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Quando, sul finire del 2019, abbiamo deciso il tema da affrontare in questo numero, mai avremmo pensato di trovarci faccia a faccia con una pandemia in grado di dare così tragicamente corpo ai fantasmi che stavamo evocando.
Certo, è da anni che si parla di apocalisse come una prospettiva sempre meno remota: che ci si riferisca alla catastrofe ecologica o al totalitarismo tecnologico, la fine del mondo coinvolge tanto le narrazioni di fiction quanto le cronache giornalistiche. Eppure, quando l’uragano coronavirus si è abbattuto sul nostro pianeta (mai come ora percepito nella sua unità), ci siamo ritrovati impreparati, travolti dalla rapidità con cui la pandemia ha sconvolto le nostre esistenze. Siamo passati attraverso l’esperienza della segregazione, seguendo quotidianamente – “uniti ma distanti” – il macabro conteggio dei morti. Abbiamo toccato con mano cosa significa essere privati delle libertà fondamentali, pezzo per pezzo, Dpcm dopo Dpcm. Abbiamo aspettato Godot appesi al sapere tecnico-scientifico che ormai ha – di fatto, ancora una volta – esautorato quello politico. Abbiamo imparato a familiarizzare con l’apocalisse, a conviverci, ritrovandocela accanto ogni giorno, in ogni conversazione, presenza invisibile quanto totalitaria.
Ma l’apocalisse – ce lo insegna il significato della parola greca – è rivelazione, dis-velamento. È qualcosa che si mostra con la fine del mondo, non propriamente la fine del mondo in sé. La questione si fa più interessante: cosa ci svelano le diverse apocalissi che ci si prospettano davanti? E quella che abbiamo appena sfiorato? Cosa ci svela sulla nostra natura di esseri umani, abituata ormai a convivere con l’idea di apocalisse?
La risposta non può essere univoca, né definitiva; dopotutto la nostra prospettiva resta quella umana e, come osserva il nostro Mattia Montanaro nel suo Ossario di parole, il raggiungimento di una piena sintesi tra la verità e la sua rivelazione ci è preclusa. Il racconto assume giocoforza una forma mutevole, come gli eventi che narra e, nei lavori di Ruben Salerno, Stefano Tieri e David Watkins, volge lo sguardo alla catastrofe climatica in atto per coglierne i segni rivelatori, ibridando i generi e le strutture, tra narrativa e reportage, saggistica e poesia. Ma l’apocalisse potrebbe essere già alle nostre spalle e la sua rivelazione, andata perduta, ci consegna, nei racconti di Alessia Cappellini e Gabriele Stera, una realtà nuova, dalle tinte distopiche.
In questo conflitto perpetuo, tra particolare e universale, tra l’essere umano e ciò che lo circonda, si innestano le riflessioni di Sara Nocent e le pellicole Il nuovo mondo e Ad Astra del regista James Gray, recensite da Francesco Ruzzier. Di cinema si occupa anche Pierangelo Di Vittorio, che indaga i due generi – oggi molto popolari – del post-apocalittico e del supereroistico per soffermarsi sul loro rapporto con la realtà e i suoi contenuti rimossi.
Se è vero, come sostenne Benedetto Croce, che “ogni storia è storia contemporanea”, allora l’incapacità di imparare dai propri errori è uno dei sintomi più evidenti del morbo che incalza quest’epoca. Per quanto l’umanità possa dirsi interconnessa infatti, l’informazione stenta a farsi conoscenza. Ne sono testimoni Ilaria Moretti, nel suo reportage da una Lione sull’orlo della quarantena, e Andrea Muni che, dialogando con Marco Pacini a partire dal suo ultimo libro, Epocalissi. Appunti di un cronista pessimista, mappa i cortocircuiti semantici del nostro tempo. È la distrazione il tratto distintivo della civiltà dell’infotainment, indagato da Giulio Giadrossi attraverso la chiave interpretativa dei video-games. Virtuale, reale, dove si assesta il confine tra parole, linguaggi e codici binari? Giuseppe Nava ci guida in un’ibridazione tra poesia e informatica che apre nuovi scenari sulle rovine del vecchio mondo.
Si può dunque sopravvivere all’apocalisse, ma qual è il prezzo di un’esistenza vissuta oltre la “fine della storia”? È il quesito che si pongono Davide Pittioni e Piero Rosso, a partire dalla raccolta di poesie Ad ora incerta di Primo Levi. Eleonora Zeper, dal canto suo, guarda alle voci che ci giungono dal passato, e con un’indagine à rebours, prova a delineare tre strade possibili sulla via della fine. Come lasciarsi alle spalle le rovine di Babilonia è anche il centro della riflessione di Lorenzo Natural che attualizza i segni premonitori presenti nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni, attraverso l’interpretazione dei testi di Alvi e Triani. Nel solco della lettura biblica e nella stratificazione dei suoi significati si sofferma anche Livio Cerneca, addentrandosi nella sua oscurità narrativa e sprigionandone al contempo la potenza letteraria. Chiude il fascicolo il fumetto di Raimondo Pasin e Tiziana Bianca che indaga con ironia la difficoltà, da parte del pensiero critico, di ritagliarsi degli spazi nel dibattito pubblico.
Volli cercare il male che tarla il mondo
la piccola stortura di una leva che arresta
l’ordegno universale; e tutti vidi gli eventi
come pronti a disgiungersi in un crollo
(E. Montale, Ossi di seppia)