Just in time

di Chiara Citriniti
illustrazioni di Agata Ruota (@will.a.arte)

Quia pulvis es et in pulverem reverteris

Genesi 3,19

Polvere danzava nel fascio di luce che, piano, si addentrava nella stanza.

Tutto sembrava immobile, destinato a rimanere invariato nel tempo: vestiti buttati qua e là, calici lasciati distrattamente sul tavolo accanto a una bottiglia di vino vuota, mentre la voce di Nina Simone riempiva la stanza, dall’angolo al giradischi. Loro, stretti sotto alle coperte, dormivano sereni, dimentichi della lancetta dell’orologio che continuava a scorrere – inesorabile. 

La luce guizzò sugli occhi della donna, come a volerla svegliare, come a volerle ricordare il proprio dovere. Si alzò guardando il cielo dritto di fronte a sé adornarsi con i colori dell’aurora. Poi si allungò verso il compagno, lentamente, quasi a voler ritardare il più possibile il suo risveglio; lo vedeva poggiato lì, con le ciocche scomposte, il respiro leggero e le labbra rosse, vivide, pronte a sbocciare in un

Buongiorno.

Buongiorno tesoro, sussurrò lei, dobbiamo andare.

Non è possibile, è già l’ora?

Quasi. 

La mano dell’uomo corse alla ricerca della mano dell’amata.

Rimaniamo ancora, chiediamo che ci diano più tempo, solo per stavolta.

Lo sai che non si può, c’abbiamo già provato.

Ma-

Non si può. Forza. 

Era sempre così lei, pensò. Quel suo senso pratico l’aveva ammirato tante volte, in alcune occasioni persino detestato, ma in quel momento, il pensiero che nemmeno la morte l’avesse cambiata, non gli scatenò altro che un sorriso. A dire il vero, pareva che nulla fosse mutato: ancora una volta vedeva di fronte a sé le spalle della moglie aprirsi, le braccia stiracchiarsi e i ricci muoversi disordinati, accompagnando la testa che si volgeva per la stanza in cerca dei vestiti. Seguì con la mano la linea della sua lunga schiena e quel gesto, così familiare, evocò dei ricordi che adesso gli trafiggevano la mente come punte affilate.

Non voglio perderti di nuovo, disse, cingendole i fianchi, voglio venire con te. 

Non lo dire neanche per scherzo, ribatté lei.

Qui sto già morendo. Non canto più, non scrivo più, la mia vita è il nulla…

Tu parli di cose che non conosci: io so cos’è il nulla, l’oblio, il vuoto.

Lui non rispose. Passò il braccio attorno alla vita sottile della moglie e si lasciò cadere con la testa, ormai troppo pesante, sulla sua spalla. Qualche lacrima le scivolò sulla pelle e lei diventò sempre più pallida. Si voltò: il suo viso quasi ombra, gli occhi vacui e, con un filo di voce, disse:

Orfeo, è davvero questo ciò che vuoi?

Ebbe timore al suono di quella voce, così diversa dal solito. Non più dolce ma fredda e risonante. Le labbra gli si muovevano incerte, alla ricerca di una risposta oltre la chioma disordinata di Euridice. Vide il sole fiorire timidamente tra le nuvole, le rondini inseguirsi vorticosamente, disegnando cerchi nel cielo, le macchine scorrere sulla strada come fossero su una catena di montaggio. Udì perfino la saracinesca del bar di sotto sollevarsi. Un nuovo giorno stava nascendo, spettava a lui decidere se ne avrebbe fatto parte ancora. Chiuse gli occhi. Si lasciò accarezzare dalla brezza che – silenziosa – entrava dalla finestra. Li riaprì e la vide di fronte a sé. Euridice era seduta sul letto, avvolta dalla luce che proveniva dalla finestra.

Si era dimenticato quanto fosse ancora più bella di mattina: la luce del sole colorava d’oro i suoi occhi, verdi, dello stesso colore del mare nelle giornate calme d’estate. Era una di quelle cose che sapeva solo lui di lei, uno di quei particolari in cui loro si riconoscevano come parte l’uno dell’altro, inseparabili.

Distolse lo sguardo e salutò il cielo per l’ultima volta, come fosse un vecchio amico. Seguire Euridice era sempre stato il suo destino, l’aveva capito fin dalla prima volta in cui aveva scorto i suoi ricci neri saltellare in mezzo alla folla. Mentre la guardava, lei aveva ricambiato lo sguardo. Un sorriso, niente più. Fu quello l’inizio di tutto.

Pensò che, se non in vita, almeno negli Inferi sarebbe stata la sua sposa. Le fece cenno di sì con la testa. Lei ricadde sul cuscino, prese il suo viso tra le mani e gli diede un bacio. Mentre gli accarezzava la pelle bianca con una delicatezza quasi materna, le parole di Euridice risuonarono nella stanza.

Adesso staremo insieme per sempre.

Il fascio di luce, ora più grande, penetrava nella stanza, illuminando l’orologio sulla scrivania. Le lancette scattarono sulle sei, mentre il vento spazzava via dalle lenzuola granelli di polvere.

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