di Ruben Salerno
Agosto 2014, il clima sul fronte sportivo è rovente: a breve infatti, verrà eletto il nuovo presidente della Federazione Giuoco Calcio, lo sport italiano per definizione. Qualche giorno fa, il candidato favorito per la vittoria, Carlo Tavecchio, ha pensato bene di darsi una martellata sugli alluci con una gaffe a sfondo razziale durante un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Apriti cielo! Tra i conti e i baroni dei vari club e delle istituzioni è tutto uno stracciarsi le vesti e gridare allo scandalo. Mai alcuno aveva osato pronunciarsi in tal modo, né mai perdoneranno siffatto affronto! Come si può infangare con tale violenza il buon nome del calcio, i valori dello sport e dell’etica globale?
Premesso che l’uscita di Tavecchio è davvero da dilettanti (non a caso è il presidente dell’omonima Lega), il fatto ha completamente messo in ombra le motivazioni di tutto questo caos: nuove elezioni e nuovi progetti sono necessari per ricostruire la Nazionale dopo la disfatta brasiliana. La Germania, come ciclicamente accade, ha provato a conquistare il mondo. Questa volta però c’è riuscita, dando a tutti una lezione di professionismo, tenacia, tecnica e mentalità vincente. Insomma, tutti adesso vorrebbero emulare ciò che i ‘mangiacrauti’, novelli paladini dello sport moderno, hanno strutturato in dieci anni, sicché dirigenti e allenatori di tutto il mondo si riempiono la bocca di paroloni quali “programmazione”, “valorizzazione dei settori giovanili”, “marketing mirato”, ecc.
Eliminate (o autoeliminatesi) le dirette concorrenti, tra cui la molle Italia, i tedeschi hanno spazzato via il Brasile, nazionale ospitante, favorita e condannata a vincere per evitare l’esplosione di una guerra civile in casa propria. Sulle spalle del popolo carioca infatti, pesa la follia dei propri rappresentanti. Questi hanno ben pensato di ospitare, nel giro di un biennio, due delle tre più grandi manifestazioni sportive del globo: Mondiali di calcio e Olimpiadi estive. Nell’illusione di ratificare l’ingresso del paese nel novero delle potenze economiche mondiali, il Brasile si è dato una mazzata sugli stinchi che neppure Tavecchio saprebbe imitare. Così com’è successo da noi con l’Expo milanese, i soldi stanziati per le due grandi opere sono finiti ancora prima di cominciare i lavori, sicché il governo ha tagliato scelleratamente su scuola, casa e welfare per recuperare i miliardi necessari.
Come se non bastasse, per dare un aspetto più pulito e bucolico a un paese in tumulto, han pensato bene di espropriare famiglie e abbattere le case per fare gli stadi, radere al suolo le baraccopoli, deportare o ammazzare poveracci, barboni e randagi. La reazione popolare è stata immediata: rivolte di piazza, bastiglie e rivoluzioni, popolo furioso e irrefrenabile, popolo affamato e violento. Come insegna il Vangelo tuttavia, non si vive di solo pane, e come insegna Nerone, al panem vanno accostati i circenses. Così, unte le mani di un po’ di arbitri e riunita la nazione attorno a un ragazzino belloccio e viziato (leggasi Neymar) presunto talento, il frastuono delle piazze è mutato in semplice rumore, sovrastato dal tifo, le ole e gli applausi per la nazionale della salvezza. Inseguendo sogni di gloria, i brancaleonici eroi sono arrivati fino in semifinale, per poi crollare miseramente sotto i colpi dei panzer tedeschi.
Abbandonate le speranze mondiali, sono ricominciate sommosse e rivolte, fino alla richiesta di dimissioni del presidente del governo. Una nuova, più grande, minaccia appariva però all’orizzonte: l’odiata Argentina rischiava di alzare il trofeo in terra brasiliana, un’onta inacettabile, una beffa che superava qualsiasi danno materiale e morale, un rischio ben più grande dell’imminente implosione sociale. Fortunatamente la Germania ha schiantato anche gli sfidanti della Pampa e un grido di gioia si è levato, dalle spiagge di Ipanema al Rio delle Amazzoni, un respiro di sollievo per la tormentata terra della Samba. I giornali di tutto il mondo hanno acclamato la vittoria dello sport, il Dio del calcio che, incarnatosi nei nuovi nibelunghi, ha superato conflitti e povertà, facendosi portatore di una nuova speranza. Germania sopra a tutti, quindi, calcio über alles!
A leggere questa storia vien da gridare vendetta al cielo per l’ignoranza e la villania di questo popolo di 200 milioni di anime che annega speranze e illusioni in un gol o una rabona, come se un dribbling cancellasse tutto lo schifo in cui annaspa ogni singolo giorno. Roba da terzo mondo eh, mica come da noi… Forse qualcuno, certamente un nemico della patria, ricorda che Paolo Rossi, indiscusso eroe del mondiale ’82, era stato implicato in un brutto affare di scommesse clandestine? “Ma ha fatto tre gol al Brasile, è un grande!” C’è chi rammenta la bufera arbitrale che precedette la vittoria al mondiale 2006? “Ma Calciopoli era tutto un complotto, via…” E lo scandalo scommesse che coinvolse anche Buffon? “Il portierone nazionale? Un esempio!” Che dire delle truffe da milioni di euro prima dell’inattesa finale all’Europeo 2012? “Ma quelli eranno zingari, mica italiani”. Tutto questo per tacere dei vari Ivan il terribile, Genny a’ carogna & company che sistematicamente, ogni anno, riempiono i titoli dei giornali per poi essere archiviati in estate e ripresi a settembre? “Ma quelli sono solo pochi facinorosi, nulla a che vedere con i veri tifosi, quelli che portano la famiglia la domenica allo stadio”. Gli stessi veri sportivi che, qualche ora prima, alla partita (categoria pulcini) di figli o nipoti, insultavano arbitro e allenatori dagli spalti di un campetto di periferia, sfiorando la rissa coi genitori degli avversari.
Non perdiamoci in bazzeccole! Ora bisogna Fare! C’è il calcio mercato, poi bisogna rifondare la federazione, scegliere l’allenatore della Nazionale, valorizzare i giovani… Non c’è spazio per vecchi e Tavecchi, bisogna gettare le basi per i successi del futuro; un futuro che non deve tardare ad arrivare, anzi, facciamo domani. Fuochi di paglia e meteore fenomenali ce ne sono stati (uno su tutti: Maradona) ma per risultati costanti e ripetuti nel tempo occorre una politica sana e longeva di cultura sportiva e, certamente, marketing. Questo però va inteso come promozione di una disciplina (o di un’insieme di queste) allo scopo di allargare il più possibile il numero di utenti e, di conseguenza, il mercato. I risultati sono la conseguenza del processo. Finché si insisterà a guardare all’immediato, sacrificando in nome di essi l’etica stessa e la civiltà che ne deriva, continuerà il lento e inesorabile imbarbarimento a cui assistiamo ogni giorno. Lo sport, quindi, non sarà nient’altro che lo specchio della società decadente che lo pratica, con buona pace dei valori olimpici, divenendo forse una bella storia da raccontare ai nipoti: una storia di vittorie e sconfitte gloriose, di stelle e di campioni, una storia passata.
“Il successo racchiude in sé i semi del proprio declino, né lo sport viene risparmiato da questa legge” (P. De Coubertin)