di Andrea Muni
(illustrazione di Silvia Mengoni)
La gioia è immensa, torrenziale, un liquido che cola dalle dita. Il buio della notte si allarga, si spande, in un sorriso. La luna non è occhio, ma buco – luminoso – da succhiare. Sgocciola luce.
Nessuno la guarda disteso sul lettino di una spiaggia, la testa rovesciata. Nessuno è tra le sue gambe. Nessuno spreme il godimento dal corpo.
Un’arte estrattiva. Miniere d’oro, alambicchi, uva nel tornio, salassi e sanguisughe.
Il godimento scola, trasuda dal corpo come sangue, aria, vino. L’orifizio della luna lo risucchia, lo beve. Tutto. Mi inonda gli occhi. Famelico, immobile, muto.
La luna raccoglie il succo dei corpi, lo distilla. Lo protegge dal vagare disperato per l’aria gelida, dal diventare freddo come un’anima, uno spirito, un pensiero.
***
Organi ambocettori. L’antica verità del mitile. Bocca e culo, occhio e macchia, un tempo uniti come bene e male.
Il grande Pan è morto. Nascosto tra i tetti ha spiato la luna, i molluschi e le spugne teneramente attaccati al suo seno, i suoi figli. Viva il grande Pan! Caduto nella luna!
La dolce notte dell’ebbrezza e del riso, è dimenticata. L’accecante notte dei senza nome e dei senza storia che siamo, che ci precede e che ride, è sospesa.
Come può il mondo ancora essere felice, perdonarsi, dire “noi”, senza gorgogliare giù per quel buco di rubinetto, giù per lo scarico della luna?
Come può ricordarsi di sé, senza prima essersi dimenticato?
Come può ritrovarsi se non riesce a perdersi? Se ha orrore di cadere, come il grande Pan, nel buco della luna? Orrore di scoprire che Lei non ci spia… ma ci respira.
***
La luna non ci vede. Succhia e sputa la marea dei nostri occhi, se li attacca al seno, li chiama le sue spugne e i suoi molluschi. Il suo latte è godimento, dei corpi, di nessuno.