di Francesco Ruzzier
Probabilmente non serviva sbarcare al Lido per capire che questa sarebbe stata un’edizione della Mostra del Cinema di Venezia diversa dalle altre. Ben prima di mettersi in viaggio era iniziata la trafila delle prenotazioni dei posti per le proiezioni, delle regole da seguire nelle aree del Festival, tra mascherine, distanziamenti, igienizzanti e tappeti rossi inaccessibili. Ciò che forse non era così calcolabile e intuibile prima dell’inizio delle proiezioni era quanto questa situazione straordinaria avrebbe finito con influenzare ogni singola visione. Forse è abbastanza scontato dire che la condizione psicologica e ambientale in cui lo spettatore si approccia al film influisce sulla percezione dell’opera: capita spesso di guardare lo stesso titolo in momento diversi e di accoglierlo in maniera anche diametralmente opposta rispetto alla precedente. Così come possono nascere nello spettatore impressioni diverse guardando un film dal computer durante un viaggio in treno oppure in una sala cinematografica. Quindi ecco che la ricezione di una narrazione nelle condizioni dell’attuale Mostra del Cinema di Venezia, almeno per chi scrive, è costantemente sballata. La suggestione suscitata dall’indossare la mascherina costantemente, dell’igienizzarsi le mani, del mantenere le distanze provoca un continuo distacco rispetto alle situazioni di normalità proiettate su schermo.
Seppur si tratti di una reazione chiaramente priva di troppo senso, l’istintivo giudizio negativo nei confronti di personaggi che, noncuranti della pandemia, si gettano in folle di persone, in baci, abbracci e strette di mano assolutamente proibite e pericolose portano ad uno scarto tra lo spettatore e lo schermo. Quello che stiamo vedendo in questi giorni appartiene a una normalità che con una mascherina addosso, protetti da un cerchio di sicurezza largo un metro, non è così facile da accettare. È una sensazione piuttosto inquietante, mai emersa in maniera così decisa durante le visioni cinefile del lockdown. Forse l’aspettativa, anche questa puramente irrazionale, che un film inedito riesca per forza a dare un senso al presente in cui si muove lo spettatore sta giocando un ruolo importante.
Chiaramente questi sono solo pensieri istintivi e passeggeri tra le visioni più annoiate; però probabilmente è anche vero che a forza di tornare in superficie, tutti questi flash finiscono per comporre una domanda più specifica: al di là di quanto durerà questo periodo di incertezza e regole straordinarie, il cinema (ma forse anche l’arte in generale) racconterà mai tutto questo nell’immediato? Come verrà tradotto? Esisteranno mai dei racconti di finzione che proveranno a tradurre in immagini questo momento storico o il tutto si ridurrà ad una parentesi buia, magari riportata alla luce tra qualche anno come un evento traumatico del passato? Ovviamente è impossibile rispondere adesso a questa domanda e solo tra qualche mese avremo la conferma di cosa succederà.