di Eleonora Zeper
George Steiner diceva che la critica letteraria dovrebbe essere motivata da un debito d’amore, che non vi può essere ragione migliore. Valerio Binasco concede questa possibilità agli amanti del teatro. Regala il teatro a chi lo ama e, azione forse ancor più nobile, è capace di farlo amare a chi poco lo conosce.
Dal 20 al 24 novembre 2019 è andato in scena al teatro Rossetti di Trieste Rumori fuori scena di Micheal Frayn, per la regia di Valerio Binasco. E io, come accade ormai da qualche anno, ho portato una classe del liceo nel quale lavoro a vedere lo spettacolo. A scuola ho parlato delle caratteristiche del testo teatrale, dell’opera teatrale come opera collettiva, dei vari generi, di storia del teatro… tutte cose delle quali ci pare buono e giusto disquisire nelle scuole. Per offrire gli strumenti di interpretazione. Per contestualizzare. Per educare lo sguardo alla bellezza. Per riuscire a vedere davvero. Ma sarà poi così? Mi interrogo quotidianamente sulla correttezza di tale approccio. Prima insegno e poi mostro: indispensabile preparazione alla meraviglia o filisteismo da insegnanti, da quelli che Thomas Bernhard (responsabile così dei miei dubbi notturni più atroci) chiamava “galoppini dello stato”?
Ricado, come spesso accade, nel compromesso, un po’ spiego e un po’ mostro, senza un ordine preciso, cercando con un po’ di goffaggine di impastare insegnamenti (“parole, parole, parole”?) ed esperienza diretta. Spiego e poi spiego che la spiegazione non ha alcun valore senza l’incontro con l’opera. Chi vede davvero? Wilde fa compagnia a Bernhard nelle mie notti insonni e mi ricorda che “nell’anima di chi è ignorante c’è sempre posto per una grande idea”, mentre gli uomini peggiori sono “gli stupidi, quelli che la cultura ha reso tali, pieni d’opinioni delle quali non ne capiscono neppur una”.
Un testo come quello di Micheal Frayn mi toglie di impaccio. I ragazzi ridono e se ne tornano a casa contenti, senza aver l’impressione di aver pagato al mondo degli adulti l’ennesimo pegno alla loro libertà. Lo spettacolo va a passo di valzer. Tre atti: le prove di un gruppo di attori, la messinscena vista da dietro le quinte, lo spettacolo vero e proprio. La compagnia rappresenta una piece dal titolo Niente Addosso e il pubblico in sala assiste, nei primi due atti, a ciò a cui di solito un pubblico non assiste, cioè alla vita della compagnia prima e dietro lo spettacolo.
Ad ogni atto vengono ripetute le stesse scene della piece, mentre le relazioni fra gli attori si complicano sempre di più fino ad esplodere nella rappresentazione che il pubblico, ritornato ad assumere il ruolo che gli compete, è chiamato ad assistere nel terzo atto. Intrighi amorosi, pettegolezzi, vizi, debolezze, piccole prevaricazioni… l’essere umano insomma, per come è solito presentarcelo la commedia. Frayn ne ride con indulgenza e quasi con dolcezza. Non c’è nulla da eccepire alla messinscena, Binasco si conferma un maestro e la compagnia dello Stabile di Torino mantiene un ritmo incalzante.
E così in una sola serata i miei studenti imparano che cos’è il metateatro e quali sono i ruoli del mondo del teatro (regista, attori, tecnici), capiscono cosa significa mettere in scena senza errori una bella commedia e, sempre divertendosi, intuiscono quale meraviglia possa nascere quando tutto, dal testo alla regia alla recitazione, funziona alla perfezione. E io, almeno per quella sera, ho potuto dormire sonni tranquilli.