di Cristiano Carchidi
Il nome e l’opera di Gilbert Simondon sono rimasti nascosti da un velo di mistero per quasi un cinquantennio. La complessità dell’argomento, e del linguaggio con cui l’autore lo ha trattato, non ne hanno certo facilitato la diffusione. Conosciuto solo marginalmente in ambito tecnico-scientifico per la sua tesi complementare di dottorato intitolata Du mode d’existence des objets techniques (1958), Simondon non riscosse maggior successo con la sua opera principale, L’individuation à la lumière des notions de Forme et d’Information, apparsa in due diverse sezioni intitolate rispettivamente L’individu et sa génèse physico-biologique uscita nel 1965, e L’individuation psychique et collective, pubblicata solamente nel 1989. Solo Gilles Deleuze, in L’isola deserta e altri scritti, lo menziona in un brevissimo scritto dal titolo Gilbert Simondon, l’individuo e la sua genesi fisico-biologica. Il filosofo dell’Anti-Edipo è stato forse l’unico contemporaneo di Simondon ad aver compreso l’enorme portata del suo lavoro, traendone addirittura ispirazione per alcune delle più preziose elaborazioni teoriche di Logica del senso (non escluse quelle cruciali di singolarità e di differenza).
Il monumentale lavoro di Simondon può essere letto come un tentativo di sovvertimento radicale del concetto di individuo, inteso come elemento di base del cosiddetto principio di individuazione. Questo principio è stato infatti principalmente declinato, lungo il corso della storia del pensiero occidentale, in due maniere, al contempo opposte e consonanti. Da un lato, infatti, esiste la tradizione sostanzialista (o atomista) – che, risalendo fino a Democrito e Leucippo, prosegue carsicamente il proprio corso fino alle soglie della fisica moderna, passando per la monade leibiniziana; dall’altro lato, invece, troviamo la tradizione che potremmo definire ilomorfica, di provenienza aristotelica, che si pone a fondamento di ogni filosofia dualista. In quest’ultima tradizione di pensiero, infatti, l’individuo rappresenta una sorta di complemento o, per meglio dire, una sorta di compromesso tra forma e materia.
Simondon ha tentato di aggirare entrambi questi approcci, provando a sovrapporre al concetto di forma il concetto d’informazione, non inteso meramente come messaggio differenziale in un sistema comunicativo, bensì letteralmente come in-formante, cioè come ciò che si forma, si produce e si rigenera deformandosi. Il concetto d’informazione ha permesso così al filosofo francese di penetrare nei meandri delle più diverse branche del sapere, muovendosi trasversalmente dal “mondo” fisico e biologico a quello psichico. Essendo alla ricerca del principio d’individuazione (che, come vedremo, è tutto fuorché un principio), Simondon ha cercato di indagarlo in tutta la sua complessità, affrontandolo simultaneamente da un punto di vista fisico, biologico e psichico.
A questo scopo Simondon ha elaborato una nozione d’individuo radicalmente in contrasto con quella delle due “scuole” atomista e ilomorfica, le quali – pur trovandosi apparentemente agli antipodi – non hanno mai cessato di declinare in maniere differenti l’idea che l’individuo (sia esso atomo o complesso materia-forma) sia il principio fondamentale – ovvero il termine radicale e ultimo, condizione e scopo finale – della relazione globale di cui esso partecipa. Mentre, per Simondon, l’individuo non è che una fase dell’individuazione, cioè momento di un processo di trasformazione che attraversa diversi stadi e differenti cariche di “potenziali”. Questi ultimi – concetti mutuati da alcuni tardi riferimenti del suo “maestro” Merleau-Ponty (a cui è dedicata l’opera) – vengono concepiti da Simondon come elementi preindividuali.
Per Simondon l’errore principale delle filosofie sostanzialiste e/o dualiste è stato infatti, da sempre, quello di considerare l’individuo come un principio, come un quid da cui si può partire per comprendere la realtà. Ma questa è per Simondon un’idea statica del mondo, che concepisce la realtà come un gigantesco paradosso di Zenone, in cui gli stati sono separati nel tempo e non comunicanti. Simondon si fa beffe del principio di equilibrio stabile e, appoggiandosi alle scoperte della fisica quantistica e della termodinamica, elabora una teoria in cui ogni stato che possieda ancora dell’energia residua – e che non sia quindi morto – si trova in un equilibrio detto metastabile, perché comunque carico di potenziali.
Una concezione così radicale e innovativa non poteva non includere anche una diversa concezione dell’essere, e sarà proprio in questo ambito che Simondon effettuerà un vero e proprio ribaltamento. Scrive:
L’essere non possiede un’unità d’identità, come nel caso dello stato stabile, nel quale non si possono verificare trasformazioni; al contrario, l’essere possiede un’unità trasduttiva: in altre parole, esso può sfasarsi in rapporto a se stesso e può straripare da una parte e dall’altra del centro. Ciò che si concepisce nei termini di relazione o dualità dei principi, consiste, in verità, nel dispiegamento dell’essere, che si configura, a sua volta, come più che unità e più che identità. Il divenire costituisce una dimensione dell’essere e non può essere concepito come ciò che gli accade sulla base di una successione cui sarebbe soggetto in quanto essere originariamente dato e sostanziale
L’operazione d’individuazione, dunque, “produce” l’essere individuale – non ne è la logica emanazione. L’individuo è una “fase” di quell’essere la cui dimensione è il divenire e il cui stato è in tensione metastabile, perché carico di potenziali. L’informazione è il mezzo attraverso cui le fasi si producono all’esterno e all’interno dell’individuo in base al suo essere fisico, biologico o psichico. Mentre la trasduzione è il processo attraverso cui l’essere si dispiega nelle sue dimensioni. Si tratta qui, per Simondon, di elaborare la possibilità teorica di un processo che sia allo stesso tempo al di là della logica e al di là della dialettica: un movimento analogico, né deduttivo, né induttivo.
Cerchiamo adesso di seguire la ricerca di Simondon fino al punto che più ci interessa, quello dell’individuazione fisica e vitale, cercando poi di concentrarci su un altro concetto (altrettanto fondamentale e potenzialmente ricchissimo di conseguenze): il transindividuale, cioè il fatto che l’individuazione psichica dell’individuo fisico-biologico non può prodursi che in virtù della relazione continua e inscindibile con quel collettivo che ne è contemporaneamente soluzione, tramite e partecipazione.
L’individuazione fisica, sia essa intesa secondo la teoria atomista o energetica, è stata a sua volta vittima, secondo il filosofo francese, dello stesso errore epistemologico: fondare il discorso sull’essere imperniandolo sull’essere individuale, senza approfondirne ulteriormente la genesi, il principio e la formazione.
Nel campo fisico possiamo dire che il processo d’individuazione procede da un ambiente-sistema metastabile, carico di potenziali da cui scaturisce via via un essere individuale dotato di limiti esterni, che lo separano dall’ambiente che lo ha prodotto, a loro volta destinati a sfasarsi ulteriormente per restituirsi all’ambiente di provenienza.
Il vero salto avviene con la comparsa del vitale, e consiste per Simondon nell’impossibilità di scindere l’individuo dal suo ambiente, poiché al di fuori di questa relazione esso è semplicemente impossibile.
La coppia individuo-ambiente è inscindibile poiché una carica di preindividuale o indeterminato è sempre presente in ciascun individuo vivente, il quale è sì una fase di un essere che si sfasa, una soluzione di un problema insoluto, ma è anche – e continua ad essere sempre – un problema in via di soluzione e una fase in via di sfasamento.
È dunque inconcepibile un essere-individuale-dato cui sia possibile applicare una qualsiasi teoria che parta da esso per darne una qualsivoglia spiegazione, o ancora peggio, come fanno certe scienze umane, provare ad indicarne la “corretta” soluzione:
L’individuo sarebbe così concepito come realtà relativa, come una certa fase dell’essere che presuppone una realtà preindividuale e che, anche dopo l’individuazione non esiste di per sé, poiché, a sua volta, l’individuazione non esaurisce di colpo i potenziali della realtà preindividuale. D’altra parte, ciò che l’individuazione fa apparire non è solo l’individuo bensì la coppia individuo-ambiente. L’individuo risulta così relativo in due sensi: sia perché non costituisce tutto l’essere, sia perché risulta da uno stato dell’essere nel quale non esisteva né come individuo né come principio di individuazione
L’individuo vitale risulta, dunque, sì individuato, ma allo stesso tempo portatore di ulteriori possibili individuazioni, almeno fino a quando non verrà svuotato della sua carica potenziale dalla morte (che ne sopprime la tensione metastabile).
La differenza tra l’individuo fisico, sia esso un cristallo o una molecola, e l’individuo vitale è che, mentre il primo è un vero risultato di una precedente individuazione, il secondo è invece quel che si potrebbe definire un grande “teatro d’individuazione”.
Il vivente è non solo in rapporto in-formativo con l’esterno, ma ha un vero e proprio interno carico di tensione, concepito da Simondon come una risonanza interna che ha sempre bisogno di comunicazione costante e metastabilità fondante.
L’individuo vitale si configura allo stesso tempo come individuo individuato ed individuo individuante. L’essere vitale è un individuo sempre capace di ulteriori individuazioni. Data l’intrinseca connessione con l’ambiente, l’individuo vitale non può essere concepito come meramente adattativo alla stregua di una macchina (errore, secondo Simondon, imputabile alla teoria dell’informazione e alla cibernetica tradizionale), ma dev’essere inteso al contempo come creatore di nuove strutture che lo rendano capace di affrontare problemi sempre diversi.
La fase dell’essere che l’individuo contraddistingue non è mai definitiva, essa è un continuo divenire che dispiega il suo potenziale preindividuale attraverso la partecipazione ad un’individuazione più vasta, il collettivo, in cui si risolve come problematica interna.
Per Simondon questa relazione tra interno ed esterno che caratterizza l’individuo si configura come partecipazione al collettivo. È a questo livello che, a partire dal fisico e dal vitale, scaturisce lo psichico inteso come fase problematica che, per essere risolta, necessita dell’intervento dello stesso elemento problematico in funzione di soggetto agente.
L’individuo vitale-psichico, essendo carico di preindividuale, ha bisogno di risolversi nel collettivo – a meno di soffocare in un angoscia senza fine:
L’individuazione, in forma di collettivo, rende l’individuo un individuo di gruppo, associato ad un gruppo dalla realtà preindividuale che reca al suo interno e che, riunita ad altri individui, s’individua in unità collettiva. Entrambe le individuazioni, psichica e collettiva, sono rispettivamente reciproche; esse consentono di definire la categoria del transindividuale che mira a rendere conto dell’unità sistematica dell’individuazione interna (psichica) e dell’individuazione esterna (collettiva)
La vita stessa è individuazione che risolve la problematica insoluta posta dal mondo fisico ad un certo grado di complicazione. E lo psichico, in questo senso, non è altro che un ulteriore fase di questa problematica in via di soluzione, che può essere trovata solo nella partecipazione ad un collettivo. Per poter comprendere la portata rivoluzionaria di questa teoria nel campo psicologico è necessario cambiare alcuni presupposti che ci accompagnano inesorabilmente: bisogna modificare, da una parte, la relazione individuo-ambiente intesa in senso meramente adattativo, e d’altra parte bisogna allontanarsi anche dalla relazione problematica tra soggetto della conoscenza ed oggetto conosciuto.
Per far ciò è necessario intendere bene i presupposti stessi di questo immane lavoro: la relazione assume valore d’essere al di fuori dei termini che tiene insieme, ma con riferimento al suo prodursi come tensione continua e mai del tutto risolta. L’individuazione è sempre in atto, e avviene per fasi successive che temporaneamente prendono “forma” d’individualità.
Da tutta questa concezione dovrebbero emergere stravolgimenti tali da influenzare ogni campo del sapere, e oserei dire di introdurre un nuovo modo di pensare, che permetterebbe di concepire in maniera più dinamica e fluida una realtà che spesso viene indagata e considerata semplicemente per compartimenti stagni.
Articolo ben articolato. L’unica pecca è all’inizio quando si dice che soltanto Deuleuze si è occupato della sua opera tra i filosofi di un certo calibro. Ma c’è B. Stegler che si è ispirato notevolmente all sua opera. Ciao
errata Stegler
corrige Stiegler