di non provenire da una qualche volontà, scivolare su un corpo come per sbaglio o distrazione, è certo il segreto di ogni fascino, l’elemento più persistente, forse, di ogni bellezza. Il frotterista è quotidinamente condannato a rinnovare questo segreto.

Che il tatto raggiunga lo stesso grado di inconsistenza della vista, che la mano si converta, finalmente, in uno sguardo; che i corpi non siano altro che un trapasso impercettibile e vago, che la pesantezza del corpo sfumi in una docile fantasticheria. Questo, in ultima analisi, il sogno di un frotterista.

Per chi vive nel terrore dei posti chiusi (claustrofobia), per chi conosce l’oppressione nella folla e nelle piazze (agorafobia), il frotterismo costituisce certo una conversione o un antitodo, una cura possibile.

Perché spesso una malattia porta con sé i germi di un’altra salute.

Non resta che augurarsi che il frotterista, questo personaggio illustre ma trascurato persino da quella scienza che, come lui, ficca le mani un po’ dappertutto (medicina), riceva dagli artisti e dai filosofi tutta l’attenzione che merita.

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