di Edoardo Scipioni
“E la gente va, abbagliata,
passeggiando sulla ghiaia,
sotto questo grande cielo
che dai culmini lontani
su altri culmini s’inarca.”
Franz Kafka
Accade che ognuno, oscillando in esatti spazi ventosi, trovi sempre qualcosa a prendere per mano il proprio apparire, dato il più che prezioso e sempreverde nostro accanto; ma questi giorni parlano chiaro, scoperchiano l’esalazione dell’insidia, la possibilità di un protrarsi avverso e a tempo indeterminato. Per gioco di chissà quale mancanza poi, si prende atto del verdetto: la paura, in forma di accumulo, non attende che di annidarsi nel germoglio di un’ipotesi per crescere, e occupare, tanto più gravemente quanto più l’idea si sviluppa in complessità di trame incerte e all’oscuro dell’imbastitura che le scaturisce.
È innanzitutto il corpo, quando sradicato a viva forza dal contesto di una rappresentazione, ad essere viva espressione d’isolamento.
L’estrapolato dal destino, non può far altro che scollarsi in primo luogo da sé stesso e lacerare a tal punto la propria tragedia da permettere all’epifania dell’incarnazione senza pause di fare breccia e saturarne i fori. Attraversiamo gli atti di un’opera che oltrepassa l’espressione stessa, a passeggio sull’informe come eventi immaginari in balia di fatti a cui non possono appartenere.
Ma cos’altro ci sovviene, in quanto corpi, se non solo l’apparente onestà dell’accanto? Non c’è altra scelta che partire da questo; con un “calmo colpo di reni” divincolarsi dalla linearità a scomparsa del tempo e dall’insistenza dell’interpretazione, così da affondare nell’immanenza, sia questa attendibile o illusoria. Tutto ciò per giungere a una terra senza terra, dunque per non giungere affatto e senza più un come oltrepassare finanche l’immediato.
Vibriamo tentativi in esubero ricamando ambizioni sull’indifferenza di vuoti sguardi. Assaliti dall’affanno del proseguire oltre, ci neghiamo perfino in veste di apparizioni illusorie dell’impossibile. Da sempre vittime di un dubbio come di una nostalgia mal collocata, non impareremo dal passato vivendo nel timore che le sue pagine si ripetano all’infinito e nemmeno una volta risaliti alla radice dell’inchiostro. La divisione che il senso di storia in divenire necessariamente implica è un nemico che le vaghe incursioni sull’attuale non possono pretendere di scalfire. Servirebbe una vera e propria rivoluzione, un impulso differente che alteri il sistema con il quale i gesti arrecano pensieri e ragionamenti.