Intervista a Pier Aldo Rovatti
di Stefano Tieri
Ci sono molti modi di occuparsi del filosofo dello Zarathustra: lo si può leggere spassionatamente, soffermandosi su qualche frase a effetto; lo si può far rientrare nei canoni di una filosofia “tradizionale”, elencandone uno dietro l’altro i concetti-chiave; lo si può prendere e farne un “manifesto” politico; o ancora lo si può biasimare perché non se ne condividono le analisi, o perché – il che è di gran lunga più preoccupante – a un certo punto della sua vita è impazzito, un evento che dimostrerebbe la condanna morale caduta sull’amorale per antonomasia a causa delle sue orrende colpe teoretiche. Oppure, infine, si può ingaggiare un corpo a corpo con lui, senza esclusione di colpi né pregiudiziali di alcun tipo, cercando di far cozzare l’inattualità di Nietzsche con il nostro tempo: farlo reagire, chimicamente, per produrre schegge inizialmente invisibili, ma in grado di aprire delle possibilità di pensiero prima precluse. È quello che ha provato a fare aut aut, dedicando a Friedrich Nietzsche un numero monografico in uscita il prossimo settembre. Ne parliamo con il direttore della rivista, Pier Aldo Rovatti.
Qual è il motivo che vi ha spinto a occuparvi di questo autore?
Si potrebbe dire che il motivo siano i numerosi maltrattamenti che Nietzsche ha subito, i quali richiedono ci sia un controcanto. Nella cultura contemporanea, da una parte Nietzsche non esiste (non se ne parla), dall’altra esiste nella forma di una vacuità, come autore che non ha tutto sommato più niente da dirci. Invece abbiamo ancora molti motivi per leggere e per occuparci di Nietzsche: quello che si riteneva in qualche modo essere il limite in Nietzsche, cioè l’elemento di contraddittorietà e paradossalità del suo pensiero, oggi diventa per noi essenziale, proprio per pensare. Per fare questo, bisogna passare attraverso un confronto tra l’uso che si è fatto di questo autore negli anni Sessanta (quando è stato messo in sinergia con le lotte per l’emancipazione del ‘68), in rapporto al silenzio che ne è seguito e anche al rifiuto che ha cementato questo silenzio. Occorre allora discutere anche di un certo uso che si è fatto di Nietzsche a “sinistra”: si pensi ad esempio a Il soggetto e la maschera di Gianni Vattimo, un libro che ha avuto una centralità per una generazione di giovani.
In confronto alle letture “politiche” che si sono fatte di Nietzsche, qual è la posizione presa da aut aut?
Questo fascicolo è intitolato “Con Nietzsche”. Cosa significa? Stare dalla parte di Nietzsche, ma non prendere partito per lui o contro di lui: la politicizzazione di Nietzsche, secondo noi, ha fatto il suo tempo. All’interno del fascicolo ripubblichiamo un testo di Vattimo degli anni ‘90, perciò successivo alle letture “politiche” cui facevo riferimento prima, mostrando però come lì ci sia ancora una posizione che, ora, non è più consonante. Oggi si tratta di fare una epoché rispetto a tutti i giudizi e i pregiudizi che avvolgono Nietzsche, per trovarsi dinanzi alla provocatorietà del suo pensiero, il quale non dev’essere rifiutato perché provocatorio, ma può essere interessante proprio perché urticante, specie nella crisi interna al trend di “benpensantismo” filosofico.
L’impressione che ho leggendo da una parte Nietzsche, dall’altra alcuni dei suoi interpreti, è che se le considerazioni del primo rimangono attuali (anche in virtù della sua “inattualità” nei confronti del proprio tempo), le letture storico-politiche, forse proprio perché troppo attuali e contingenti, perdono la loro forza con il passare degli anni. Due esempi: il Nietzsche sessantottino, di cui abbiamo già parlato, ma anche il Nietzsche che “conclude” la storia della metafisica occidentale (sto pensando ad Heidegger). Come se, dopo Nietzsche, metafisica e trascendenza fossero qualcosa di estraneo alla nostra vita.
Non siamo più tanto d’accordo su come tradurre la parola metafisica. Di mezzo c’è anche altro: Jacques Derrida ci ha insegnato che non possiamo liberarci dalla metafisica, e che la metafisica non è l’ascesa della soggettività. Semmai la metafisica è qualcosa che ha a che fare con la pretesa “forte” del pensiero, con la sua pretesa assolutistica. Non la possiamo smontare con un semplice gesto intellettuale.
La metafisica non è morta, insomma.
Non è morta, né è morta la battaglia contro la metafisica: una battaglia non in nome della verità, ma in nome di un’altra idea di verità. Sto pensando a Foucault: come mai a un certo punto il pensatore francese ha eletto Nietzsche a suo referente filosofico, proprio quando stava iniziando a elaborare le proprie batterie concettuali intorno alle nozioni di potere, di sapere e di verità? In questo fascicolo di aut aut Foucault è senza dubbio un autore di riferimento, come lo sono anche Benjamin e Bataille: tutti filosofi che hanno avuto un corpo a corpo con Nietzsche, e che ora mettiamo in gioco per aprire un paesaggio diverso. Ci sono poi altri contributi, che discutono del rapporto di Nietzsche con Darwin, con Cartesio, con la parola democrazia, c’è poi la questione della follia – non chiusa – che si porta dietro il problema del pensare come malattia e del significato della salute. Queste questioni sono tutte all’ordine del giorno: non si può dire che mettere Nietzsche all’interno di esse, farlo funzionare come reagente, significhi de-politicizzare Nietzsche. A nostro parere significa fare proprio l’opposto.
Quindi il titolo “Con Nietzsche” è inteso anche come un prendere in considerazione gli autori che sono andati, storicamente, a braccetto “con” lui.
Non spieghiamo cosa significhi essere “con Nietzsche” in senso generalistico: lo facciamo attraverso una serie di declinazioni, passando attraverso delle coppie di pensiero, dove il “con” diventa qualcos’altro: per arrivare a capire cosa significa essere “con Nietzsche” oggi, proviamo a leggere cos’era essere “con Nietzsche” per Bataille, Benjamin, Foucault…
In questo modo si mostra come Nietzsche sia stato un pensatore enormemente prolifico, e come possa esserlo anche ora.
Oggi siamo in una situazione asfittica, manca ossigeno. Un giro d’aria si può costruire a partire da Nietzsche. Non è che con questo fascicolo abbiamo voluto dire l’ultima parola sul filosofo tedesco, tracciandone le diverse interpretazioni che se ne sono date nel corso della storia oppure le diverse “fasi” del suo pensiero. Bisogna fare ancora uno sforzo, per evitare che Nietzsche diventi (come in parte è oggi) semplicemente un esercizio accademico, su cui si scrive molto, ma che non diventa uno strumento per pensare. Tutto Nietzsche può servirci per pensare: dai corsi tenuti come professore di filologia nell’Università di Basilea, pubblicati recentemente, fino ai frammenti postumi più prossimi alla follia.
A questo riguardo, ti sei occupato di pubblicare – per Bompiani – La volontà di potenza. L’operazione editoriale ha fatto molto discutere: il libro, curato dalla sorella del filosofo e dall’amico Peter Gast, consiste in una raccolta arbitraria di frammenti pubblicata dopo la morte del filosofo.
L’intenzione era far conoscere il libro attraverso cui Nietzsche venne letto da Heidegger e da intere generazioni. È giusto che si possa conoscere, così come è anche giusto che – mentre lo leggiamo – ci accorgiamo che non è una porcheria. Il punto è che non so quanto sia stato letto, almeno in Italia: il testo ha richiamato il dibattito generico sulla volontà di potenza, focalizzando l’attenzione sulla postfazione di questo libro, che ha portato acqua al mulino di ciò che oggi chiamo “liquidazione” di Nietzsche. Quando nel 1992 è uscito questo volume, l’aria che si respirava era già poco disponibile verso Nietzsche.
Prima hai fatto riferimento a un’altra idea di verità che emerge in Nietzsche, messa in gioco anche dal Foucault lettore di Nietzsche. Quale funzione può avere quest’altra idea di verità, questo vivere la verità, oggi?
Per quanto possa risultare bizzarro agli occhi di qualcuno, può avere un effetto de-assolutizzante, che ci aiuta a combattere ogni forma di assolutismo. Ma come? Quello lì, il “nazista” Nietzsche ci aiuta a combattere gli assolutismi? Se andiamo a fare un corpo a corpo con lui, ne ricaviamo uno strumento che – bene o male – ci aiuta a fare questo.
Occorre quindi tornare a occuparsi di verità, sebbene in modo diverso.
La questione della verità va ripresa: credo che Nietzsche sia in grado di orientarci, e qui c’è una politicità utilizzabile. Non è vero che Nietzsche ha cancellato la parola verità per sostituirla, come spesso si è detto, con la parola nichilismo. Heidegger ha indicato diversi concetti chiave nel pensiero di Nietzsche, come ad esempio “volontà di potenza”. Tutto ciò era lo sforzo, terribile e tutto filosofico, di ridurre Nietzsche ad alcuni concetti, per mostrare come fosse un filosofo “tradizionale”. Ma come si può compiere un lavoro del genere con un autore che lavora proprio a una de-concettualizzazione? Questo vale anche per la verità: non puoi ridurre la critica della verità di Nietzsche a una critica della Verità con la “v” maiuscola. L’elemento di “maiuscolizzazione” della verità rimane in piedi: Nietzsche parla di “convalescenza”, che durerà un tempo che non riusciamo bene a calcolare. Chissà se arriveremo mai a un pensiero gaio, a una “gaia scienza”? Allora questa convalescenza – su questo Vattimo ha detto delle cose importanti – comporta il fatto che con gli effetti di verità noi abbiamo continuamente a che fare. Non abbiamo gli strumenti per rintuzzarli davvero, abbiamo soltanto la possibilità di adoperarli e di metterli a contatto per indebolirli con altri strumenti.
Tutto sommato, una certa ragione Derrida ce l’aveva sulla nozione di metafisica. E oggi, il fatto di indebolire la verità ben sapendo che la volontà di verità viene fuori da ogni angolo, è un compito fondamentale: non siamo né per la verità né contro la verità, siamo per tentare di costruire una politica del pensiero della verità, che tenga insieme questa due cose. Non perché voglia essere pacificatrice, ma proprio perché vuole essere dilemmatica e conflittuale.