di Tommaso Ponzin
Mi sono sempre chiesto che sapore avesse la sua bocca. Forse quello acre del dopobarba di pessima qualità che usava mio padre. Nessuno ha avuto il coraggio di spostare la boccetta dopo l’incidente: il suo profumo stantio aleggia ancora nel bagno, come se il suo fantasma fosse intrappolato tra le pareti umide di condensa. Per questo ho deciso di mettermelo. Lei l’ha già notato, me ne accorgo subito. Se lo aspettava. Si è truccata così perché la guardassi in modo diverso: il mascara scuro, così vanitoso, rende la malizia del suo sguardo ancora più provocante. L’età è mascherata dalla penombra e da uno spesso strato di fondotinta lucido e del colore sbagliato. Sento premere nei pantaloni. È ancora troppo presto, non posso cedere subito. Sono stato stupido, avrei dovuto mettermene un paio più largo, così almeno non si sarebbe visto. Non importa, sappiamo entrambi cosa vogliamo, queste ipocrisie sono superflue.
«Sei tu l’uomo di casa, adesso…»
Parla a bassa voce, mentre mi accarezza le braccia. È un sussurro banale, un cliché, ma è anche un segnale chiaro. In una situazione come questa è normale provare un po’ di imbarazzo, almeno all’inizio, e questo è il suo modo per dirmi quello che devo fare, il ruolo che lei si aspetta da me. Potrei soddisfare immediatamente il suo desiderio, ma la fretta non mi sarebbe di alcun aiuto. Devo giocare bene le mie carte, scegliere un unico gesto che sancisca in modo inderogabile il nostro nuovo patto, il nostro segreto.
Mi avvicino, l’attesa la divora. Mi dirigo verso l’arco rosso delle sue labbra. Qui l’unico bacio, un leggero sfiorasi di labbra, solo un sussurro tiepido che si perde fra i suoi capelli sciolti:
«Sei tu l’unica donna della mia vita».