di David Watkins
(Illustrazione di Silvia Mengoni)
I muri interni delle scuole abbondano di fogli affissi, pagine ingiallite o cartoncini nuovi e luminosi, i quali contengono, per lo più, istruzioni e norme di comportamento: come comportarsi in caso di incendio o di terremoto, come lavarsi correttamente le mani, come valutare la condotta degli studenti, come utilizzare il materiale audiovisivo, come interagire con gli altri nella didattica a distanza, ecc. È una sorta di morale sparsa qua e là; il suo principale campo di applicazione è l’emergenza o la deriva, il suo tono di fondo è prescrittivo e tendenzialmente allarmato, ma non è privo di una certa simpatia, né di impennate a loro modo spiazzanti: “non avvicinarti – si legge in uno dei suoi comandamenti – ad animali spaventati”. Allora, viene voglia di riscriverle, queste norme, di sganciarle dalla contingenza che le ha generate e riascoltarne il suono, come immaginandole pronunciate da un Marco Aurelio, un Seneca, un Cicerone tutto intento a fare luce sull’abbiccì dei nostri gesti quotidiani.
1.
Interrompi ogni attività, lascia tutto
immediatamente. Non c’è libro
abito o altro che serva senza intralcio
le vie di fuga indicate. Queste soltanto
tu dovrai seguire. Non spingere, non gridare,
non correre. Le zone di raccolta
sono state già assegnate: ce n’è una
anche per te, a un passo nel presente.
A poco a poco, avanza come cadono
i motivi per tornare indietro. Calma,
alla diramazione dell’allarme,
sia la tua prima e ultima parola.
2.
Esaurisci il corridoio, attraversa le porte
esci nel cortile. L’edificio ha ali a destra
e manca. Tu da che parte, tu quale
esodo ascolti?
3.
In difficoltà, transitando verso
l’Oberdan, la segnaletica imbocca
una scala – ne esistono di interne
e di esterne, ma tutte
emergono ora.
4.
A vetri chiusi, esiterai tra il
tiro e la spinta, la maniglia
sarà ancora un tentativo.
5.
Accendi il microfono a volte,
non altre, se richiedono o chiedi.
In ogni caso, comunque, come che sia
filtra l’aria attraverso un fazzoletto.
6.
Tre piani, tre uscite, a b e c.
L’ordine si faccia avverbio
nel raggiungere, nel transitare e nel
risalire, nell’atrio e nella scaletta
nel lato bar, nei giorni che vanno
in lungo e in largo.
7.
Non inventarne un altro, lascialo lì
il tuo nome.
8.
I tubi hanno tappi e pompe da premere
e aprire, soluzioni al di là dell’acqua
e del sapone – anticaglie buone ancora
soltanto agli sporchi.
Palmo contro palmo, e giù via sul dorso
a dita strette, la superficie
delle mani si risolva
nell’alcol.
9.
Esistono criteri e sanzioni
provvedimenti previsti e pronti all’uso.
Leggili sul muro, pianta bene
i tuoi occhi in punti
e in colonne
la pagina ha tre chiodi
le sue parole stanno
ferme al vento.
10.
Andranno dal danno alla violazione,
dalla lesione al disturbo, dalla mancanza
all’incisione – e tutte, ripetute,
faranno un recidivo.
11.
Rapidamente, tempestivamente, porta
a porta, nelle vicinanze
in pericolo, verso i più
infortunati.
Gli estintori usali solo se piccolo
è il fuoco. Conosci
una a una le sostanze impiegate,
i rischi, le malattie professionali.
12.
Via dagli alberi e dai lampioni, via dalle luci
elettriche. Il posto è quello dove nulla
ti sovrasta, il cielo è sgombro:
non avvicinare il loro spavento
non dire altro
agli animali intravisti.
13.
raggiungibile via mail
le immagini saranno ancora
chiuse a chiave con i suoni
in un apposito armadietto.
14.
Una parola in maiuscolo è l’urlo:
non scriverla – le voci connesse
si sovrappongono e fanno
già abbastanza baccano.