di Cristiano Carchidi
Il panorama filosofico italiano si trova da alcuni anni in stato di fermento intorno ad un tema cruciale: il politico. Forse per la singolarità dei suoi problemi interni, o forse per la brevità della sua storia, l’Italia costituisce senza un dubbio un terreno privilegiato per la riflessione sul potere e i suoi “derivati”. In questo senso il lavoro politico-filosofico di Roberto Esposito si è imposto, senza dubbio, come uno degli esempi più attuali, e virtuosi, di una riflessione che si pone al confine tra storia, politica e filosofia.
Le persone e le cose è una breve ripresa, e al contempo un approfondimento, dei temi preponderanti della pluridecennale “operazione” filosofica di Roberto Esposito. In continuità col suo precedente libro, Due, l’autore approfondisce la molla essenziale dell’intero dispositivo teologico-politico e della sua sovranità: il concetto di persona. Esposito si concentra nel suo breve saggio sul rapporto tra persona e cose, un rapporto il cui luogo privilegiato di scambio e con-fusione è il corpo. L’autore indica esplicitamente nel corpo una possibile via d’uscita dalla “stagione” teologico-politica e dal concetto giuridico-politico-filosofico tradizionale di persona che storicamente la supporta. Il corpo infatti, all’interno della macchina teologico-politica, si pone come enigma, un enigma il cui eventuale scioglimento potrebbe condurre alla possibilità generativa di nuove pratiche etico-politiche (e di un nuovo lessico politico, giuridico e filosofico).
Il libro si divide in tre capitoletti, ognuno dei quali ripercorre i momenti di produzione e di emergenza di quelle che Esposito definisce tre “categorie di realtà” (il politico, il giuridico, e il filosofico). Nei primi due capitoli, dedicati a persone e cose, l’autore ridisegna il percorso storico di un certo movimento nichilistico, quello che ha condotto ad una netta separazione tra cose e persone, conducendo in tal modo all’inevitabile e apparentemente inviolabile distinzione soggetto-oggetto. Il diritto romano, la teologia cristiana e la filosofia razionalistica hanno prodotto – secondo Esposito – una doppia separazione: la cosa nella persona e la persona nella cosa.
Il diritto romano, ad esempio, nasce separando le persone dalle cose, ma nel far questo non fa che istituire un rapporto di proprietà e di diritto esercitabile dalle persone sulle cose. La Teologia Cristiana, al contempo, con il suo tipico movimento verso l’interno, ha prodotto storicamente la scissione del “soggetto” in persona (anima) e cosa (corpo), compiendo un atto proporzionale alla scissione interna del Figlio (Cristo come uomo-Dio) compiuta dal Padre. Quanto alla filosofia, ci racconta Esposito, il concetto di persona, da Platone ad Aristotele passando per Locke e Cartesio e giungendo fino a Kant, ha contribuito trasversalmente – nella storia della filosofia – a perpetuare la divisione (ed oscillazione) continua della persona nelle cose e delle cose nella persona.
Nel condurre la propria genealogia partendo dal versante delle cose, invece che da quello delle persone, Esposito incontra la riflessione marxiana e quella che gli sembra essere stata la sua intenzione filosofico-politico fondamentale: escludere la cosa, o quantomeno strapparle la sua più propria realtà. Esposito rintraccia nell’analisi della merce compiuta da Karl Marx (rapporto cosa/valore), il movimento di un continuo scivolamento della persona (operaio) verso la cosa e, al contempo, della cosa (capitale-merce) verso la persona.
Se nei primi due capitoli Esposito ricostruisce i punti decisivi del rapporto interno-esterno tra persona e cosa, nel terzo capitolo invece – dedicato al corpo – l’autore ci mostra più coraggiosamente la vera posta in gioco etico-politica del suo piccolo saggio. Egli intende esaltare il ruolo svolto dal corpo nella storia degli scivolamenti politici, filosofici, e teologici, che hanno finora strutturato il tradizionale rapporto tra cose e persone. Il paradigma teologico-politico ha infatti condotto ad una situazione di stallo che si può riassumere molto semplicemente: le persone vengono reificate e i loro corpi asserviti, mentre le cose personificate sottomettono gli stessi corpi umani producendo soggettività.
Il corpo è dunque il tramite, sempre oscillante, attraverso cui il discorso politico si innesta collegando le altre due categorie (“cose” e “persone”) in un dispositivo che agisce, si fonda e brulica sulla vita umana stessa (biopolitica). Il corpo però, escluso dal diritto tradizionale, assume sempre più un carattere ambiguo, specialmente quando si presenta come l’orizzonte e il banco di prova delle nuove bio-tecnologie. Questo corpo nuovo, che lentamente si configura emergendo dall’esplosione delle tradizionali categorie di cosa e persona, non può più essere inteso né come estensione della persona giuridica, né ovviamente come semplice cosa; il corpo – ci suggerisce Esposito – si sta trasformando sempre più in una figura limite, nel simbolo stesso dell’intreccio tra queste operanti attive categorizzazioni (cosa/persona).
Al termine di questi delicatissimi passaggi del saggio, compare la chiave del discorso caro a Esposito: il rapporto – mai scisso – che la politica ha sempre intrattenuto con il corpo. Nel passaggio dal potere sovrano alla biopolitica si è consumata infatti una prepotente intensificazione dell’ingerenza del discorso politico nella sfera individuale dei corpi/soggeti. Il corpo umano vivente – nella governamentalità biopolitica – si è trasformato paradossalmente in un bene pubblico e in un affare di stato.
Giunti alla fine del lungo percorso tracciato da questo pur breve libro, si pongono delle questioni quantomeno problematiche. Ora che il corpo sembra aver perso il suo statuto giuridico di proprietà (del soggetto intenzionale), ora che lo stesso Esposito ce lo presenta – in maniera volutamente ambigua – come un po’ persona e un po’ cosa, esso ci appare finalmente in tutta la sua molteplicità, ponendoci al contempo di fronte ad un’ulteriore – e nuovissima – divisione tutta interna allo stesso discorso politico. Se da una parte abbiamo infatti il corpo del leader, posto in primo piano e sovraesposto mediaticamente, dall’altra troviamo i molti corpi che costituiscono le cosiddette masse, le quali, sempre più in fermento, non sono più disposte a cadere nel tranello identificatorio del corpo del leader (di matrice non solo hitleriana, ma anche renziana o obamiana).
In questa nuova problematizzazione del corpo Esposito ripropone, in una forma del tutto nuova, quella che è da sempre la sua piccola ossessione filosofica: la ricerca continua e spasmodica di un nuovo lessico per la politica; la necessità di un linguaggio nuovo, capace di allontanarsi da quella “malattia della dualità” così strutturalmente connessa al dispositivo teologico-politico. Questa esigenza è infatti percepita dal filosofo napoletano come l’unica via possibile di una nuova creativa emergenza politica dei corpi nella loro singolarità e molteplicità. Nel leggere questo saggio ho potuto ammirare il livello di complessità cui Esposito sta sempre più esponendo il suo pensiero, mi chiedo però se sia ancora possibile oggi considerare il corpo come una categoria a sé.
Il pericolo in cui si rischia di cadere, e a cui lo stesso Esposito a mio avviso si espone, è quello di restare intrappolati in una certa retorica del corpo, problematizzandolo cioè come un concetto (un problema astratto) invece che nella sua auto-produttività e contingenza. Mentre ne parliamo e ci affanniamo a risolverne l’enigma, il corpo non sta forse già divenendo sotto i nostri occhi? Il corpo inteso come discreto, in un mondo inteso come continuo, rischia di farci perdere completamente il suo unico vero senso, quello che esso assume solo e soltanto all’interno di un sistema pratico e quotidiano d’intrecci “microscopici”. Per concludere complicando, invece che cercare di risolvere in poche parole un problema così clamoroso, ritornerei a quella sibillina domanda di Spinoza, a quell’ermetico quesito insieme ironico e vertiginoso: ma poi, in realtà, cosa davvero può un corpo?