di Ivan Buttazzoni
Grandi protagonisti della Commedia dell’Arte cinquecentesca sono i servi: Arlecchino, Zanni, Scapino, Brighella, Pulcinella. Accanto ai vecchi, ai Capitani e agli innamorati rappresentano le maschere tradizionali di questa forma di teatro scandalosa, oscena e innovativa.
Il Medioevo censurò il teatro, il cui spirito anarchico e provocatorio sopravvisse a secoli di repressione religiosa quasi solo grazie all’opera artistica di buffoni e giullari di corte. I buffoni, i giullari, gobbi, nani, storpi, “freak”, mantennero in vita durante quei secoli una tradizione che affondava le proprie radici nel teatro popolare antico. A loro rischio e pericolo, questi freaks medievali compirono l’atto eroico di farsi portavoce di una verità che sfidava e derideva il potere, le ideologie, le istituzioni.
Dobbiamo ancora una volta all’eroismo di freaks e outsiders la conservazione di un patrimonio culturale scomodo quanto illuminante. Buffoni e giullari, come i personaggi più umili della Commedia dell’Arte, erano infatti servi, schiavi. Schiavi del potere e della fame. Ma la condizione servile non precludeva loro lo sviluppo dell’intelligenza, anzi.
Il giullare, il buffone, il gobbo di corte, il freak e, in seguito, il commediante di Età Moderna, erano e restano a proprio modo consapevoli, arguti: hanno imparato a sviluppare una pungente furbizia per denunciare l’ottusità dei costumi e l’ipocrisia del potere, riuscendo al contempo (spesso, ma non sempre) a non subirne la severa e sanguinosa vendetta.
I buffoni, i nani di corte e i giullari si fingevano folli per poter dire ciò che a loro pareva… Forse è da questo che dervia l’abitudine dei commedianti cinquecenteschi di recitare mascherati: per non farsi riconoscere da coloro che avrebbero potuto perseguirli. Un modo originale di agire artisticamente in incognito.
Il servo nella commedia antica
Il personaggio del servo teatrale, metafora e personificazione dell’archetipo dello schiavo, ha un’origine antica. Vorrei connettere la Commedia dell’Arte – che ebbe il suo periodo di vitale splendore dal Cinquecento fino alla Rivoluzione Francese e all’avvento di Napoleone – con le antiche Atellane: forme di teatro popolare in maschera di carattere licenzioso, sviluppatesi nell’antichità nella cittadina campana di Atella, e poi importate a Roma nel 391 a.C.
L’Atellana, a mio parere, è l’antecedente artistico della Commedia dell’Arte. Lo spirito delle Atellane rimase in vita nonostante le censure ecclesiastiche del Medioevo fino all’Età Moderna (nelle performance dei nani di corte, di giullari e buffoni). Tra i vari personaggi della commedia cinquecentesca, quello che maggiormente si riconnette all’universo espressivo delle Atellane è senza dubbio Pulcinella, il servo (lo schiavo) napoletano per antonomasia.
Le Atellane, come la successiva Commedia dell’Arte, erano basate su personaggi fissi, canovacci con temi costanti, e improvvisazioni.
Inoltre queste due forme di teatro erano unite da un comune carattere popolare, licenzioso e farsesco, oltre che dall’atto performativo itinerante.
I personaggi fissi mascherati dell’Atellana erano il Maccus, il Pappus, il Bucco e il Dossennus. A questi quattro archetipi principali se ne aggiungeva un altro, semi-animale, il Kikirrus, l’uomo-gallo.
Il Maccus era il mangione sciocco, il Pappus un vecchio stupido, il Bucco un fanfarone ciarliero, e il Dossennus un gobbo astuto. Il Kikirrus, l’uomo-gallo, era il personaggio più misterioso e teriomorfo (animalesco), nonché comico.
Se il Buccus in quanto ciarlatano, ghiottone e abile parlatore, è l’antenato del dottor Balanzone, il Pappus, vecchio, rimbambito e avaro, è il precursore di Pantalone. Il servo per eccellenza, lo schiavo per definizione, nelle Atellane è il Maccus. Ma più che nel Maccus, le origini di Pulcinella sono da ritrovare nel misterioso, animalesco, teriomorfo Kikirrus.
La parentela più prossima delle Atellane è quella con il dramma satiresco greco. Morfologicamente, la maschera di Pulcinella ricorda assai quella del Maccus, ma le sue caratteristiche misteriose lo connettono antropologicamente, e come archetipo, al Kikirrus. Credo che la genesi di Pulcinella derivi da una sintesi psicologica e figurativa tra i personaggi del Maccus e del Kikirrus. È all’incorcio di queste due figure che sorge quella figura fondamentale della Commedia dell’arte che è lo schiavo “finto-scemo”: furbo, irriverente e per di più frequentemente connesso a una dimensione non umana, infera e sovrannaturale.
Pulcinella è comico e inquietante insieme: possiede un incarnato cadaverico, un corpo deforme, indossa una veste bianca che sembra un sudario. Vari suoi attributi sono legati esplicitamente alla morte: la maschera nera e demoniaca, e la gracchiante voce non umana che pare provenire dall’Al di là.
Pulcinella: servo e padrone
Pulcinella incarna le tragedie dello schiavo, le miserie umane, compresi il crimine, la pestilenza e la morte. Vi è un lato tragico, serio e mortifero nel buffone Pulcinella, che aggiunge profondità a questa maschera da schiavo.
Questo servo sa essere stupido e astuto, ingenuo e furbo, raccoglie e fonde le polarità psichiche e comportamentali. Egli esprime aspetti ctoni, inferi, animaleschi e oltre-umani. E’ lussurioso, ghiottone, ispirato dalla luna e dai morti.
Pulcinella, dal nome femminile, nella tradizione è rappresentato mentre partorisce dei pulcinellini dalla gobba. È ermafrodito, androgino, ricorda il Rebis dell’alchimia, l’Androgino mistico dell’ermetismo. Secondo queste tradizioni culturali esoteriche l’Androgino, uomo e donna insieme, è l’essere perfetto, oltre-umano e superiore. Pulcinella così, nella sua parodistica “perfezione metafisica” rappresenta e incarna la rivincita dello schiavo.
Le vie di uscita da una condizione di inferiorità sociale sono vie traverse, nascoste, occulte, oscure come la vera natura di Pulcinella. Il riscatto dello schiavo, di Pulcinella ma anche dei buffoni e dei giullari medievali, si concretizza nello sviluppo di speciali e inedite qualità mentali e intellettuali.
Lo schiavo-furbo è il servo liberato nella dimensione dell’intelletto. Il servo Pulcinella, portavoce privilegiato dei morti e dei revenants, in quanto androgino e spirituale ha un riscatto epocale su un livello “metafisico” e sfuggente agli artigli spietati del potere e del “senso comune” dei suoi vari padroni.
Il potere del servo si rivela allora la sua furbizia. Lo sviluppo della scaltrezza, del “genio servile”, rende alla fine lo schiavo “padrone” mentale del proprio padrone sociale. E’ questa la lezione della Commedia dell’Arte, dove anche Arlecchino, grazie alle sue doti intellettuali, riesce a dominare il ricco, tirannico babbeo Pantalone; e dove Pulcinella sa ingannare e plagiare il severo Capitano fino a imporgli completamente la propria volontà.
L’emancipazione del servo della Commedia infatti non è sociale ed esplicita, ma intellettuale e “occulta”. Sono i servi, gli schiavi a risultare alla fine i veri padroni della situazione: essi hanno imparato dalla vita, sono degli outsiders che sanno pensare con la propria testa.
Arlecchino e Pulcinella sono i veri sovrani dei canovacci di Commedia, i ricchi Signori come Pantalone e Balanzone, devono soccombere di fronte alla superiorità intellettuale e psichica dei loro servitori.
La rivoluzione “occulta” di donne e servi nella Commedia
Colombina è così la paladina dell’emancipazione femminile. Primo personaggio ad essere interpretato da attrici donne, e non da uomini travestiti da donna, come era d’uso fare nel teatro dell’epoca, ella è il personaggio più puro, altruista e intelligente fra tutti gli archetipi della Commedia. La donna e lo schiavo, quindi, secondo la lezione della Commedia possono ribellarsi e diventare gli autentici padroni socio-economici, in modo sommesso, traslato, nascosto.
La Commedia ci insegna quindi una nuova forma di rivoluzione, scevra da violenza e aggressività. Una rivoluzione della mente, che sfrutti le debolezze del padrone e del sistema sociale dominante per imporre in modo assai furbo una verità altra, e spesso “anarchica”, nei sentimenti e nelle relazioni concrete.
Il proto-femminismo di Colombina, l’orgoglio servile di Arlecchino e Pulcinella, ci consolano, divertono e ispirano. Ci insegnano che una autentica rivoluzione dei costumi non deve per forza avvenire nel sangue e nel disordine, ma può essere effettivamente messa in scena nel qui ed ora grazie ai poteri della mente e dell’intelligenza.
La chiave corretta di lettura degli archetipi e dei canovacci di Commedia dell’Arte, è a mio avviso fortemente anarchica e libertaria, ma soprattutto illuminata. Tale arte ci istruisce su come ribellarci alla schiavitù nella pace, sviluppando consapevolezza filosofica, furbizia e arguzia intellettuale.
Quale sapere, quale potere?
Il padrone, il tiranno, possono essere vinti con il sapere, perché il sapere è potere. Il sapere è un’arma a doppio taglio che deve essere maneggiata in modo consapevole per ottenere una vittoria non violenta nel perenne scontro tra le classi sociali. E’ evidente che la nostra società mantiene in vita rapporti di schiavitù sotto mentite spoglie, ma questa storia è vecchia come il mondo: le relazioni umane si determinano in base alla dialettica Servo-Padrone (con Hegel, con Nietzsche, o col Cristo – che parla di dare a Cesare quel che è di Cesare – poco importa).
La risposta eclatante e rivoluzionaria della Commedia dell’Arte è l’idea di una sottile contromossa parodistica e non violenta dell’intelligenza.
Gli schemi, le tattiche, il linguaggio e le azioni del potere possono, con scaltrezza e furbizia, essere rivoltati contro il potere stesso. Si creerà allora un terreno neutro, una zona di nessuno, aperta al non senso e alle interpretazioni, dove Pantalone è l’autentico schiavo intellettuale di Arlecchino; dove Pulcinella o Colombina dominano “psicologicamente” la volontà e il patrimonio di Balanzone.
Un’eterna lotta, quella fra le classi sociali, può così trovare compimento in un atto mentale, filosofico e linguistico che inverte le relazioni di potere senza ribaltare l’apparenza delle condizioni sociali.
Il potere è immagine di sé, puro narcisismo del tiranno – ma i servi, gli schiavi della Commedia dell’Arte – sono carne, sangue, appetiti viscerali e cervello. Hanno un rapporto privilegiato con la sorgente della vita: il corpo, la fisicità pensante di cui parlano, a modo loro, Nietzsche e Artaud.
Grazie a questo legame con la vita materiale gli schiavi sanno inscenare rivolte private, segrete, impercettibili, eppure talmente significative da consentirgli di plasmare a loro immagine una piccola fetta di quel mondo reale in cui – alla fin fine – è proprio la loro volontà di potenza a farla da padrone.
Pulcinella è allora il servo che, grazie alla sua pulsione filosofica, compie il salto di classe sociale e riesce ad asservire il suo stesso padrone. La rivolta di Pulcinella, il suo fantomatico segreto, non è annunciata dalle cronache e dai media: è la potenza della vita “serva” che si spande sui costumi sociali e rovescia sur place sull’impostura artificiale del “decorum” e dello status quo.
I servi della Commedia dell’Arte sono infatti naturalmente osceni, perché partecipi e rappresentanti di una volontà e di forze che vengono forzosamente tenute al di fuori della scena del potere. Il potere è rappresentazione di sé: immagine della potenza. Ma la verità e la volontà stanno altrove, ribollono nella carne desiderante dello schiavo che si fa mente e pensiero, che penetra fin dentro alla scena de-corporeizzata del potere per squarciarne l’immagine ribaltandone il significato e il valore.