di Stefano Tieri
Questi genealogisti della morale si sono mai, sino a oggi, anche solo lontanamente immaginati che, per esempio, quel basilare concetto morale di «colpa» ha preso origine dal concetto molto materiale di «debito»? (Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale)
La domanda posta più di un secolo fa da Nietzsche, non appena rivolgiamo la nostra attenzione alle tensioni tra Grecia e Unione europea, assume sfaccettature inedite. Referendum, Grexit, debito, autodeterminazione, default: queste le parole d’ordine, tra il politico e l’economico, sulle estenuanti trattative che vedono impegnati da una parte il governo di Atene e – dall’altra – le istituzioni europee. Come si sta raccontando la vicenda? Basta una fugace occhiata ai commenti degli opinionisti sulle principali testate italiane e internazionali per rendersene conto: la Grecia viene ritratta come un partner irresponsabile, fannullone e traditore, incapace di “rispettare i patti” con i “paesi creditori”. Un paese “colpevole” perché incapace di restituire il proprio debito: eccoci tornati alla frase di Nietzsche.
Il concetto di colpa, oggi, non è più quello a cui faceva riferimento il filosofo tedesco: dal piano morale si è spostato su quello economico, l’unico ad avere ancora effetti di verità nelle post-moderne società tecnocratiche. Potremmo dire, con un po’ di ironia, che il cerchio finalmente si è chiuso: se il concetto di debito (la differenza potenziale fra creditore e debitore che spinge quest’ultimo all’asservimento nei confronti del “padrone”) risulta alla base della nozione di colpa, oggi l’unica colpa ad avere ancora senso è quella economica, perciò materiale – ma al tempo stesso, come vedremo, anche morale – proveniente dal debito. La colpa torna ad essere “semplicemente” debito, assorbendo però l’esperienza storica del suo concetto: abbiamo a che fare con un debito moralizzato, profondamente intriso di senso di colpa. L’identità tra debito e colpa si manifesta, ora, non solo nel concetto “derivato”, ma anche in quello “originario”: la continuità è totale, il circolo vizioso incapace di essere spezzato.
Come si manifesta, nel quotidiano, tutto ciò? Prima di tutto nel dare per scontato che, all’interno dell’Europa, i “Paesi di serie B” siano quelli economicamente in difficoltà: non solo Grecia, ma anche Spagna e Italia. Come se gli altri aspetti dell’esistenza (quelli con una ricaduta “minore” sul piano economico) non avessero alcun tipo di valore: letteratura, arte, filosofia, musica – che peso volete che abbiano sul PIL? Chi fosse tentato di rispondere “nessuno”, si interroghi sul significato del fantomatico Prodotto Interno Lordo, sull’arbitrarietà con cui questo concetto è stato teorizzato e di come le regole per il suo calcolo siano continuamente in mutamento. Ci si accorge, in questo modo, che l’azione si sta sviluppando sempre sul piano politico, e che la “verità” economica è frutto di una costruzione decisa da forze politiche le quali, dietro una parola “neutra” come economia, nascondono i propri volti.
Sembra quasi di sentirle dire, con sussiego: “dura lex sed lex, all’economia non si comanda, poiché esprime nel più profondo la verità dei nostri comportamenti”. Ma l’economia, più che disciplina scientifica, è prassi politica: e sarebbe fin troppo facile, per dimostrarlo, appellarsi alle previsioni di molti illustri economisti sulla crisi del modello economico in auge, ritenuta in un primo momento transitoria e destinata ad essere presto dimenticata.
L’incontro tra questa idea di economia e la dimensione della morale genera un cortocircuito: in una società la cui “verità” prima – quella che finisce per definire l’identità – è quella economica, il “virtuoso” (dal punto di vista economico) finisce con essere, a livello morale, il “buono”. Una verità comunemente accettata e che legittima, su una base che non è più soltanto economica (ma anche morale, appunto), la forza decisionale del “padrone”, il creditore.
“Se pur sia consueto, trovatelo strano”, ci suggerirebbe a questo punto – con piglio critico – un redivivo Bertold Brecht. Al punto da dubitare di dove sia la ragione e dove il torto, dove il “buono” e dove il “cattivo”, dove il gesto folle e dove quello assennato – non dimenticandoci magari, su insegnamento proprio del pensiero greco antico, che è dalla follia a provenire quel che noi chiamiamo sapienza.