Lupus in Ebola

di Gabriella Furlan*

ebola 2

Il virus Ebola è stato scoperto nel 1976 e da allora ne sono stati identificati almeno 5 ceppi diversi. L’Ebola causa una febbre emorragica dalla mortalità altissima, che va dal 50% al 89% a seconda del ceppo. Il virus si propaga prima dalle feci animali e poi tra le persone attraverso lo scambio di fluidi corporei, solo l’Ebola Reston si diffonde per via area.  Attualmente esiste un siero in grado di curare la malattia chiamato ZMapp, mentre un vaccino è in via di sviluppo. La nuova epidemia che quest’anno ha colpito la Guinea, la Liberia e la Sierra Leone ha fatto più di mille morti, la peggiore epidemia di questa malattia ad oggi.

L’organizzazione mondiale della sanità o World health organization (OMS o WHO) è un’agenzia dell’ONU la cui missione è il mantenimento e il miglioramento delle condizioni di salute mondiali. L’agenzia si occupa di vigilare sulla diffusione delle malattie e di sostenere/guidare i governi locali nell’affrontare le emergenze e contenere i contagi. La reazione dell’OMS nel caso dell’epidemia di Ebola 2014, ancora in corso, è stata tempestiva e molti governi hanno mandato aiuti di vario genere (personale, materiale, soldi). I governi dei paesi colpiti invece hanno tardato un po’ nel chiudere i confini e faticano parecchio nel cercare di promuovere i protocolli di prevenzione: come per esempio convincere a lavarsi le mani chi non ha neanche l’acqua per bere. Tutto ciò, unito al fatto che anche le strutture sanitarie e le attrezzature sono molto carenti, ha contribuito alla rapida diffusione del virus fino al punto da far dichiarare all’OMS lo stato di “emergenza di salute pubblica di livello internazionale”: nel linguaggio burocratico OMS una cosiddetta “Fase 6” (massima allerta).

L’epidemia di Ebola e le sue cause sono una utile metafora della situazione tragicomica in cui versiamo; più tragica che comica, a dire il vero, se non fosse che le debolezze umane, che in questa storia non mancano, fanno ridere molto amaramente. Se il mondo industrializzato non fosse così impietosamente occupato ad ingrassarsi, fagocitando le risorse planetarie col beneplacito dei governi di ogni colore e nel silenzio degli organismi internazionali (pateticamente rappresentati, con tutto il rispetto, da volonterose star dello spettacolo), e si degnasse di concentrare anche solo una briciola del suo smisurato capitale in vista del benessere globale, invece che nel mercato globale, Ebola forse non esisterebbe nemmeno, e con esso chissà quante altre piaghe e guerre.

Il virus Ebola, si diceva, è stato scoperto nel 1976, quasi quaranta anni fa, ma i governi, le organizzazioni internazionali e, soprattutto, le case farmaceutiche non hanno evidentemente ritenuto opportuno sviluppare un vaccino o un farmaco, visto che il primo forse uscirà solo nel 2015 e il secondo apparentemente non è neanche stato ancora testato sull’uomo, ma guarda caso ha salvato la vita a due operatori sanitari americani, peraltro eroici, e non quella di mille e passa “negri”. La ricerca che ha portato allo sviluppo del farmaco ZMapp è stata pubblicata più di dieci anni fa, finanziata da Mapp Biopharmaceutical (di San Diego), LeafBio (un’affiliata di Mapp), Defyrus Inc. (di Toronto), dal governo degli Stati Uniti e dalla Public Health Agency del Canada (il loro Ministero della Salute). Nessuno però ha pensato che fosse importante sviluppare il siero in larga scala, semplicemente perché non ha “mercato”. Tant’è vero che la Mapp conta pochissimi dipendenti, in altre parole è una mini azienda farmaceutica che si è buttata su Ebola per raccattare quel po’ di fondi che erano stati messi a disposizione, ad ennesima riconferma che gli investimenti sono sempre e solo quelli per i “big pharma”, anche a fronte di una malattia dal potenziale devastante.

Le aziende farmaceutiche leader sanno bene dove si trovano i soldi: nelle malattie e nei disagi che colpiscono i paesi ricchi. La ricerca riceve finanziamenti privati solo laddove vi è la promessa di un ritorno economico pesante: cancro, malattie neurodegenerative, disfunzioni sessuali, salute mentale. La pressione che queste aziende, grazie ai loro soldi, riescono ad esercitare su medici e ospedali fa sì che i loro prodotti vengano prescritti in modo massiccio, preferenziale e a volte addirittura perfettamente inutile, quando non dannoso. Le aziende ospedaliere in Italia si sono dotate di “comitati etici” per vigilare sui protocolli applicativi dei singoli farmaci, ma non basta, è necessaria una vigilanza “etica” che parta dalla stessa cittadinanza. Nel caso di Ebola il “cattivo” sono proprio le aziende farmaceutiche (e l’indifferenza dei governi), ma con esse ci sono altri “cattivi” che silenziosamente contribuiscono all’incremento di pandemie e catastrofi umanitarie: l’industria petrolifera, bellica, agroalimentare, dell’auto e via dicendo.

Tutti a ballare la danza macabra dell’arraffo senza rendersi conto, o senza curarsi, delle conseguenze. È triste constatare come l’azione politica delle le democrazie occidentali, al di là dei livelli contingenti di corruzione, somigli sempre di più ad un ridicolo teatro di burattini: i poteri che contano reggono i fili, alcuni personaggi sorridono compiaciuti, altri parlottano fitto, qualcuno sbraita sbattendo le gambette per aria. Infine, tanto per concludere questa storia in modo ancora più edificante, pare che il virus Ebola, in Africa, mieta molte più vittime fra le donne: tradizionalmente obbligate a prendersi cura dei malati, e quindi più esposte al contagio, oltre che poco considerate quando si tratta di spendere soldi per loro per le cure mediche private. Forse è ora di pensare tutti a come riappropriarci del nostro futuro, anche nelle cose apparentemente più semplici e quotidiane, puntando lo sguardo leggermente al di là della più immediata – e solo apparente – convenienza individuale: le medicine che mi hanno prescritto sono quelle giuste per me? Mi servono davvero? Quello che sto comprando da mettermi o da mangiare chi lo produce, e come? Quello che voto che effetto avrà su di me e sul mondo?

*Gabriella Furlan è un’assistente editoriale, ha lavorato per il Journal of Neuroscience in America e, attualmente, collabora al Journal of High Energy Physics a Trieste.

4 COMMENTS

  1. comprendo la frustrazione ma prendersela con l’intero impianto sociale, politico ed economico occidentale per l’incapacità di arginare il contagio di alcuni paesi africani, mi sembra troppo. Con questo ragionamento si potrebbe risalire alle colpe della decolonizzazione, della bestia umana, cuore di tenebra ecc.
    Le aziende cattive non hanno commercializato il farmaco, vero, sfido chiunque a produrre spontaneamente su larga scala un prodotto “gratia et amore dei”. I venditori ambulanti fuori dai supermercati non aiutano le vecchine con le borse per spirito caritatevole ma dietro compenso. Domanda-offerta. Il capitalismo fa schifo, sono d’accordo. Senza capitale non ci sarebbero le industrie farmaceutiche e quindi neanche la possibilità di produrre e vendere, ops, distribuire i farmaci.
    Basta annunci, smettiamola di accusare i capitalisti di capitalismo, si rischia di diventarne complici.

  2. Sono d’accordo con te, credo che l’obiettivo dell’articolo, al di là dell’invettiva anticapitalista, sia quello di far riflettere chi si trova qui, proprio nel nostro mondo, su quante occasioni abbiamo nella vita quotidiana per compiere delle scelte “politiche” che riguardano la nostra vita più banale e quotidiana, la nostra “etica” per usare una parola inflazionata ma importante. In particolare la questione degli psicofarmaci mi sembra emblematica: la loro esplosione e l’abuso che molte persone ne fanno (e sono indotte a farne) è un fenomeno che può essere politicamente contrastato solo attraverso delle scelte etiche, individuali, compiute delle persone che vivono qui, nel nostro mondo (io, tu, i nostri amici e parenti). Certamente per tutta una serie di situazioni limite gli psico-farmaci sono utilissimi e non si tratta di bandirli e cancellarli dalla faccia della terra (penso a psicosi gravi, ad attacchi isterici, a pericolosità sociale, ecc.); ma è innegabile che in tutta una serie di altre situazioni (private) ci sia un congegno ben oliato, che non si può ridurre al discorso domanda-offerta, e che consiste proprio nel fatto che la domanda è “pilotata” (da psicologi, psichiatri, servizi sociali), mentre l’offerta è enormemente pubblicizzata e ammantata di scientificità.Oltre alla denuncia del capitalismo, in effetti, servono fatti, azioni pratiche. Un esempio? Se so che gli psicofarmaci sono inflazionati, magari cercherò di sopportare e gestire il mio malessere, il mio stress, le mie fobie o la mia insonnia nervosa, senza ricorrere ad una tale “offerta”. Un’offerta che dà dipendenza e che grazie a tale dipendenza si rende ogni giorno più desiderabile… Non si tratta di fare le anime belle, ma di proporsi a vicenda strategie e modi di essere comuni, per iniziare a cambiare piccole cose delle nostre vite, invece di raccontarci come si potrebbe cambiare un mondo il cui nuovo padrone non è che la totalità dei servi.

  3. Grazie Andrea per la risposta, riflette esattamente il mio pensiero. La mia non voleva essere un’invettiva anticapitalista fine a se stessa evidentemente, ma un modo per far intendere che tutto è collegato a questo mondo, dalla scelta più piccola a quella più grande. Ovvio che si potrebbe risalire alle colpe della decolonizzazione, della bestia umana, cuore di tenebra ecc. ma non avevo abbastanza spazio… Nessuno produce spontaneamente su larga scala un prodotto “gratia et amore dei” a meno che di essi non sia infuso (e a volte anche capita), sono d’accordo, ma sta alle nostre istituzioni politiche e alla nostra vigilanza capire come vengono per esempio distribuiti i fondi pubblici alla ricerca. In questa fattispecie uno sforzo comune internazionale avrebbe fatto la differenza negli anni. Tutto qui. Per il resto mi associo ad Andrea, non ha senso accusare i capitalisti di capitalismo, ma ha molto senso smettere di esserne servi per forza.

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