di Stefano Tieri
Il celebre scatto di Yosuke Yamahata racconta la distruzione di Nagasaki il giorno dopo essere stata colpita dall’ordigno nucleare “Fat Man”, sganciato da un bombardiere statunitense il 9 agosto 1945. Solo un torii resta in piedi fra le macerie: un tempo destinato a introdurre in un luogo sacro, il portale lascia intravedere dietro a sé una distruzione indefinibile, dai confini incerti, che – esattamente come i fumi che ancora, dopo 24 ore, continuano ad alzarsi dai detriti a terra – si estende al di fuori dei confini tracciati dall’obiettivo fotografico. Il nostro sguardo cerca affannosamente tracce di sopravvivenza, ma l’illusione si infrange tra i rami rinsecchiti di un albero senza vita. L’istante dello scatto si potrebbe racchiudere in due parole: desolazione e sbigottimento.
Ma la distruzione portata dall’esplosione nucleare non si limita al centesimo di secondo dello scatto: così come il suo ricordo, grazie a questa fotografia, percorre i 69 anni che ci separano da quel 9 agosto, anche la morte si è trascinata nei decenni seguenti: agli 80000 morti civili (un terzo della popolazione complessiva di Nagasaki), bisogna aggiungere il numero sconosciuto di coloro che hanno perso la vita negli anni successivi a causa dell’esposizione alle radiazioni. Nel 1966 morirà di cancro lo stesso Yosuke Yamahata, a soli 48 anni.