di Alessandro Sbordoni
In questa intervista abbiamo parlato di Donald Trump, dello spettacolo della politica americana e della fine della realtà.
Alessandro Sbordoni: Certe persone credono che Donald Trump sia un politico ignobile. Ma Donald Trump non è affatto un politico. È soltanto il segno dello spettacolo.
Maggioranze Silenziose: Sì, non c’è più alcuna politica. Non c’è più alcuna realtà. Anche se è un gran casino e la realtà fa irruzione nel virtuale, per esempio, facendo una sparatoria con un fucile d’assalto, la realtà non viene ristabilita. Se Donnie Trump resta “nel personaggio” è perché può fare soltanto quello: non c’è nulla oltre il personaggio. Puoi uccidere un essere vivente, ma non puoi uccidere un’immagine…
AS: È lo stesso nello spettacolo rappresentato da Idiocracy, il film di fantascienza e commedia nera con Terry Crews nel ruolo di Presidente degli Stati Uniti. In un futuro non troppo lontano, la politica e la cultura sono soppiantate dall’idiozia e dalla violenza. Stiamo guardando il sequel in tempo reale, ancora prima che sia uscito.
MS: Questo non è più un film di fantascienza. Nell’anno 2506, il Presidente degli Stati Uniti è un’ex star del porno e lottatore che ha usato la propria fama per scendere in politica. La finzione e la realtà adesso fanno lo stesso gioco ancora una volta: la prima volta è una commedia nera, la seconda è una storia epica. Quindi quando Hulk Hogan dice che la “Trumpmania renderà di nuovo grande l’America” e si strappa la maglietta al Congresso Nazionale dei Repubblicani, non fa che dimostrare che non c’è più nessuna differenza tra realtà e finzione. E questo è epico. La storia stessa ha la struttura di una finzione.
AS: Pensi che l’elezione di Donald Trump sia paragonabile alla vittoria del titolo di campione del mondo da parte di Hulk Hogan?
MS: Era il 1957 quando “Rollie” Barthes scriveva che la differenza tra il wrestling vero e il wrestling falso non ha significato per il pubblico che, al contrario, “si disinteressa altamente di sapere se l’incontro è o non è truccato […]; si abbandona alla prima virtù dello spettacolo, che è quella di abolire ogni movente e conseguenza”. Il pugilato, per esempio, è uno sport giansenista in cui vince soltanto il meglio del meglio. Ma il wrestling è tutta un’altra cosa. Quando Hulk Hogan perde contro lo Stallone Italiano in Rocky III, non è perché non sia un duro. No, è perché Rocky Balboa è la star dello spettacolo ed è lui che deve vincere. “Si può scommettere sul risultato di un incontro di pugilato”, scrive Rollie Barthes, ma “per il [wrestling] non avrebbe senso”.
Nel 2007 Donald Trump è stato sul ring di Wrestlemania per la Battaglia dei Miliardari dove ha battuto il pezzo da novanta della WWE, Vince McMahon. Anche allora era chiaro come il sole che il pubblico non faceva il tifo per Vince, il capo dell’azienda.
AS: Lo spettacolo sa sempre già chi saranno i vincitori della Battaglia dei Miliardari…
MS: Nel 1984, quando Hulk Hogan prese a pizze in faccia The Iron Sheik, stava lottando ancora una volta contro il “cattivo”. Mr. America contro Mr. Arabia, niente di più ovvio. Non è più uno spettacolo mitico ma politico. L’unica cosa che contraddistingue il buono dal cattivo è soltanto chi è stato fischiato dalla folla.
È sempre la stessa storia. “Lascia che ti dica una cosa, fratello”, grida Hulk Hogan. “Quando sono arrivato qui stasera, c’era così tanta energia in questa stanza che mi sembrava di essere tornato al Madison Square Garden per vincere un altro titolo mondiale […]. Ma quel che ho capito è che ero in una stanza piena di americani veri, fratello. E alla fine della giornata, con il nostro leader, il mio eroe, quel gladiatore lassù, faremo ritornare l’America tutta d’un pezzo”. E poi ha detto sulla rielezione di Donnie Trump: “Tutti voi criminali, miserabili, delinquenti, spacciatori e voi politici corrotti, tutti voi dovete ancora rispondere a una domanda: che cosa farete quando Donald Trump e tutti i Trumpmaniacs si scaglieranno contro di voi?” Il palco è lo stesso ma le regole del gioco adesso sono quelle di una storia epica invece che di una Commedia dell’Arte o di un mito.
AS: Ma allora qual è la differenza tra Hulk Hogan e Donald Trump?
MS: Fammi aggiungere una cosa. Nel wrestling, lo shoot è quando qualcosa è reale, quando non è una tutta una messa in scena. È il contrario del kayfabe, dove lo spettacolo deve andare avanti come se fosse reale per il pubblico. Hulk Hogan non è più Thunderlips al Convegno Nazionale dei Repubblicani, ma Terry Gene Bollea. Questo è ovvio. Donald Trump, invece, è sempre il vecchio Donnie Trump. Guardalo, guarda come alza in aria il pugno destro ai suoi raduni come aveva già fatto alla Battaglia dei Miliardari di Wrestlemania. Trumpmania non è Hulkmania. È molto più di un mito — pace all’anima di Rollie Barthes. Se c’è ancora un palcoscenico in America, è soltanto per nascondere il fatto che tutta quanta l’America è un palcoscenico.
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Nel suo saggio All’Ombra delle Maggioranze Silenziose, Jean Baudrillard scrive che la stessa notte in cui Klaus Croissant fu estradato, la Francia giocò per qualificarsi al Campionato Mondiale di calcio. Alcune centinaia di persone (tra cui Gilles Deleuze e Michel Foucault) protestarono per strada contro l’estradizione da parte del governo, mentre venti milioni di persone assistettero alla vittoria della nazionale di calcio francese contro la Bulgaria. Allora lo spettacolo fu e, secondo Jean Baudrillard, sarà sempre preferito rispetto alla politica.
Ma ormai non c’è più nessuna differenza tra i due. Se l’ascesa di Donald Trump non è più resistibile, è perché non c’è più nessuna differenza tra il silenzio delle maggioranze e il loro rumore. Hulk Hogan è solo l’ultimo stadio, nel duplice senso di questa parola, dell’analogia tra la politica dello spettacolo e lo spettacolo della politica.
Il magnate dei media e politico italiano Silvio Berlusconi, il precursore di Donald Trump, tutto questo l’aveva già dimostrato trent’anni fa: ancora prima dell’idiocrazia c’era la videocrazia di Silvio Berlusconi. Domani potrebbe essere qualcosa di ancora peggio.
Riferimenti nel testo
Barthes, Roland “Rollie”. Miti d’Oggi, trad. Lidia Lonzi, Torino: Einaudi, 1974 (1957).
Baudrillard, Jean. All’Ombra delle Maggioranze Silenziose: Ovvero la Fine del Sociale, trad. Dario Altobelli, Sesto San Giovanni: Mimesis, 2018 (1978).
Judge, Mike (dir.). Idiocracy, Ternion, 2006.
Stallone, Sylvester (dir.). Rocky III, United Artists, Chartoff-Winkler Productions, 1982.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su NON.
Alessandro Sbordoni è nato a Cagliari nel 1995. È l’autore di Semiotics of the End: On Capitalism and the Apocalypse (Institute of Network Cultures, 2023) e The Shadow of Being: Symbolic / Diabolic (2a edizione, Miskatonic Virtual University Press, 2023). Alessandro collabora con la rivista inglese Blue Labyrinths e la rivista italiana Charta Sporca. Vive a Londra e lavora per la rivista scientifica Frontiers.