di Andrea Muni
“La parola tabù esprime due opposti significati: in un senso significa sacro, consacrato, nell’altro, sinistro, pericoloso, proibito, impuro” (tutte le citazioni sono tratte da Totem e tabù di Sigmund Freud).
Attraverso questa secca definizione Freud inizia ad accostare la funzione del tabù nelle popolazioni cosiddette primitive a quella svolta dalla nevrosi ossessiva nella società contemporanea. Egli infatti osservava continuamente nella sua pratica che molte persone si ammalavano e si rovinavano la vita per non poter fare a meno di osservare tutta una serie, apparentemente immotivata, di divieti e imperativi che si presentavano loro con un carattere incondizionato.
“Per quanto venga inteso negativamente e si rivolga ad un altro contenuto, il tabù in fondo non differisce nella sua natura psicologica, dall’imperativo categorico kantiano, che opera in forma coattiva, escludendo ogni motivazione cosciente. […] Potrebbe esistere qualche relazione tra le motivazioni etiche alle quali obbediamo e questo tabù primitivo. La spiegazione del tabù potrebbe offrirci qualche chiarimento intorno alle origini oscure del nostro imperativo categorico”.
Il carattere comune ai tabù dei primitivi e ai rituali dell’ossessivo è per Freud l’orrore di entrare in contatto con un certo oggetto. L’orrore di entrare in rapporto, in continuità, diciamo pure in con-fusione, con l’oggetto colpito dall’interdetto. Eppure in questo orrore del contatto con l’oggetto, ci racconta Freud, si cela anche il desiderio opposto, ed è per questa ragione che l’oggetto tabuizzato appare dotato di “una forza demonica nascosta che scatena una paura oggettivata antecedente ogni sdoppiamento nelle due forme della venerazione e dell’orrore”.
Ora, se l’oggetto tabù per eccellenza dei primitivi era il totem – il quale incarnava simbolicamente tutto ciò che reggeva la struttura sociale, politica e “soggettiva” di quei popoli, rappresentando l’elemento simbolico dalla cui tabuizzazione dipendevano tutte le proibizioni particolari a fondamento di quelle società – la cosa curiosa è che nell’ossessivo questo elemento appare misteriosamente assente. Quel che Freud infatti sembra mancare clamorosamente – svelando una volta di più la sua mancata problematizzazione dei fondamenti storici e politici della psicanalisi – è che tutto il parallelo che egli svolge tra i tabù dei primitivi e la nevrosi ossessiva odierna potrebbe reggersi soltanto a patto di riuscire ad individuare il “totem” di quella “tribù” che negli ultimi due secoli è venuta formandosi e riconoscendosi globalmente attorno ai concetti universali di uomo e di soggetto. L’invisibile totem del nevrotico che tutti siamo potrebbe infatti non essere altro che la nostra stessa idea di uomo e di soggetto. È nei confronti di questo “oggetto” che noi soggetti concreti dell’epoca neo-liberale proviamo quell’affetto che – individuato per primo da Bleuler e poi ripreso da Freud – prende il nome di ambivalenza. Avere un sentimento ambivalente significa:
“desiderare al contempo svolgere quest’azione [infrangere il tabù, aggredire il totem] e al contempo aborrire ad essa. Il conflitto tra le due tendenze non è facilmente risolvibile. Il divieto è perfettamente cosciente, mentre il piacere prepotente di mettervi mano è inconscio. […] Ogni volta che il desiderio inconscio di toccare il totem emerge alla coscienza sotto forma di atti o godimenti, il divieto reagisce acuendosi ulteriormente. La tensione, il crescendo di queste due tendenze opposte produce le pratiche di difesa tipiche dell’ossessivo, che si configurano come azioni di compromesso”.
Il soggetto che tutti ci riteniamo essere, vale a dire quel soggetto che si immagina pensante e progettante, quel soggetto interiore, razionale, utilitario, dotato di aspirazioni, di corpo, di aspettative, frustrazioni, cioè proprio quel soggetto che – quando parliamo – chiamiamo “io”, potrebbe non essere altro che il nostro totem contemporaneo. Desideriamo infatti al contempo proteggerlo, per orrore di quel che potrebbe esserci al di là, e distruggerlo, per la promessa di godimento che trasuda dal divieto stesso.
Questa ambivalenza, pur giocandosi a livello dell’esperienza privata di ogni singola persona, rappresenta la chiave di ogni radicale alterazione politica delle regole storiche che strutturano i fondamenti di una società. Nel suo versante privato, individuale, etico ogni soggetto infatti partecipa – certamente in misure diverse a seconda del suo ruolo politico – del continuo divenire di ciò che ha funzione di totem, cioè di elemento simbolico che garantisce le regole che presiedono ai rapporti di potere e di desiderio di una società.
“L’uomo che ha trasgredito un tabù diviene tabù a sua volta perché acquisisce la pericolosa proprietà di indurre gli altri a seguire il suo esempio. Quest’uomo suscita invidia. […] E si deve anche anche convenire che se l’esempio d’un uomo che ha violato la prescrizione è di stimolo perché un altro segua la stessa strada, quella disobbedienza si diffonde come un contagio, proprio come il tabù a sua volta passa da una persona ad un oggetto e da un oggetto ad un altro”.
Se il totem della cultura neo-liberale fosse davvero l’oggetto “soggetto”, potremmo concluderne che la sua eventuale profanazione non potrebbe avere altro sapore che quello di una scenografica auto-aggressione. La quale, grottescamente, seguendo la lettera di Freud, avrebbe il potere contagioso di scatenare l’invidia in coloro che rispettano i tabù discendenti dal totem. L’oggetto colpito da tabù, nella nostra cultura, è infatti scivolato dentro, è divenuto invisibile per un eccesso di prossimità: è “il soggetto”. È per questo che le nostre fobie e i nostri tabù sono proiettati su oggetti esterni, oggetti che velano il ruolo – al contempo sacro e disgustoso, il ruolo di totem – svolto quotidianamente e inconsciamente proprio da noi stessi in quanto ci identifichiamo con quel soggetto che si immagina esistere in virtù del presunto fatto che pensa, e che, per di più, pensa di desiderare.
“Nella nevrosi l’azione è assolutamente inibita e totalmente sostituita dal pensiero. Il primitivo invece non conosce questa inibizione; i suoi pensieri si trasformano immediatamente in azione; si potrebbe arrivare a dire che in lui l’azione sostituisce il pensiero. Perciò, senza pretendere di chiudere la discussione con una decisione assoluta e definitiva, possiamo arrischiare questa affermazione: «in principio era l’Azione»”.
Il genio e il limite di Freud sono condensati tutti in questa frase, che conclude Totem e tabù. Una conclusione in cui Freud a sua volta inconsciamente, e in maniera davvero sintomatica, afferma simultaneamente che: 1) La nevrosi ossessiva è la condizione normale dei soggetti occidentali e (neo)liberali. 2) C’è stata una reale azione degli uomini della nostra cultura e della nostra società che ha prodotto storicamente il confinamento politico del soggetto concreto in un essere interiore, progettante, utilitario, edonista e razionale.
Quel che Freud non poteva vedere, a causa del suo stesso orrore sacro nei confronti del totem storico del suo tempo, è che tutto ciò che egli scopriva nei soggetti, attraverso la sua pionieristica e coraggiosa indagine, non era altro che questo totem: il soggetto (neo)liberale, e le sua funzione politica. Un totem storico, trasformabile, nei confronti del quale lo stesso Freud provava quell’ambivalenza che lo ha portato ad inventare al contempo il principio di piacere (venerazione del totem) e l’istinto di morte (sua profanazione). Questo (s)oggetto infatti ci sostiene nella vita, ma al contempo ci provoca al di là, ci provoca in quel luogo in cui l’Azione degli uomini non cessa di produrre nuovi totem, e con essi, certamente, non c’è motivo di nasconderselo, anche nuovi tabù.