Le strade di Alphaville. Lo specchio infranto di Valerio Evangelisti

di Nicola Gaiarin

Niente di meglio, per ricordare Valerio Evangelisti e la sua vocazione di scrittore militante, che prendere in mano questa raccolta da poco uscita per Odoya: Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura. Si tratta di un’ampia scelta, curata da Alberto Sebastiani (che l’aveva immaginata e in parte progettata con l’autore poco prima che morisse), che attinge dai tre volumi di critica pubblicati da Evangelisti nella prima metà degli anni zero.

Alla periferia di Alphaville. Interventi sulla paraletteratura, Sotto gli occhi di tutti. Ritorno ad Alphaville e Distruggere Alphaville, rispettivamente del 2001, del 2004 e del 2006, erano delle raccolte che si facevano sfogliare come dispacci dal fronte culturale e trascrizioni in presa diretta di una crisi dell’immaginario. Un immaginario colonizzato, occupato, dominato dalla presa mediatica, dal berlusconismo trionfante, dalle manipolazioni del discorso pubblico successive all’11 settembre. Un immaginario narcotizzato, assorbito da una politica declinata come spettacolo totale che, si potrebbe dire a posteriori, stava facendo le prove generali per la completa destituzione della possibilità di effettuare, intorno alla realtà, un discorso critico. Nel momento in cui “la comunicazione capitalistica punta direttamente all’inconscio”, è una narrativa “massimalista” capace di essere allo stesso tempo coinvolgente e straniante ad avere, per Evangelisti, la possibilità di anticipare e descrivere il presente ponendosi come una possibile chiave di resistenza. “La fantascienza”, scrive ad esempio parlando della Guerra dei mondi di Wells, “è il medium attraverso il quale scienza e tecnologia entrano nei sogni”.

All’atmosfera di maligna ipnosi politica e di occupazione dell’immaginario in cui anche oggi galleggiamo, Evangelisti prova quindi a contrapporre (non da solo, come ci ricorda la bella introduzione di Sebastiani) un’operazione di contro-incanto critico: il risveglio della coscienza non viene affidato alla tracotanza delle grandi narrazioni ufficiali (spesso ridotte a raccontini di buoni sentimenti), ma si diffonde, in modo virale, attraverso i fili e gli apparati che meglio di tutti sanno trovare la loro strada nella testa del grande corpo collettivo addormentato: quelli della paraletteratura, orgogliosamente assunta come miscuglio impuro di fantascienza (soprattutto), noir, thriller, horror e chi più ne ha più ne metta. Un’alchimia minore che, accettando la sfida della serialità e del genere, passando a volte attraverso ridondanze e cadute di stile, ma raggiungendo molto spesso poderose condensazioni allegoriche, cerca di trasmutare la nostra capacità di leggere la realtà nel momento stesso in cui denuncia l’impossibilità di disfarsi dalle sovrastrutture “coloniali” che chiudono l’orizzonte.

Che questi saggi siano una specie di rovescio teorico dell’Evangelisti narratore è evidente, ma ogni suo testo di fiction era attraversato da una vocazione immediatamente politica e metaletteraria. Il che non vuol dire che nelle peripezie dell’inquisitore Eymerich o negli altri cicli romanzeschi al lettore vengano offerte tesi staccate dall’apparato narrativo. La scrittura di Valerio Evangelisti era ed è immediatamente collegata, attraverso il ponte immaginario, a un dispositivo critico che mette in orbita il discorso militante e osserva questo stesso discorso nel momento in cui, mascherandosi con gli apparati scenici del mostro, del body horror o della fantascienza più visionaria, si crea sotto i nostri occhi.

Penso ad esempio al truculento ciclo del pistolero Pantera, in cui lotte sociali, etnografia visionaria e attacco frontale rivolto contro le prevaricazioni dei potenti vengono messe in campo attraverso vettori immaginari dalla potenza inaudita. Il palinsesto heavy metal, le evocazioni rituali del palo mayombe, il romanzo western sono tutti modi per veicolare, attraversi codici e archetipi letterari (ma non solo), qualcosa che si impone come una furiosa resistenza al torpore del presente. Anarchia e spaghetti weird terminale, oppressione ed evocazioni mostruose: come se solo attraverso un discorso da cima a fondo composto da “pezzi” di genere si potesse estrarre un frammento di racconto sulla storia e sul nostro tempo. Ed ecco che in questa versione condensata dei tre Alphaville, nel montaggio che ci offre Sebastiani, troviamo, spostata sul versante critico, la stessa capacità di incrociare piani distanti che troviamo in opere come Picatrix, Cherudek o La luce di Orione: l’accesso a un tempo bloccato, archetipico, che, plasmato e messo in moto attraverso l’immaginazione, diventa una specie di straordinaria “arma letteraria” capace di fare fuoco contro le macchinazioni dispotiche e distopiche che colonizzano la nostra mente.

Scorrendo questi saggi possiamo incontrare Maurice Leblanc e Philip K. Dick, Fȃntomas e i pirati della Malesia. Il superuomo gestaltico di Sturgeon, utilizzato per parlare del tema dell’handicap, e i killer dei polar di Manchette. Il monolito nero di 2001 e gli orrori cosmici di Lovecraft troneggiano su un deserto politico come antenne capaci di captare visioni di futuri possibili. Ma che si tratti di Matheson o di Le Fanu, di Saturno contro la terra o dei thriller sudisti di Lansdale, dello “scribacchino” resistente Luigi Motta o del comunista stilistico Dashiell Hammett, possiamo star certi di una cosa: non è un nuovo canone quello che Evangelisti ci offre. È l’invito a seguire le tracce lasciate nel mondo reale da tutte le cose dell’altro mondo che sono state sputate fuori dalla grande ameba paraletteraria. E talvolta le tracce sono talmente nette da diventare, a pieno titolo, un effetto di realtà, come si vede nel memorabile saggio sulla psicosi americana, che richiama un terribile punto di torsione tra l’immaginario e il mondo sociale, lo Zodiac Killer come sintomo delle patologie del corpo sociale. Il ponte tra letteratura e politica viene continuamente attraversato da Evangelisti nelle due direzioni, in testi come “Fȃntomas e gli illegalisti”, che intreccia storia dell’anarchia e feuilletton o nelle considerazioni sulle “guerre psichedeliche” di Vittorio Curtoni, utilizzate per compiere un’impietosa e attualissima disamina dell’uso deviato dell’informazione durante la guerra in Kosovo. Memorabili poi le considerazioni sul vampirismo femminile e ribelle di Carmilla, sull’ideologia di Nero Wolfe o sul comportamentismo e l’ellissi come etica della scrittura e smascheramento delle dinamiche oppressive in Manchette. Tutti modi per dire che è nei mille riflessi della letteratura “bassa” che possiamo trovare descrizioni adeguate a quello che ci capita attorno. Come Evangelisti scriveva nel 1999, introducendo per il pubblico francese una raccolta della nuova fantascienza italiana, “ciò che accomuna gli autori dell’ultima generazione è la convinzione che la fantascienza sia una lettura metaforica non del futuro, ma del presente […] Come uno specchio che si sia spezzato, ma di cui ogni frammento rifletta la stessa immagine. Piacevole o tragica che sia”.

Ed è proprio questo uno dei punti chiave delle incursioni critiche di Valerio Evangelisti: l’assunzione della serie B come discorso “minore”, per dirla con Deleuze e Guattari, che con il suo sguardo sempre spostato ci offre, anche solo a frammenti, punti di vista “altri”, libertari e conflittuali, sulle dinamiche sociali e politiche. La paraletteratura si afferma come uno spostamento e una parodia di ogni discorso che vuole porsi come letteratura pura. È una malapianta, uno specchio infranto, un allucinogeno a buon mercato in grado di espandere i nostri livelli di coscienza fino a metterli in contatto con quello che sta fuori: il discorso del potere, con le sue astute macchinazioni finzionali. Pensando a Žižek, possiamo dire che Evangelisti è ben consapevole che l’immaginario non è un velo steso sulla realtà, ma una sua struttura costitutiva. È proprio al livello in cui la fiction si impasta con il nostro accesso alla realtà che si combatte la battaglia per la decolonizzazione dell’immaginario. Non per dire “come stanno le cose”, ma per opporre contronarrazioni devianti in grado di mettere in scacco, anche solo per un attimo, la narcosi dominante.

Questa raccolta di Alphaville, che arricchisce i saggi con un apparato visivo che è una specie di montaggio critico parallelo, è la testimonianza dell’instancabile lavoro di smontaggio e analisi compiuto da Evangelisti: l’esplorazione del margine tra finzione e realtà compiuta utilizzando gli strumenti che, forse meglio di altre forme di racconto, la letteratura di genere ci fornisce. Una lezione di resistenza creativa al presente.

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