“Entrebescar” di Rossi Precerutti. La poesia e la sutura di una “piccola differenza”

di Davide Belgradi

(Immagine di Antonio di Vilio)

Disperdando gli risonanti sospiri
sul filo delle ore chi sa che cosa
mi trattenne al di qua del bordo
nel luogo della metafisica. Forse
perché lei aprì piano il pugno
e mi osservò cautamente ricucendo
paziente una piccola differenza

Tratta da Entrebescar, prima raccolta di Roberto Rossi Precerutti, e inaugurata nell’incipit da una citazione dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, questa poesia mi è sempre balzata agli occhi come un piccolo scrigno di complessità. Sintattica e strutturale, certo, ma soprattutto complessità tematica. Una breve tensione argomentativa di sette versi, al cui centro si staglia un indefinibile ‘tu’ femminile, una donna fatta solo di gesti lenti, intenta ad aprire «piano il pugno» (v. 5), a osservare.

Fotografato a metà tra un al di qua e «nel luogo della metafisica» (v. 4), letteralmente al di là della fisica, l’Altro così celato in questo breve dipanarsi di respiri sintattici è un Altro impalpabile: qui ed altrove allo stesso tempo, è l’oggetto del desiderio che guida la tensione e, insieme, la promessa di non raggiungere mai del tutto la lacaniana jouissance.
Leggendo e rileggendo Entrebescar, raccolta per lo più introvabile e comprensibile solo a patto di accettarla come un guanto di sfida, spesso mi sono chiesto cosa mi trattenesse su questa pagina, cosa mi ci facesse tornare di tanto in tanto. Forse quel ‘tu’ etereo, tutto sguardo e carezza, forse la fragilità con cui pochi versi possono suggerire un rapporto irrappresentabile nella sua totalità, quello dell’io con il mondo. Come si vivesse solo per frammenti, e lo spazio di un possibile incontro tra l’io e l’Altro non potesse che ridursi alla coabitazione di una ferita, un taglio attraverso cui fare entrare il mondo fino a diventare propriamente il taglio, fino a non poter più trovare dei confini da fissare, e su uno «sfondo screziato, farsi screziatura» (Lacan, Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, VIII 2).

Credo di amare particolarmente la poesia di Rossi Precerutti anche per via del paradosso che essa innesca: è spesso ritenuta illeggibile per via della sua asperità, quasi rappresentazione di un dire che muova dall’alto di un piedistallo, ma il giudizio è solitamente quello di chi non è realmente un lettore di Rossi Precerutti e un’idea su ciò che leggerà se l’è già fatta. Invece, interrogati con gli adeguati strumenti tecnici, ciò che i suoi versi svelano è sempre uno scenario del tutto inatteso. Parlano di incomunicabilità, di dubbio, di fragilità, di disperazione. Qualche volta, come in questo caso, anche di amore (che forse ‘comprende’, etimologicamente, tutti gli aspetti precedenti).

Bataille, ne L’érotisme, concepisce il rapporto tra l’io e l’Altro come un movimento tra una soglia di continuità e una di discontinuità: la vita è discontinua ma nell’Altro speriamo di accedere a un luogo di continuità, eludendo il limite (strutturale) che la vita ci impone. È anche di questa utopia che parlano i pochi versi di Rossi Precerutti, di come, dal taglio che ognuno è nella sua esistenza, si possa scorgere qualcuno in grado di colmare «una piccola differenza» (v. 7), suturando – anche per poco – la ferita tra io e mondo.

Ora che la clausura ha posto confini apparentemente ben visibili all’io, e che la telecamera spenta di un interlocutore su Zoom si è fatta una deformata versione del sorvegliante di cui parla Bentham nel Panopticon (uno sguardo senza occhio), ecco che la lettura ritorna a Rossi Precerutti: a quella differenza che è divenuta voragine – se non abisso.

Mi piace pensare che la grande poesia, anche quella apparentemente inattuale, serva per offrire un luogo di abitabilità quando stare al mondo sembra inconcepibile, sembra una lotta. Se manca un dove a cui guardare, manca anche un antidoto alla solitudine. E forse può servire a suggerire a ognuno cosa cercare e in che direzione. Magari, al di là della soglia – di casa o del corpo –, qualcuno in grado di osservarci e, con pazienza per la nostra fragilità, capace di ricucire per noi una piccola differenza.

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