di Francesca Macor
È morta il 22 luglio di quest’anno Halldóra Thoroddsen, che ha scritto questo romanzo – uscito per Iperborea Casa Editrice – di una delicatezza e dolcezza disarmanti su un argomento tabù come la passione senile. Un argomento ancora spinoso per molti che, spesso, appena sollevato scatena reazioni diametralmente opposte.
Un’anziana donna vedova – che non riesce del tutto ad arrendersi alla sua età né a smettere di porsi domande sul mondo – intreccia una relazione con un coetaneo. I due riscoprono così la bellezza di sentirsi desiderati e la complicità di un nuovo amore, ma suscitano al contempo repulsione e diniego nei figli e negli amici.
Certo che lo sa. Un amore sterile, che feconda solo sé stesso, non è mai stato benvisto
La vecchiaia è un capolinea imposto dalla società, un limite oltre il quale non sei più una persona ma soltanto un oggetto sullo sfondo: immutabile e immobile nei ruoli che ti sono stati assegnati durante tutta la vita. Questo romanzo ci ricorda che non dev’essere per forza così, che l’età non è uno standard su cui misurare la possibilità di innamorarsi, di esprimersi, di vivere la sessualità. Thoroddsen ci fa riflettere sul labile limite imposto dagli standard di bellezza della nostra società e sul fatto che, anche quando non veniamo più considerati attraenti, restiamo comunque vittime ancora per lungo tempo degli stereotipi di genere che ci hanno afflitti da giovani.
Bello. Sai per caso se è stato tradotto in inglese?