Il discorso amoroso – Inattualità e follia dell’amore

di Matteo Sione

Roland-Barthes

Parlare d’amore oggi fa spesso arrossire, e nei luoghi del sapere si accenna sovente un sorriso di scherno. L’amore sembra non essere più oggetto d’interesse per la speculazione filosofica e nemmeno argomento di discussione critica. «Amore, la guida della filosofia»1 appare non più che un oggetto banale e ridicolo, da riporre nel segreto delle confidenze o da dare in pasto al pubblico televisivo. Il sentimento amoroso è un oggetto che pare puerile, osceno, ridicolo: Eros, il grande dio greco dell’amore, ridotto a essere un bambino ignudo che gioca con le sue frecce. Eppure Eros è proprio questo, una sorta di nudità, ed è forse per ciò che appare osceno. L’amore mostra ciò che del corpo non si percepisce: non già la carne, il sesso, gli odori, ma l’oscenità del sentimento, quel corpo nascosto sotto il corpo come cosa che stritola, martella e grida. L’amore è l’oscenità insopportabile della propria folle nudità. Per questo l’amore-passione – l’amore cantato dalla poesia romantica – è anche preso seriamente in carico da alcuni grandi discorsi (primo fra tutti la psicoanalisi), che tendono però a svalutarlo e ad arginarne la potenza. Da esso si vorrebbero eliminare tutti quegli elementi pericolosi che lo rendono, già secondo Platone, una forma di delirio: l’amore sano e senza rischi contro l’amore schiavo di una folle passione.

Nel campo psicoanalitico, il discorso sull’amore come forma patologica ha sempre avuto un ruolo importante. Così, per Jacques Lacan «l’amore-passione […] è concretamente vissuto dal soggetto come una sorta di catastrofe psicologica»2. Catastrofe la cui prova e il cui effetto (in quanto male provocato dall’amore-passione) risiede, secondo Moustapha Safouan, nella sua invivibilità: «se […] consideriamo l’Altro come se fosse l’altro immaginario o il simile, o anche “il piccolo altro”, prenderemo atto di una situazione […] che può venire definita come minimo invivibile»3. All’amore come passione folle viene opposto, da alcuni discorsi psicoanalitici, un altro tipo di amore, non patologico e misurato: l’amore vero. Il campo psicoanalitico è forse il luogo contemporaneo dove questa concezione dell’amore è stata più profondamente discussa e teorizzata: esso viene definito «amore […] autentico, effettivo, vero»4, oppure «amore sano, non nevrotico»5, o ancora «dono attivo dell’amore»6.L’amore vero sarebbe il superamento della passione immaginaria, ovverosia dell’amore essenzialmente narcisistico che nasce dallo sviluppo della «dialettica della perversione»7. Perché vi sia vero amore è necessario vincere il giogo della catena immaginaria e narcisistica del desiderio, per instaurare sul piano simbolico l’amore come dono, ovverosia ciò che arginerebbe il narcisismo insito nell’amore-passione. L’amore vero è la costruzione di un legame che si basa sull’ordine simbolico come perfezionamento del rapporto immaginario, ovverosia attraverso l’istituzione di un rapporto, non con il «piccolo-altro» immaginario, ma con l’Altro della relazione simbolica: «l’amore […] si soddisfa attraverso il segno, la relazione con l’Altro, la mancanza dell’Altro e il suo dono […]. L’amore è esposizione alla mancanza, è esposizione al desiderio dell’Altro, è la possibilità di fare della propria mancanza un dono»8. Tale patto potrebbe essere definito, a una prima lettura, come la sintesi d’immaginario e simbolico. Tuttavia, il patto rappresenta in realtà la vittoria dell’ordine simbolico, ovverosia la realizzazione dell’amore attraverso la stipulazione di un accordo. Allora l’Altro è «il luogo di un “patto”, di un “dono”, di un’“alleanza” che interviene a bonificare i marasmi furiosi dell’immaginario. L’Altro simbolico prosciuga la palude narcisistica»9. L’amore vero sarebbe dunque la costituzione di una relazione duale e vivibile (cioè non patologica) che si basa sul superamento del narcisismo di origine immaginaria grazie all’emergere dell’ordine simbolico nella relazione con l’Altro:

«diventare attraverso la nostra contingenza, attraverso la nostra esistenza particolare in ciò che essa ha di più carnale, di più limitativo per noi stessi, per la nostra libertà, diventare il limite consentito, la forma d’abdicazione della libertà dell’altro, è l’esigenza che inquadra fenomenologicamente l’amore nella sua forma concreta […]. È là ciò che lo istituisce in quella zona intermedia, ambigua, tra il simbolico e l’immaginario. Se l’amore è tutto preso e invischiato in questa intersoggettività immaginaria […], esige nella sua forma compiuta la partecipazione al registro del simbolico, lo scambio libertà-patto, che s’incarna nella parola data»10

Ciò significa che l’amore per completarsi, per divenire amore vero, concreto e compiuto, deve dialettizzarsi in un patto tra due soggetti, istituito nel registro del simbolico: la coppia. Contro questa concezione svalutativa e normalizzante dell’amore, Roland Barthes costruisce il suo discorso amoroso:

«Derrière le vague de l’Amour vrai, on a le sentiment qu’il y a, même dans la psychanalyse, une image parfaitement endoxale: l’Amour vrai, c’est en somme l’Amour normale. Non seulement l’Amour vrai est toujours hétérosexuel […], mais encore, finalement, c’est l’Amour du couple qui se supporte: le couple marié»11

La coppia è, in definitiva, ciò che costituisce la normalità e la verità dell’amore, la normalità e la verità della psicoanalisi. Barthes, invece, cerca di costruire un discorso che non pretenda di definire la verità sull’amore. Per questo sceglie di inserire il discorso amoroso nel campo dell’immaginario, cioè in un tempo precedente alla dialettizzazione dell’amore, in cui un soggetto si rapporta a un oggetto e tiene un discorso che non mette in gioco una verità assoluta ma relativa.

barthes_discorso_amorosoParlando d’amore si corre costantemente il rischio di scivolare nella banalità, oppure nella tautologia (io-ti-amo è infatti la tautologia pura: ti amo perché ti amo). Il metodo di Roland Barthes si rivela allora efficace: non si tratta di descrivere l’amore e nemmeno il soggetto innamorato, ma di simulare il discorso amoroso, entrando così pienamente e consapevolmente nella contraddizione, nella banalità, nella stupidità e nella tautologia. Il soggetto amoroso, infatti, è il contraddittorio, lo stupido, il folle. Questo metodo – il metodo nietzschiano di «drammatizzazione» – mette in gioco una concezione dell’amore e del soggetto per niente banale. La simulazione del discorso amoroso attraverso le parole di un soggetto che dice «io» non è un semplice artificio letterario, ma la messa in luce di una precisa idea dell’amore: sull’amore, secondo Barthes, non si può costruire alcuna filosofia poiché esso è un oggetto propriamente a-strutturale. Il metodo di Barthes non tenta quindi di descrivere l’amore in sé, ma di mettere in scena le contraddizioni e i moti del soggetto amoroso. La costruzione del discorso amoroso secondo frammenti disordinati e contraddittori, senza la presenza di una figura fondatrice, è l’affermazione dell’impossibilità di cogliere la verità sull’amore: «la passion amoureuse est une manière d’entrer en résonance avec l’autre […], et avec lui ou elle seuls. Nous sommes en deçà et au-delà de la philosophie»12. Amore è una parola insidiosa dietro cui si apre l’abisso dell’inspiegabilità, poiché l’amore sembra essere per essenza inspiegabile, sottraendosi a ogni forma di classificazione. Non volendo cercare di definire l’essenza dell’amore attraverso la domanda «che cos’è?» (domanda dall’aria platonica), Barthes sposta l’attenzione dalla verità dell’amore al discorso del soggetto amoroso, cercando di mettere in gioco un’altra domanda, di origine nietzschiana: la domanda tragica «chi?». Chi è il soggetto amoroso di Roland Barthes? È un soggetto disintegrato, costituito da un’immensa lotta tra forze, da cadute, tagli e rinascite. È un corpo che parla con infinite voci, che infrange i limiti del linguaggio e che oggi si trova a essere «trascinato […] nella deriva dell’inattuale».

1Platone, Fedro, 257b.

2Jacques Lacan, Il seminario. Libro 1. Gli scritti tecnici di Freud, Einaudi, Torino, 1978, p. 141.

3Moustapha Safouan, Studi sull’Edipo. Introduzione a una teoria del soggetto, Garzanti, Milano, 1977, p. 118. Il passaggio dal «piccolo altro» all’Altro è, come si vedrà nelle pagine seguenti, l’accettazione dell’ordine simbolico che argina il narcisismo e porta verso l’amore vero.

4Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Id., Opere 1917-1923 (vol. 9). L’Io e l’Es e altri scritti, Boringhieri, Torino, 1974, p. 299.

5Moustapha Safouan, Studi sull’Edipo, op. cit., p. 152.

6Jacques Lacan, Il seminario. Libro 1, op. cit., p. 341.

7Ibidem.

8Massimo Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Cortina, Milano, 2012, pp. 508-509.

9Ivi,p. 68.

10Jacques Lacan, Il seminario. Libro 1, op. cit., p. 268 (corsivo mio).

11«Dietro il vago concetto di Amore vero, abbiamo l’impressione che vi sia, anche nella psicoanalisi, un’immagine perfettamente endossale: l’Amore vero è in somma l’Amore normale. Non solamente l’Amore vero è sempre eterosessuale […], ma anche, infine, è l’Amore della coppia che si sopporta: la coppia sposata» (corsivo del testo). Roland Barthes, Le discours amoureux. Séminaire à l’École pratique des hautes études 1974-1976, Seuil, Paris, 2007, p. 459.

12«La passione amorosa è un modo di entrare in risonanza con l’altro […], e con lui o lei soli. Ci troviamo al-di-qua e al-di-là della filosofia». André Gorz, Lettre à D. Histoire d’un amour, Gallimard, Paris, 2006, p. 32.

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