di Livio Cerneca
La prima grande illusione di cui si è vittime, assistendo al Cirque Invisible di Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée, è che tutto appare anche troppo semplice. Dopo una decina di minuti e altrettanti cambi di costume, in un alternarsi rapidissimo di giochi di prestigio esilaranti, trasformazioni mimiche e danze oniriche, si precipita ancora restando intrappolati nel geniale raggiro, e si perde il senso dell’orientamento. Non lo si ritroverà più fino alla fine dello spettacolo.
Il nome è infallibilmente magnetico. Tutto ciò che viene presentato come invisibile o dotato di poteri che ne dissimulino la fisicità ispira nell’uomo un bramoso interesse. Ognuno ha desiderato almeno una volta di poter diventare invisibile.
A dispetto del titolo non c’è niente di circense, e anche se viene catalogato come teatro-circo o noveau cirque – forse solo per poter fornire un’idea approssimativa ai potenziali spettatori – non è né l’uno né l’altro.
È invece una macchina fatta di macchine e carne in cui i due protagonisti non si limitano a interpretare un numero impressionante di ruoli, ma fungono anche da scenografia vivente. Il palcoscenico è infatti deserto, e di volta in volta sullo stesso fondale scuro, siamo costretti a immaginare quello che Victoria e Jean Baptiste vogliono.
Lui, attore, pittore, scultore, scrittore da cinquant’anni sulle scene, è lo stralunato stregone saltimbanco che inventa una comicità fatta di aspettative che non si realizzano, di gesti minimi eppure buffissimi, di giochi di parole in francese che chi non comprende l’idioma non può apprezzare fino in fondo.
Lei è una dei figli di Charlie Chaplin, ed è un androide steampunk mutante in grado di moltiplicarsi; apparizione diafana dallo sguardo sperduto che scompare nei suoi stessi abiti con agilità e risorge nelle sembianze di qualche essere uscito da leggende mai raccontate.
Ci danno accesso a ingrandimenti di mondi microscopici in cui preoccupanti coleotteri si battono in una lotta spietata; alla fiera di paese animata da un ciarlatano alle cui demenziali trovate è impossibile resistere; agli spazi di luce densa dove sotto ai nostri occhi vengono assemblati folli congegni miracolosamente funzionanti che espandono e trasformano il corpo.
Lo spettacolo è costruito come una successione di quadri che non sembrano avere un legame tra loro. Non c’è una storia, non si segue un filo logico. Si colpisce senza tregua il pubblico con scene che durano ciascuna pochi minuti o addirittura pochi secondi. Non è concesso provare a prevedere quale sarà il sogno seguente.
Da oggetti di uso comune – sedie, tavoli, ruote, ombrelli, scarpe – prendono vita creature misteriose, inesistenti, estinte o forse ancora viventi nella mitologia personale di ciascuno. Entomologia fantastica, zoologia psichedelica, ingegneria estetica.
L’utilizzo, in un paio di numeri di magia, di conigli, colombe e papere in carne e ossa è superfluo, incongruente ed eticamente discutibile. Farne a meno renderebbe Le Cirque Invisibile davvero superbo. Ma per tutti c’è sempre la possibilità di migliorare.
Difficile quantificare i travestimenti, i costumi e l’attrezzatura: la sensazione è che serva almeno un TIR, ma forse anche questa è un’illusione.
Nelle uscite finali, quando gli artisti danno il commiato ad un pubblico numeroso certamente divertito, grato, ma non particolarmente caloroso, ancora cambi di costume, ancora metamorfosi, altre stupefacenti trasfigurazioni che fanno intendere che Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée potrebbero comodamente tenerci lì ancora per almeno un paio d’ore senza indossare due volte la stessa maschera. Forse i TIR sono due.
Le Cirque Invisibile ha debuttato al Politeama Rossetti giovedì 28 aprile alle 20.30 e replicherà ogni giorno fino a domenica 1 maggio; giovedì 28 e venerdì 29 aprile lo spettacolo replica alle 20.30, mentre sabato 30 aprile e domenica 1 maggio vanno in scena due pomeridiane con inizio alle ore 16.