Si alzava ogni mattina che era ancora buio, percorreva strade vuote, attraversava incroci ventosi, poi gli toccava tirare su quattro saracinesche e sciogliere i legacci che tenevano insieme i quotidiani, e infine smazzava le risme per stenderle sul ripiano anteriore dell’edicola. In questo modo i giornali erano pronti per essere sfilati uno ad uno dagli impazienti lettori che cominciavano ad arrivare prestissimo. Qualcuno addirittura era già lì in attesa davanti alle serrande ancora abbassate, e allora, prima di iniziare, l’edicolante estraeva a forza una copia dal pacco che il distributore aveva lasciato nella notte e la consegnava al cliente ansioso, il quale ricambiava con un paio di monete e qualche commento non richiesto sui titoli di prima pagina.
Chioschi dei giornali ce ne sono ancora, anche se non moltissimi: da una parte, l’edicolante cerca spazi protetti, più confortevoli e spaziosi rispetto al metro quadro scarso del vano di servizio che d’inverno è gelato e d’estate rovente; dall’altra, le tirature e le vendite negli ultimi anni sono precipitate. Diverse edicole sono abbandonate, scrostate, ricoperte di graffiti. Il loro perimetro è ornato da cumuli di foglie secche. Sono ciechi spettri cubici rimasti a presidiare i marciapiedi e gli angoli di certe piazze di periferia. Altre sopravvivono a fatica, magari aprendo solo al mattino, con le vetrine spoglie e i tendalini sbiaditi.
In origine, l’edicola era un tempio in miniatura (dal latino aedes: tempio, aedicula: tempietto) che conteneva la raffigurazione o la statua di una divinità. Se ne trovano ancora lungo le strade di montagna e nei borghi rurali, adattati alle figure mitologiche del cristianesimo.
Egualmente sacra, l’edicola dei giornali è stata un faro, un punto di riferimento topografico e civile. Era tra i primi esercizi commerciali ad aprire al mattino e tra gli ultimi a chiudere la sera, una torre di controllo luminosa verso la quale si faceva rotta ogni volta che ce n’era bisogno, e si trattava come minimo di un viaggio al giorno. “Andare a prendere il giornale” era come bere il caffè, i due gesti erano anzi quasi idealmente sovrapposti. Oggi, leggere il quotidiano con la tazzina in mano è quasi sempre un affare da sbrigare in fretta, una disattenta scorsa a sommari, catenacci e foto compiuta a gran velocità in un bar. Del resto, forse è solo grazie ai bar che i quotidiani riescono ancora a vendere qualche copia. Tutte le informazioni che ci servono le abbiamo già in tasca, ci arrivano velocissime a getto continuo, più rapide di qualunque espresso.
In edicola non si trovavano però soltanto i quotidiani. Le pareti esterne e interne erano foderate di periodici, libri, riviste, dispense, albi, rotocalchi, talmente tanti che, per farli stare tutti, il giornalaio doveva affastellarli l’uno sopra l’altro lasciando visibile solo un lembo di quelli che, sventurati, finivano nei ranghi arretrati. Ma grazie a quell’angolo di copertina sgualcita, il giornalaio li distingueva a colpo sicuro quando la lettrice colta chiedeva se c’era ancora il vecchio numero di un’oscura pubblicazione specializzata in letteratura underground, o l’impiegato che aveva sbagliato carriera arrivava puntuale a esigere la sua copia il giorno in cui era prevista l’uscita di Nuova Elettronica, o l’adolescente introverso bisbigliava il nome del mensile di musica e cultura giovanile che in copertina aveva chitarristi mascherati e cantanti seminude.
Per le nudità integrali bastava invece dare uno sguardo alla facciata meno in vista dell’edicola, quella posteriore di solito, ma carni procaci, umide bocche socchiuse e arti inferiori pericolosamente divaricati potevano essere relegati anche nelle vetrine laterali.
Nelle periferie, i chioschi dei giornali erano anche una sorgente di informazione a cortissimo raggio per chi, pur avendo poco tempo da perdere, non voleva rinunciare ai pettegolezzi di quartiere. Dalla sua postazione, l’edicolante vedeva movimenti sospetti, ascoltava voci confidenziali e trasmetteva telegraficamente il tutto durante lo scambio giornale-denaro, pochi secondi in tutto.
Ma anche i giornalai del centro erano talvolta predisposti alle relazioni umane. C’era un’edicola, che ora non esiste più, piantata in una zona di grande passaggio nel cuore della città ma su un marciapiede assai stretto, proprio a ridosso della facciata di un edificio; il sacrificio di un lato maggiore del chiosco, e quindi di una vasta superficie espositiva, non aveva fatto perdere d’animo il titolare, che collocava tutta la mercanzia vietata ai minori in bella vista come se si fosse trattato dei giornali del mattino, sulla parte frontale, proprio sopra e tutto intorno all’apertura da cui si affacciava per servire i clienti. A chi glielo contestava, il giornalaio rispondeva che un quotidiano e una rivista porno contengono pressoché la stessa quantità di volgarità, ma che la seconda è più affidabile perché, se è nuda, è più probabile che sia la verità.