Dei fantasmi di solito si ha paura. Sono sfuggenti, impalpabili, si manifestano agli occhi o nelle foto, come ectoplasmi e macchie biancastre che testimoniano la presenza impossibile, sempre sul punto di svanire, di un’assenza. Ma che accadrebbe se per una volta i fantasmi restassero, se si facessero avvicinare, toccare, baciare, inghiottire? Li giudicheremmo ancora con la severità e il sospetto che riserviamo a chi infrange i tabù, a ciò che altera i confini tra vita e morte, visibile e invisibile? Toccandoli, potremmo scoprire infatti che ci sono più familiari di quel che crediamo, che non sono davvero così impalpabili, e che la loro parentela con la morte non è poi tanto stretta. Per vederli basta gettare uno sguardo di sorvolo sulle nostre città alienate, sul denaro che le tormenta e che guida i nostri corpi al lavoro o al supermercato, sulle ombre scheletriche del potere e dei suoi palazzi. Per sentirli, è sufficiente sniffare l’aria, densa di polveri e smog, attraversata dalla nauseante ronda dei rifiuti, o tendere l’orecchio alle grida sorde di coloro che la spietatezza delle logiche del nostro mondo relega a essere umani di serie-b (senzatetto, carcerati, migranti, folli, disabili, bambini, malati, anziani, drogati). [Raviola]
Ci sono poi gli amici stretti, forse ancora più impalpabili, dei fantasmi: gli spettri. Alcuni di essi richiedono strumenti speciali per essere visti, come lo spettro sonoro, lo spettro visibile e quello stellare [Barusso, Nocent]. Altri sono invece sempre più facili da osservare a occhio nudo, come quelli che costellano le dilaganti sintomatologie che assillano le nostre vite quotidiane (ansie, paranoie, ossessioni), specchio di una società che medicalizza ogni forma, più o meno consapevole, di resistenza ai suoi disciplinamenti e ritmi ogni giorno più insostenibili [Rosso]. Abbiamo poi la cavalcata infernale degli spettri politici: quello del Manifesto del Partito Comunista – che non si aggira più granché per l’Europa, e non fa paura quasi più a nessuno, quelli scomodati da Derrida nei suoi Spettri di Marx, saggio apripista dello spectral turn e della hauntology, quelli post-capitalisti evocati da Mark Fisher nel suo The Weird and the Eerie. [Muni, Zeriali]
***
Popolarissimo nell’Ottocento [Kirchmayer, Pusterla], il fantasma è tornato negli ultimi decenni a essere un fenomeno di assoluta tendenza. Gli anni Ottanta e tutti gli anni Novanta assomigliano infatti a una sorta di enorme dybbuk box, scatola del folklore ebraico in cui sono imprigionati demoni scalpitanti e sempre pronti alla fuga. Per decenni il weird e l’horror ci hanno piacevolmente tormentato, raggiungendo una grandissima popolarità nella musica e nel cinema [Perozzi]: dai suoni nostalgici e spettrali di Dawn FM di The Weeknd al vampiro erotomane con unghie a mandorla e baffo alla messicana del recente remake di Nosferatu. Dagli anni Ottanta il fantasma non ha più smesso di vestire anche i panni del comico e persino del kitsch, come nel caso del film cult del 1984 Ghostbusters (“If it’s something weird…/Who ya gonna call? Ghostbusters!/I ain’t afraid of no ghost…”) e dei suoi innumerevoli sequel e reboot; o in quello dei “terrificanti” fantasmini, i bassissimi calzini nei quali la Gen Z ha salutato una delle principali vergogne estetiche dei Millennials [Davidino].
Ci sono, a rovescio, anche fantasmi tragicamente seri, su cui c’è poco da scherzare o filosofeggiare: quello della fame e del genocidio a Gaza, quello atomico legato agli esiti imponderabili del conflitto russo-ucraino, quello del ritorno del fascismo (ormai dilagante in tutto l’Occidente), quello del patriarcato interiorizzato, che abita ognuno e ognuna di noi [Coppi, Beninati]. Seri sono anche i fantasmi che si insinuano nelle nostre vite private generando angoscia e disagio, come quando veniamo ghostati da qualcuno o qualcuna che ci piace, o quando ci sentiamo talmente precari e fuori posto da iniziare a sospettare – come in Giro di vite di Henry James, o nel film The others – di essere noi i fantasmi che infestano le nostre case in affitto o subaffitto [De Santoli, Giadrossi].
***
Il fantasma è però anche un tipo seducente e affascinante: un riflesso, uno sguardo senza occhio che ci sentiamo addosso e ci interroga su dove siamo, che ci sfida a fare i conti con noi stessi, con le nostre paure, i nostri desideri. Così Freud e soprattutto Lacan hanno immaginato il fantôme: un elefante con gambe di ragno, come quelli dipinti da Dalì, che tesse in controluce i desideri di cui la coscienza rimane all’oscuro, si stende come un drappo sui pezzi di corpo in cui l’eros ci decompone, calza come un guanto i piaceri – appena un po’ perversi – che altrimenti non oseremmo raccontarci. Quella voce (forse) non nostra, quello sguardo ostile che a volte incrociamo nello specchio, l’esperienza dolorosa – o apparentemente inspiegabile – a cui proprio non riusciamo a smettere di pensare. Basta girarsi leggermente, lasciarsi cogliere un attimo di sorpresa, ed ecco che – la sua mano sulla nostra spalla – il fantasma è lì, l’ombra che da sempre ci precede [Kulesko]. I fantasmi infatti sanno essere anche molto concreti, materici: corpi, parassiti, eserciti di larvae (gli spiriti demoniaci che per i latini abitavano i posseduti). Larve che si possono mangiare o espellere, che si danno battaglia tra loro dentro di noi, che si colpiscono a vicenda distruggendo l’organismo stesso che le ospita.
***
La memoria è il luogo privilegiato della danza degli spettri, del girotondo senza fondo della loro persistenza; il vortice in cui volteggiano eternamente le voci e le carezze di coloro che abbiamo amato e perduto [Nava, Cattaruzza]; i volti che hanno attraversato la nostra vita [Salerno], e che pure già sfocano; le parole o le immagini che ci ossessionano, restando al contempo nebulose e indecifrabili [Schillaci, Watkins]. A volte persino la memoria del corpo inganna: gli arti fantasma ci ricordano senza metafore fino a che punto ciò che abbiamo perso non smetta di farsi sentire. Illusione speculare, la “Sindrome da vibrazione fantasma” (ovvero l’impressione allucinatoria di sentir vibrare il telefono) ci rimanda invece alla dipendenza che intratteniamo con un mondo tecnologico, virtuale e iperconnesso di cui a tratti abbiamo l’impressione di non essere altro che mere emanazioni. Il ricordo poco lontano di un’era in cui non eravamo continuamente collegati, sempre in comunicazione col resto del mondo, si fa ogni giorno più vago, lasciandoci la strana sensazione di vivere un tempo senza storia, in un eterno presente che ha esaurito ogni immaginazione e alternativa [Sbordoni]. Le sezioni fotografiche che intervallano gli articoli, a cura di Edorado De Stalis, documentano infine alcuni tra i più celebri avvistamenti di fantasmi catturati su pellicola. Gli scatti coprono un arco temporale di quasi centosessant’anni, dalla prima testimonianza del 1856 fino a quelli più recenti, accompagnandoci in un viaggio attraverso la stupefacente galleria di ciò che è stato considerato attendibile (o quasi) nell’ultimo secolo e mezzo della nostra storia.
I fantasmi che abbiamo voluto evocare in questo lavoro collettivo sono però soprattutto una chance, un’occasione da cogliere. Non abbiate paura di avvicinarvi! Toccateli, toccate i nostri Fantasmi (n.37), scoprirete che sanno essere generosi. Sfiorando la loro pelle di luce, portandoli agli occhi o alla bocca, potreste intravvedervi l’impronta del nostro passaggio incorporeo in questo mondo. I ain’t afraid of no ghost…