L’illusione di Edward Burtynsky

di Stefano Tieri

Generalmente, prima di una mostra, non leggo recensioni, e a volte nemmeno la sua stessa presentazione. Mi piace lasciarmi sorprendere, sebbene con il tempo ho imparato ad accettare che, le sorprese, non è detto siano necessariamente positive. Devo ammetterlo: anche la mostra “Extraction/Abstraction” del fotografo canadese Edward Burtynsky, in mostra al M9 di Mestre, ha completamente disatteso le mie aspettative – ma, una volta tanto, lo stupore era dei migliori.

Mi aspettavo un lavoro spietato, senza esclusione di colpi, nei confronti della natura umana – così solerte nel distruggere l’ecosistema di cui fa parte senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, avendo in mente esclusivamente il profitto. L’extraction che dà il titolo alla mostra è, dopotutto, l’estrazione delle risorse minerarie, un’operazione che potremmo definire – usando le parole dello stesso Burtynsky – “incursioni industriali su larga scala nel pianeta”.

Ma dimenticavo, in modo ingiustificato, la seconda parte del titolo, l’abstraction. Edward Burtynsky ci cattura all’interno dei propri scatti, veri e propri capolavori di composizione, con un inganno dei più mirabili: donandoci l’impressione di essere al cospetto di un quadro astratto, lasciandoci a bocca aperta mentre cerchiamo di orientarci davanti a quella che sembra, a tutti gli effetti, una tela dipinta. Come ad esempio Tailings Pond #2, che ritrae la miniera di diamanti di Wesselton, in Sud Africa: dal centro dell’immagine si irradiano delle macchie di colore grigio, che colano verso l’esterno; si tratta dei liquami prodotti, come residuo di scarto, dall’estrazione dei diamanti, ma la consapevolezza del processo giunge solo in un secondo momento; di primo acchito – prima di leggere la didascalia – nessuno potrà convincerci di essere al cospetto di una fotografia, né risulta chiaro che cosa raffiguri.

L’artista canadese ci insegna che la bellezza di uno scatto può nascere anche da un disastro – e non è un caso che molte foto sembrino ritrarre scenari post-apocalittici: come Baosteel #8, che raffigura gli immensi cumuli di carbone a Shanghai destinati agli altiforni di Baowu, il più grande produttore al mondo di acciaio; o Shipbreaking #13, che ci mostra lo smantellamento di una petroliera a Chittagong, in Bangladesh, a seguito della fuoriuscita di petrolio dalla Exxon Valdez.

Ma lo spettacolo più bello – ci ricorda, in chiusura, Burtynsky – è la natura incontaminata: a salutarci, prima dell’uscita, è l’enorme murales di una barriera corallina, sana e dai colori sgargianti. Per ricordarci cosa stiamo perdendo, e che siamo ancora in tempo per agire.

La mostra offre, per la prima volta in Italia, e dopo il successo del debutto alla Saatchi Gallery di Londra, la più ampia retrospettiva sul lavoro di Edward Burtynsky: è possibile vederla fino al 12 gennaio 2025 al M9 Museum (Mestre).

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