di Daniele Lettig
“Francesco Rosi, cittadino”: con queste sole parole voleva essere ricordato il grande regista da poco scomparso a 92 anni. E proprio con l’occhio del cittadino che si impegna nella e per la polis, con l’obiettivo di descriverla e, se possibile, fare qualcosa per cambiarne le storture, Rosi ha toccato i vertici della sua produzione cinematografica. Sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre la sua filmografia al “cinema di impegno” o “di denuncia”. Nelle sue opere migliori infatti – un’infilata che comprende Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Uomini contro, Il caso Mattei, Lucky Luciano, Cadaveri eccellenti, Cristo si è fermato a Eboli – la dimensione del racconto, anche (se non soprattutto) quando affronta episodi realmente accaduti, si salda con intuizioni tecniche innovative grazie alle quali le pellicole rimangono ancor oggi capolavori non solo narrativi ma anche visuali.
Un esempio tra i tanti è l’uso sapiente della fotografia, grazie alla collaborazione con grandi fotografi di scena come Gianni Di Venanzo. O ancora le scelte di montaggio e di racconto: come nel caso di Salvatore Giuliano o del Caso Mattei, in cui è lo stesso regista che assume la funzione del narratore con la propria voce – e nel secondo caso anche comparendo direttamente. La pellicola dedicata alla vicenda del bandito siciliano, girata nel 1962, rappresentò una vera e propria svolta per il cinema italiano e non solo. Innanzitutto per il modo di raccontare la storia, che grazie alla voce fuori campo di Rosi sembra costruirsi passo dopo passo davanti agli occhi dello spettatore, e poi anche per alcune precise scelte registiche, come quella di mantenere sempre nell’ombra il viso di Giuliano: “un escamotage – ha ricordato Giuseppe Tornatore nel libro-conversazione con Rosi del 2012, Io lo chiamo cinematografo – non solo visivo, ma una prospettiva etica e politica”. Il lungometraggio ebbe un successo straordinario, replicato l’anno successivo da quello di un altro capolavoro, che mantiene ancora dopo cinquant’anni un’attualità e una potenza straordinarie: Le mani sulla città, racconto della speculazione edilizia nella Napoli del dopoguerra nato da uno scambio di idee tra il regista e un suo amico di lunga data, lo scrittore Raffaele La Capria. Due sequenze su tutte bastano per cogliere la forza della pellicola: quella del crollo del palazzo, all’inizio, e quella dove il protagonista, il palazzinaro Nottola interpretato da Rod Steiger, spiega il meccanismo della moltiplicazione del valore di un terreno tracciando un quadrato sulla sabbia. Su tutto, poi, vale la frase posta in esergo al film: “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”.
Dopo due lungometraggi di diverso respiro, ma non per questo meno interessanti, Il momento della verità storia di un giovane contadino andaluso che diventa un talentuoso torero, e C’era una volta… ispirato ad alcune storie del seicentesco Cunto de li cunti di Giovan Battista Basile, gli anni Settanta sono segnati dalla collaborazione tra Rosi e Gian Maria Volonté, che sarà l’interprete di quattro film a partire da Uomini contro, del 1970. A lungo boicottata (il regista venne anche accusato di vilipendio alle forze armate), questa pellicola, ispirata al volume di Emilio Lussu Un anno sull’altipiano e girata in Jugoslavia, racconta l’inumanità della guerra e l’insensatezza degli ordini diramati dai comandanti dell’esercito italiano, per i quali i soldati erano pura carne da macello sacrificabile per i più alti scopi bellici. Volonté interpreta il tenente Ottolenghi, di idee socialiste, che si oppone diverse volte ai superiori prima di morire in un attacco inutile. Nei due film successivi l’attore milanese veste invece i panni, rispettivamente, del presidente dell’Eni Enrico Mattei e del boss italoamericano Lucky Luciano.
Il caso Mattei, che valse a Rosi la palma d’oro al festival di Cannes, è un vero e proprio giallo, girato con ritmo serrato e con una peculiare tecnica a mosaico: alle scene di ricostruzione storica e ai flashback sono giustapposte le parti documentarie, in cui è lo stesso regista ad intervenire portando all’attenzione dello spettatore le varie ipotesi sulla morte di Mattei, senza però prendere posizione. Anche in questo caso, come ha notato Tornatore, chi spara – o chi commette un crimine – è sempre in ombra, nascosto: a sottolineare, forse, che in Italia non c’è mai una sola verità a cui togliere il velo. E questo filo conduttore è rinvenibile anche nel lungometraggio successivo, Cadaveri eccellenti, che riesce nella difficile impresa di trasporre sullo schermo la spietata riflessione sul potere condotta da Leonardo Sciascia nel Contesto.
Della lunga filmografia del cineasta napoletano si potrebbero ricordare poi altri momenti importanti, partendo dalla bellissima trasposizione di Cristo si è fermato a Eboli, il racconto del pittore Carlo Levi del suo periodo di confino in Basilicata. Il consiglio è di andarli a rivedere, e di offrirsi così la possibilità di apprezzare la tecnica e la capacità di affascinare lo spettatore che caratterizzano i lavori di un maestro del cinema. Magari tenendo a mente un’affermazione dello stesso Rosi, riferita a Salvatore Giuliano, ma che ha un valore più ampio: “ero consapevole che stavo raccontando qualcosa che andava raccontata. Che poi venisse fuori un gran film o solo un bel film, francamente non potevo immaginarlo. Quando restavo solo con me stesso […] sentivo di avere riprodotto, in modo autentico e provocatorio un mondo, un momento storico, una situazione sociale e culturale da sottoporre alla conoscenza e al giudizio del pubblico italiano”.