di Franco Salvaterra
Patrizia guarda il frigorifero. È di ritorno da un ballo in maschera e ha fame ma ogni volta che solleva lo sguardo per darsi la forza di cercar qualcosa da mangiare, sente le tempie pesanti ai lati della testa, abbassa gli occhi e ritorna in nel loop di quei movimenti. Il lampadario proietta una luce bianca, fredda, fino alla base della sedia.
Il vino era fortissimo.
Patrizia va a un evento mascherato diverso ogni settimana. È un’ottima ballerina e le piace dimostrarlo, anche se odia stare al centro dell’attenzione; per questo si nasconde dietro a camuffamenti piumati e colorati. È una donna di trentasette anni, single e affascinante, potrebbe trovare qualcuno da amare in men che non si dica, se solo volesse. Le capita spesso di essere invitata da qualche vecchia compagna di università a bere un bicchiere ma rifiuta sempre. Non ha mai fumato, beve solo di rado. La casa è il suo regno, la percepisce smisurata nonostante le modeste dimensioni, perché le cose importanti sono dentro, il resto sta fuori. Mentre taglia l’omelette con cura e minuziosa geometria, lo sguardo si sofferma per un attimo sul freezer, proprio sotto al frigo. Il lucchetto ormai è allentato e non serra più, come una volta, le catene che lo avvolgono.
La mattina presto Patrizia si incammina per le vie del paese a fare la spesa. Uscita dal supermercato, nel ritorno a casa indugia per un attimo davanti alla porta della macelleria, poi entra. È la cliente preferita di Pietro, l’energumeno che lavora lì. Un uomo che non intrattiene conversazioni lunghe con i clienti, però ama il suo mestiere e non si stancherebbe mai di parlarne, specialmente se a chiedergli un consiglio è lei. In paese c’è chi dice di averlo riconosciuto una volta ad un rinfresco in maschera: Pietro, smisurato sotto al completo, inconfondibile anche con il viso celato, un pesce fuor d’acqua in cerca della cima di una montagna, inarrivabile, troppo elevata. I due si salutano con un sorriso. Arrivata alla cassa Patrizia chiede solo qualche consiglio sul disossamento della carne, vuole imparare come separare gli snodi delle fasce in maniera precisa. Non appena arriva un altro cliente alla cassa, saluta Pietro ed esce, lasciandolo un po’ amareggiato per la chiacchierata più breve del solito.
Tornando a casa, riflette sulle indicazioni del macellaio. Con i pochi soldi che le rimangono si procura dei fiori da mettere sulla tomba dei genitori, che cura più come passatempo che come rito. Dopo una decina di minuti i fiori sono al loro posto e questo la mette di ottimo umore. Mentre si allontana dal cimitero, sorride. Arrivata nel vialetto di casa, si siede per qualche minuto sulla panchina sotto al cipresso. Concentrata, contempla minutamente la pianta che le fa ombra.
C’è solo una cosa che Patrizia ama più dei balli in maschera: la sua vocazione per l’arte pura, che sviluppa ed ammaestra attraverso il lavoro di pittrice. È come se attraverso l’opera riuscisse a percepire il suo legame con la realtà, a riportare su tela i propri pensieri. I suoi soggetti sono nature morte, ritratte a partire da composizioni ready-made.
Stanno per arrivare i nuovi pezzi da assemblare -è tutto ciò che le interessa al mondo- potrà ricavarne un dipinto sublime.
Il corriere si presenta sempre in un parcheggio della periferia, raggiungibile in venti minuti se si passa per le strade dei campi. Lo si trova sempre pronto, seduto nella sua macchina con i finestrini oscurati. Quando scende dal mezzo sembra un ragno che esce dalla tana: alto e magro, con delle gambe lunghissime, interamente vestito di nero opaco, con un cappello elegante dello stesso colore. Indossa una maschera rossa molto simile al muso dei demoni ritratti nelle pitture giapponesi tradizionali, con zanne bianche aguzze ed occhi gialli come quelli di un serpente: il pusher della sua ispirazione. Scaricato un pacco dal baule senza dirsi una parola, i due si separano. Mentre torna a casa con il pacco, Patrizia già si sente pronta ad assemblare una nuova opera. Chiude la porta di casa alle sue spalle, serra le imposte del balcone e spegne tutte le luci tranne quelle dello studio. Si siede ad osservare la chiave del lucchetto, respira profondamente, concentrandosi solo su quest’azione, per liberare la mente da tutto il superfluo. Dopo aver estratto qualche vecchio pezzo dal freezer da combinare a quelli della nuova consegna, li asciuga con cura dalla formaldeide appiccicaticcia. Ne disossa una buona parte, ripetendo i gesti che le ha mostrato Pietro la mattina. La mente ritorna al cipresso.
L’albero della vita. Questo concetto le rimane in testa, la fa pensare ad un progetto precedente. Un po’ di tempo prima aveva ipotizzato di sviluppare un soggetto arboreo simile. L’idea le era venuta in mente quando Pietro, riconoscibilissimo, era entrato in sala da ballo una sera. Le regole del ballo in maschera sono semplici: celare la propria identità, divertirsi e divertire. Dunque lo aveva evitato, non prima di notare come le foglie appese alla maschera dell’uomo sembrassero la chioma di un baobab ipertrofico. Eppure lui, così buffo, era l’unico che la incuriosiva, l’unico ad emanare emozioni anche da mascherato. Nei suoi movimenti si vedevano l’imbarazzo di sentirsi fuori luogo, la curiosità di trovarsi in una circostanza nuova, ma anche la sicurezza che lo contraddistingue quando lavora. L’albero della vita simboleggia adattamento, mescolanza di essenze, trasformazione…
Il lavoro di cucito è la parte più difficile, ma il risultato sembra accettabile. Dopo aver disteso le parti più sottili alla base della scultura, l’assemblaggio è completo. Conclusa la parte tecnica, finalmente arriva l’ora di disegnare la bozza, da seguire poi con il colore. Dipingere è ciò che preferisce, lo scopo della sua esistenza, ne ricava tutta la soddisfazione di cui ha bisogno. Nella tarda mattinata ha terminato un’altra meraviglia di cui andare fiera, contemplata con un profumatissimo tè alla menta e alcuni biscotti al limone. La tela deve essere spedita allo studio nel pomeriggio. Patrizia si concede qualche ora di riposo, sul divano, con la stanza completamente oscurata dagli abbaini chiusi. Sulle mani ha ancora le macchie di colore. Nel dormiveglia che precede il sonno pomeridiano, pensa con soddisfazione al suo lavoro. Sente che all’asta non ci sarà gara, è perfetto.
La descrizione del dipinto recita:
Albero della vita
(Natura morta su tela)
Tendini, vene ed arterie sono state disposte come radici, legate al fusto formato da avambracci cuciti in semicerchio con una grande coscia al centro, troncata all’altezza del ginocchio (Marco, sovrappeso, 50 anni, attacco cardiaco). Un cranio ignoto senza la pelle della faccia sovrasta il tronco della pianta scrutando l’osservatore dal buio delle orbite vuote. Sullo scalpo carnoso, base dei rami, sono stati innestati diversi pezzi, nell’ordine: metacarpi misti scarnificati disposti a corona, occhi su alcuni rami, a simulare dei frutti carichi di semi dalle iridi diverse.