di Ruben Salerno
Dal generale al particolare
Le atrocità che si perpetrano ogni giorno dall’Ucraina al Medio Oriente, senza contare l’Africa subsahariana o il centro America, testimoniano come “La bestia umana”, noncurante del tempo che scorre e imbelle ai progressi scientifici e tecnologici, sia rimasta sostanzialmente uguale a se stessa, continuando a falcidiare vite e intere civiltà, stuprando, rubando e imbrogliando, raggiungendo picchi di crudeltà che tutt’oggi sono oggetto di studio di filosofi e scienziati. I novelli Superman della nuova era tuttavia, da Facebook a Google, nell’annunciare senza vergogna i loro progetti per l’Umanità 2.0, si propongono come obiettivo non pace e prosperità ma connessione e banda larga per tutti. Quanto traspare in modo evidente dalla semplicità di ogni giorno è che Internet, considerato la più grande scoperta del secolo, sia un veicolo culturale troppo potente per essere lasciato, per dirla con un qualsiasi film d’azione hollywoodiano, “nelle mani sbagliate”. Il pericolo che enormi flussi di dati personali di noialtri peones sia in mano a poche corporazioni private, e che questo possa generare forme subdole di controllo mentale e culturale, è un tema attuale come pochi. Che la grande scoperta che doveva liberare le masse dal giogo del “Quarto potere” non sia nient’altro che l’ennesimo sistema di governo occulto? In fondo uno dei leit-motiv imperiali era “Divide et impera” e come ben preconizza un adagio contemporaneo: “L’avvento di Internet ha reso vicine le persone lontane e lontane le persone vicine”.
Il ruolo degli intellettuali, ora più che mai, diventa determinante. Una trasmissione attiva di pensiero critico deve saper arginare, o almeno rallentare, il flusso esorbitante di verità assolute e parziali (se non addirittura falsità) che vengono vomitate a milioni di bytes, ogni istante che passa. La questione del potere propriamente detto è antica come il mondo, né questa riflessione vuole intromettersi tra Machiavelli e Hobbes, altrettanto dicasi dell’ancor più antica speculazione circa il reale e l’apparente. Tuttavia, proprio in quanto irrisolte, e la fisica teorica in questo non aiuta (sono ancora lì che cercano di mettere d’accordo relatività e meccanica quantistica), le grandi domande continuano ad attualizzarsi nel tran-tran quotidiano, dal marketing ai social network, dall’economia al referendum costituzionale.
Dal particolare al generale
“Nulla è vero, tutto è permesso” recita la massima dell’ismaelismo, una delle eresie più antiche dell’Islam. Ben prima di Nietzsche infatti, fu il califfo del Cairo, Al-Hakim I, detto “il pazzo” a coniare la massima, giustificando così le sue scelte curiose di politica estera e interna, che avevano generato un’iradiddio di conflitti, omicidi e razzie tra Baghdad, Damasco e Aleppo, coinvolgendo invasori stranieri e correnti religiose, per poi rimanere saldamente al comando. Historia magistra vitae, dicevano…
L’insegnamento ismaelita, ad ogni modo, si fa romanzo per la prima volta nello sconosciuto capolavoro della letteratura triestina che prende il nome di Alamut di Vladimir Bartol. La vicenda è quantomai intricata e si svolge sulle montagne dell’Iran. Si staglia così il piano geniale e malvagio di Hasan Ibn Sabbah, signore del castello “Nido dell’Aquila”, ordito ai danni dei potenti sultani selgiuchidi dell’XI secolo. Egli è un conoscitore attento delle teorie filosofiche del passato, dall’antica Grecia alle Sacre Scritture, fino ai testi avedici indiani e ambisce al governo del mondo (come un super-cattivo qualsiasi dei già citati film hollywoodiani). Architetta così un complicato sistema propagandistico culturale a più livelli, servendosi dell’imbonimento fanatico religioso, per creare i fedayn, “uomini pugnale” pronti a sacrificare la propria vita in atti suicidi, con la certezza di ascendere alle meraviglie del paradiso. Una convinzione scaturita dall’esperienza, poiché Hasan, dopo aver fatto trasportare i propri fedelissimi, tramortiti dall’hashish, in giardini preparati ad hoc in una valle dietro il castello, fa provare loro l’ebbrezza di possedere donne bellissime, assaggiare cibi e bevande sublimi e abitare luoghi fantastici, uguali in tutto e per tutto a quelli descritti nel Corano. Infine li fa risvegliare nuovamente nel “mondo reale”, devoti e bramosi di sacrificarsi con atti eroici per la causa ismaelita e ri-ascendere al paradiso vissuto per una notte. Qualcosa però sfugge al controllo del despota, poiché la combinazione di amore e intelletto dentro al protagonista, il fedayn Ibn Tahir, unito all’apparente casualità di alcuni accadimenti, scatena la crisi e la catarsi finale. Tra duelli, suicidi, battaglie e sermoni, Hasan ottiene comunque la sua vittoria personale e si appresta a prendere il controllo sul mondo islamico.
L’ultimo secolo è zeppo di distopie letterarie e romanzi fantastorici, tuttavia Alamut, pubblicato per la prima volta nel 1938, anticipa quasi tutti di molti anni, se non decenni, con l’unica pecca di essere rimasto perlopiù sconosciuto, sia a causa di una certa cecità critica ed editoriale dell’epoca, sia per le vicende politiche dell’autore. Tuttavia, il problema della menzogna e della verità, è ora più che mai attuale, poiché un terreno brullo e potenzialmente sconfinato come la Rete, si presta benissimo per chiunque ne avesse i mezzi per manipolare a suo piacimento dati e informazioni, spacciando concetti drasticamente radicali e di semplice compresione, muovendo così le masse a suo piacimento. Uno sconfinato potere, ambito dai sovrani di ogni epoca, è ora nelle mani di pochi Hasan contemporanei, ai quali bastano un PC e molti hard-disk per decidere l’ascesa o la morte di mode, consuetudini, tradizioni ed intere civiltà. L’unica speranza per noialtri peones è che i novelli megadirettori galattici, facciano propria non solo la prima massima dell’Alamut, ma la seconda, cioè: “Omnia in numero et mensura”, ogni cosa nel numero e nella misura dell’uomo e della sua natura, cioè con senso critico e secondo le leggi intrinseche del mondo.