di Giuseppe Nava
Uno per la paura, che ci tiene allerta
Il bambino stava male da giorni, tre dottori lo avevano visitato senza capire cosa avesse. La nonna chiamò una sua amica dal paese vicino, “tutte cazzate” disse suo padre. L’amica della nonna trovò sotto il materasso del bambino un groppo di filo di ferro, canapa, capelli, rametti spinosi e stoppie, in cui erano infilati dentro piccoli chiodi. Il tutto era intrecciato così strettamente che dovettero tagliarlo con una cesoia. Il bambino si riprese e guarì.
Uno per il sonno, che ci aiuta a comprendere
Quando c’è vento, se avvicini la mano sollevi i cascami senza toccarli. Il divertimento dura poco, poi sono bestemmie, i fili si attaccano alle pezze, alle pareti del telaio, sulla magliette pronte da stirare e piegare – il lotto di oggi sono bianche con la scritta in nero glamour. Il telaio fa seicento colpi al minuto, fai tu il calcolo di quanti in un giorno, in un anno, in una vita. E poi il rumore, se parli parli da solo oppure devi avvicinare le teste e urlare sopra il botto continuo del pettine. Si espande giù per le scale, nell’atrio, nella strada, ti segue fino a casa, te lo porti a letto e nemmeno sei sicuro di aver capito, se era una battuta quella di cui ridevi, o cosa.
Uno per la perseveranza, ridendo di noi stessi
Il dipinto di Schmidtner fu commissionato dal canonico Hieronymus Ambrosius Langenmantel, in memoria di un evento famigliare: il nonno Langenmantel era sul punto di separarsi dalla moglie, e chiese aiuto a un frate. Il frate pregò la Vergine di salvare il matrimonio allentandone e sciogliendone i “nodi”, i problemi; e in effetti i due coniugi si riappacificarono e la separazione fu sventata. Negli anni ’80 padre Bergoglio, futuro papa Francesco, durante un periodo di studi in Germania, vide il dipinto della Maria Knötenloserin e ne rimase talmente colpito da promuovere poi questa devozione in tutto il Sudamerica, dove oggi è largamente diffusa. In Italia si segnala il rito dell’incendio dei nodi presso la Chiesa della Pietà dei Turchini di Napoli: i fedeli scrivono le loro richieste e invocazioni su fazzoletti di carta che vengono poi annodati e bruciati con l’incenso.
Uno per la vergogna, che ci fa sentire vivi
Di tutte le occlusioni della notte, alcune schiacciano il petto, serrano l’epiglottide fino al soffocamento. I padroni si svegliano col nodo in gola, convinti di gridare. L’azzurro grigio delle pareti nude e le ombre dei mobili sono sempre simili, nulla pare suggerire il pericolo, nessuna traccia dei dragoni, degli inesorabili soldati di pietra.
Uno per la fuga, che allevia il dolore
Eravamo entrati in una fabbrica abbandonata, passando da un buco nel muro di cinta. Dal cemento spuntavano tondini arrugginiti che erano stati ripiegati uno sull’altro. C’era silenzio nel cortile ingombro di calcinacci e detriti vari. Si faceva scuro, quel farsi scuro di mezza stagione, a tratti malinconico a tratti minaccioso, un tempo in cui bastava davvero poco perché tutto si trasformasse in mal di testa. Una ragazza ci faceva delle foto. Era davvero banale fare delle foto in una fabbrica dismessa ma questo era l’orizzonte di quei giorni. Lui aveva avuto un pensiero che era sfuggito come il riflesso del sole sul muro quando passa un’auto in strada; sentiva come se dovesse essere qualcosa di bello e importante, ma non riusciva a riportarlo indietro. La ragazza continuava a scattare; non ho mai visto nessuna di quelle foto. Lui continuava a ricevere mail “C’è un regalo per te”, e a promettermi che un giorno o l’altro saremmo andati a camminare nel bosco.
Uno per la disfatta, che presto sarà
Rana plaza, la trama è semplice, verticale, precipita a peso morto per cinque piani; la reclamano i tecnici e i profeti, ma chi l’ha scritta davvero è chi non ci ha creduto. L’ordito sono millecentotrentaquattro fili che la moira ha pareggiato con cura prima di tagliare.
Bellissimo.