di Stefano Tieri
Il genere sci-fi ama confrontarsi – forse più di ogni altro – con le storture, gli ingranaggi inceppati, le crisi profonde che caratterizzano il nostro presente. Come se per mettere più a fuoco un problema vicino – troppo vicino – fosse necessario collocarlo lontano nello spazio e/o nel tempo, per riuscire a inquadrarlo in una migliore prospettiva.
Non stupisce allora che uno dei temi a far capolino, nell’ultima edizione del Trieste Science Fiction Festival, sia quello della catastrofe ambientale a cui stiamo rovinosamente andando incontro. Sono due i film ad aver preso di petto il tema, sebbene con due approcci molto distanti: “After Us, the Flood” del regista finlandese Arto Alonen e “Preparations for a Miracle” del regista tedesco Tobias Nölle.
Il primo rientra a pieno titolo nel genere fantascientifico: il giovane fisico Henrich, insieme a due compagni di corso, sviluppa un reattore a fusione in grado di produrre energia pulita in quantità infinita. Tuttavia i problemi non sono affatto risolti: Henrich, accecato dal denaro che gli viene offerto, vende il brevetto a una multinazionale, con conseguenze devastanti per il pianeta. L’Onu riesce a sviluppare una tecnologia in grado di spedire la memoria di una persona nel passato: si sceglie allora di far tornare Henrich al momento della sua nascita, affinché doni la tecnologia rivoluzionaria all’umanità invece di cederla al privato. Non tutto, però, andrà come previsto…
Siamo davanti ad un viaggio nel futuro che si rivela, in seguito, viaggio nel passato. Il personaggio di Henrich – un figlio di papà superbo e violento – riceve una seconda chance, e nei suoi maldestri tentativi di cambiare il corso della storia si renderà presto conto che non riuscirà mai nel suo intento fino a quando, a muoverlo, sarà il mero interesse personale. L’evoluzione del suo personaggio, che muta nella misura in cui cambiano le condizioni sociali ed economiche di partenza (per scoprire il perché dovrete vedere il film), è l’aspetto più riuscito della pellicola, che scorre piacevolmente nei suoi 97 minuti.
Ma è “Preparations for a Miracle”, a mio avviso, la vera e propria rivelazione tra i due. A una prima occhiata il film potrebbe essere considerato un documentario (molto particolare, senza dubbio); ma è anche, a ben vedere, una bellissima favola fantascientifica. Un androide proveniente da un futuro indeterminato giunge sul pianeta Terra del 2022. Lo scopo della missione è registrare la voce dell’ultimo Re, che si ritiene in grado di dare risposte esistenziali alle macchine del futuro. Le quali ormai – dopo l’estinzione della razza umana – non hanno più un fine che guidi le loro azioni, né la loro “vita” ha più un senso.
L’androide atterra in Germania, nei pressi della miniera a cielo aperto di Hambach, teatro di una feroce battaglia tra Stato e forze ambientaliste. Con il suo sguardo completamente esterno, viziato solo da una storiografia (probabilmente) errata, l’androide cerca di comprendere cosa sta succedendo, imbattendosi in scavatrici colossali, sgomberi forzati di villaggi, case sugli alberi abbattute e violenti scontri con la polizia. Perché la “gente dei boschi” ce l’ha tanto con chi vuole soltanto rendere omaggio al Re? Qual è il rapporto tra l’uomo, che impartisce ordini distruttivi senza battere ciglio, e la macchina, che supinamente li esegue?
La narrazione non è mai concitata, anche nei momenti più tesi; lo sguardo dell’androide ci dona una prospettiva dal basso – dalla parte degli oppressi, persone e macchine – ma in grado, in una scena in particolare, di librarsi in volo e restituirci una sorta di poesia della devastazione, che atterrisce e affascina in un unico respiro.
La fotografia, vicina al quotidiano e dalle tinte desaturate, ci immerge in un ambiente onirico, che in qualche modo stride con il conflitto – profondamente reale – in atto. Il ritmo cadenzato della voce dell’androide, le sue formule linguistiche fisse, fredde e distaccate, aumentano il senso di spaesamento, proprio mentre attorno ogni cosa brucia e scalpita.
In questo clima straniante il messaggio del regista striscia verso di noi, trapassa l’aria resa irrespirabile dai lacrimogeni e ci colpisce nel profondo: “anche se in questi anni, a causa di covid e guerre, ci siamo dimenticati della crisi climatica, lei è sempre là ad aspettarci”, ci ricorda Nölle in un video-messaggio trasmesso prima della proiezione. Possiamo ignorarla, ma questo renderà solo più duro il colpo che riceveremo in seguito – di cui in questi giorni, in Spagna, stiamo vedendo le terribili avvisaglie.
Nölle ci insegna che, se esiste un modo efficacie di parlare della crisi climatica, è proprio restando coi piedi ben piantati a terra, immerse e immersi nella concretezza della devastazione; sapendo però restituire – persino tra le macerie – la bellezza, la poesia di un urlo di rabbia.
Il Trieste Science+Fiction Festival è in programma dal 29 ottobre al 3 novembre, trovate tutti gli appuntamenti qui.