di Livio Cerneca
Se un’allegoria ha bisogno di essere spiegata, o non è una buona allegoria, o chi fa fatica a capirla non conosce le premesse e il contesto.
Le disastrose conseguenze della pandemia da Covid-19 sono un’allegoria che utilizza un sistema di simboli specifici (il virus, la malattia, la morte, la costrizione, l’isolamento) per rappresentare una condizione generale (la nostra organizzazione sociale ed economica) e dimostrarne l’inadeguatezza.
Un’allegoria talmente efficace che, invece di limitarsi a illustrare la realtà utilizzando similitudini figurate, costruisce un modello tridimensionale e funzionante di ciò che vuole descrivere.
Non si può certo dire che non sia un’ottima allegoria, e anzi, è tra le migliori che si possano immaginare. Eppure, nonostante ci stia macinando nei suoi ingranaggi che si muovono con sincronismo prodigioso, non ne comprendiamo il significato. Non siamo capaci di trovare il nesso. Se ci riuscissimo, riconosceremmo al volo il fallimento del metodo che abbiamo finora applicato alla gestione del mondo e ci affretteremmo a cambiare rotta.
L’allegoria del virus somiglia molto ad un avviso. Non è detto che sia l’ultimo, ma di sicuro non è neanche il primo. Ci viene comunicato chiaro e tondo che così non si può andare avanti, perché la Terra non riesce più a sostenere le sproporzionate esigenze dell’umanità. È un messaggio volutamente semplice da comprendere, ma noi, che siamo sicuri di essere la specie più evoluta, proprio non ci arriviamo. Eppure non ci sono doppi sensi o indovinelli: il pianeta ci sta intimando “piantatela!”.
Piantarla non è facile. Richiede una severa revisione di stili, tecniche, abitudini e processi che diamo per scontati e che non abbiamo ancora ben chiaro come rimpiazzare. Se però aspettiamo che la soluzione ci appaia già chiara, cristallina e pronta all’uso, non riusciremo a trovarla. Raramente le soluzioni studiate su modelli ipotetici complessi poi funzionano in pratica. Troppe variabili. Solo un autentico stato di necessità immediato stimola soluzioni più efficienti e adatte alla realtà. Forse pensiamo di non trovarci ancora in uno stato di necessità urgente, ma è probabile che ci stiamo sbagliando.
Ci sono pochi dubbi che il virus e la sua rapida diffusione siano correlati al nostro rapporto con gli altri animali, selvatici e di allevamento. Questo rapporto è, al momento, totalmente sbilanciato in nostro favore, e ci fa credere di godere a tempo indeterminato di particolari privilegi su scala planetaria. Non ci sentiamo solo autorizzati a sfruttare e sottomettere tutte le altre specie viventi, ma anche a compromettere il loro habitat, che però è anche il nostro.
Più esplicita di così, l’allegoria non potrebbe essere. Dice: in questa mia rappresentazione, il virus siete voi umani, e l’organismo che viene attaccato dal virus è la Terra. Il virus riesce a trovare la chiave per insediarsi nell’organismo e prenderne possesso, si propaga rapidamente dilagando ovunque (invasività umana che reclama sempre maggiori risorse), nei polmoni soprattutto (l’ambiente naturale, le foreste, quelle che ci permettono di respirare) ma anche nel sistema nervoso (le relazioni sociali ed economiche).
Qual è stata la nostra risposta – diciamo non particolarmente sagace – a un monito così perentorio?
Per cominciare, abbiamo decuplicato il consumo di prodotti usa e getta, cioè di immondizia.
Poi, benché stiamo sperimentando direttamente che un microscopico fenomeno naturale può far crollare l’infrastruttura economica sulla quale poggiano le nostre certezze, invece di metterla in discussione e affrettarci a cambiarla, la alimentiamo ancora di più accentuando ulteriormente disparità e ingiustizie.
Infine, in una circostanza piena di incognite che richiederebbe senso critico, capacità di analisi oggettiva nonché sangue freddo, ci lasciamo sopraffare dall’isteria e dalle manie di persecuzione, mentre nel frattempo molti governi e pubbliche amministrazioni sfruttano la situazione per ridurre i servizi e le libertà individuali.
Anche se è molto ben congegnata, la nostra allegoria non è perfetta. Smette di funzionare quando, a un certo punto, il virus inizia a mutare e sviluppa le varianti. Lui ha capito che se vuole sopravvivere deve cambiare. Noi invece siamo quelli che non cambiano mai.