(di Alessandro Sbordoni)
(Illustrazione di Leone Maria Kervischer)
I sogni della fine non sono più soltanto i frutti della disperazione e del terrore. Sono anche i fermenti della noia.
Non è soltanto quando il mondo è orribile o crudele, ma è quando non ha ormai più alcuna importanza che il mondo esista o meno che, nella febbre, sogni di devastazione sorgono dalle profondità. Un amico una volta mi ha detto: “Quando sono annoiato, vorrei vedere il mondo bruciare”. In quel momento il mondo finisce. Ma è solo un sogno, perché la noia non distrugge né crea nulla.
Il paradosso della noia
Byung-Chul Han scrive nella Società della Stanchezza: “la noia profonda [è] il culmine del riposo spirituale. La pura frenesia non crea nulla di nuovo, ma riproduce e accelera ciò che è già disponibile” (p. 33). La noia è pura ripetizione, riproduzione senza finalità. Se produce sogni della fine, è perché la fine stessa è diventata impensabile.
Tutto è una copia, di una copia, di una copia. Ogni giorno assomiglia un altro. Settimana dopo settimana, tutto si ripete di nuovo. Finché, ecco, un pensiero di creazione o devastazione. Allora la noia è eliminata; il nulla neutralizza la mera ripetizione. D’altronde, creazione e distruzione necessitano di un principio di nulla: soltanto quando la tentazione del nulla prevale sull’indolenza del qui e ora, solo in questo momento, creare o distruggere diventa possibile.
La noia infine si ripete perché niente di nuovo è stato generato.
Sogni della fine
Un nuovo tipo di nichilismo è nato dalla noia che descrive il tardo capitalismo. E’ il nichilismo in cui viviamo, quello in cui la fine ha perso la propria stessa finalità. In un articolo pubblicato il 13 Gennaio 2007, Mark Fisher affermava che “abbiamo cessato di immaginare la fine del mondo nello stesso momento in cui abbiamo perso la nostra abilità di immaginare la fine del capitalismo. Strano a dirsi, il timore di un’apocalisse incombente – dilagante durante la Guerra Fredda – sembra ormai rimosso dall’inconscio popolare. […] Se oggi è straordinariamente difficile immaginare alternative al capitalismo, ciò accade perché il mondo è già finito.”
I film catastrofici non fanno più perno sul terrore o sull’ansia delle persone, ma cercano piuttosto (talvolta con successo) di eliminare la noia attraverso l’iperstimolazione. Film come Sharknado (2013) o Godzilla vs. Kong (2021) sono per i bambini quello che per gli adulti è la pornografia. I sogni della fine sono ormai terminati. Non tanto per cinismo, quanto piuttosto a causa della noia: niente è più possibile perché niente è impossibile.
I sogni della fine mercificati dalle pornografie della catastrofe sono il simulacro per eccellenza. L’essere nulla di ogni rappresentazione della fine; il nichilismo della fine.
“L’apocalisse è finita, oggi è la precessione del neutro, delle forme del resto neutre e di indifferenza,” (p. 97) scriveva Jean Baudrillard in Simulacri e Impostura del 1981. Quarant’anni dopo la vera apocalisse è diventata quella della noia, il trionfo dell’iperstimolazione, della ricombinazione digitale: pura ripetizione senza differenza. Qualsiasi nuovo scenario della fine si ripete uguale a sé stesso. Non appena il pensiero della fine è neutralizzato, la seduzione delle immagini termina.
Si apre allora la landa della noia. L’abisso e lo sbadiglio.
Ipernulla
La soluzione al paradosso della noia è l’ipernulla: un niente che è sempre più di ogni creare e distruggere, più della realtà o di una qualunque simulazione. Se da una parte i sogni della fine dipendono ancora da realtà e rappresentazione, il regno dell’ipernulla è quello in cui la fine rimane insieme possibile e impossibile.
Lo schermo è nero. Non c’è alcun suono a parte il frusciare del vento. Poco prima della conclusione de Il Cavallo di Torino (2011) è come se il mondo e lo schermo fossero scomparsi. Un altro nulla subentra al sogno; una differenza e un’incinatura assolute sono poste nel vuoto. Si fa così strada un nuovo nulla, che non ha bisogno di creare né di distruggere. L’ipernulla ridona sogni al sonno.
Ciò nonostante, l’ipernulla non ristabilisce alcuna realtà, ma abolisce piuttosto la differenza tra reale e iperreale, tra la noia e il suo eschaton. L’ipernulla è la realizzazione della noia alla fine del mondo.
“0”, ovvero il suono della fine
L’industria musicale rappresenta un altro esempio del paradosso della noia e del nichilismo della fine.
Anche in questo contesto, non è difficile ritrovare un immaginario pornografico della fine.
“Sicker than the remix / Baby, let me blow your mind tonight,” (“Più figo del remix / Baby, lasciami scoppiare la tua testa stanotte”) seguito da un ritornello: “I can’t take it, take it, take no more / Never felt like, felt like this before / Come on get me get me on the floor.” (“Non ce la faccio, non ce la faccio più / Non mi sono mai, mai sentita così prima d’ora / Vieni e prendimi prendimi sul pavimento.
Questo estratto da Till the World Ends (2011) di Britney Spears rappresenta ancora una volta una logica della fine come consumismo senza motivo, senza finalità. È una vera e propria catastrofe del significato, in cui iperstimolazione e ripetizione contribuiscono a rendere la fine impossibile attraverso la perdita della sua stessa realtà.
Il futuro non è più possibile. Il futuro non esiste se non come simulacro e proiezione del consumismo; ecco allora pullulare le pornografie del desiderio. Il futuro non è più tale se non come riconfigurazione del passato; spettri del passato perseguitano il presente con remix, sequel, e remake. Il nuovo non vuol dire quasi più niente. Iperstimolazione e ripetizione hanno ormai abolito il senso della fine. La noia allora ritorna, dal momento che niente di nuovo è stato creato o distrutto. Pura ripetizione senza differenza, che allora rivela il nulla dei simulacri.
Ancora una volta, il palliativo contro il nichilismo culturale della fine è l’ipernulla. Un silenzio di un minuto preannuncia la fine della serie di album di The Caretaker, Everywhere at the End of Time (2016–2019), parzialmente dedicato alla memoria di Mark Fisher, scomparso nel 2017. “L’inabilità di distinguere il presente dal passato”, sempre più indotta da remix e trasfigurazioni di epoche ormai passate – queste parole sono di Mark Fisher, in un articolo che descrive la teoria sonora dietro The Caretaker – lascia spazio all’ipernulla. L’ipernulla non significa la fine: l’ipernulla crea la fine. La pura presenza del suono è abolita; la malinconia e la nostalgia che pervadono l’album di The Caretaker si dissolvono.
Inizia il minuto di silenzio, minuto di ipernullità, attraverso cui l’indifferenza lentamente si trasla in un’atmosfera della fine. Non ci sono più suoni ma soltanto effluvi di nullità. La simulazione del silenzio, invece di chiudere, apre ora uno nella musica uno spazio, un varco, dove possono insinuarsi il sonno e l’atarassia della fine.
Ecco la noia alla fine del mondo; l’ipernullità del silenzio abolisce la differenza tra l’idea del nulla e il nulla stesso, tra ascolto profondo e noia intensa. È questo il suono della fine?
RIFERIMENTI
Baudrillard, J. (2008). Simulacri e Impostura. Bestie, Beaubourg, Apparenze e Altri Oggetti (Trad. M. G. Brega). Roma: Pgreco. (Opera originale pubblicata 1981).
Britney Spears (2011). Till the World Ends [Canzone registrata da Britney Spears]. In Femme Fatale. Jive http://www.youtube.com/watch?v=qzU9OrZlKb8 *
Ferrante, A. C. (Regista). (2013). Sharknado [Film]. Syfy Films.
Fisher, M. (2007, Gennaio 13). The Damage is Done. k-punk. http://k-punk.abstractdynamics.org/archives/2007_01.html
Fisher, M. (2008, Maggio 13). No Future 2012. k-punk. http://k-punk.abstractdynamics.org/archives/010368.html *
Han, B.-C. (2020). La Società della Stanchezza (Trad. F. Buongiorno). Roma: Nottetempo. (Opera originale pubblicata 2010).
Tarr, B., & Hranitzky, Á. (Registi). (2011). Il Cavallo di Torino [Film]. T. T. Filmműhely.
The Caretaker (2016–2019). Everywhere at the End of Time [Serie di album]. History Always Favours the Winners. http://thecaretaker.bandcamp.com/album/everywhere-at-the-end-of-time
Wingard, A. (Regista). (2021). Godzilla vs. Kong [Film]. Legendary Pictures.
Articolo auto-tradotto dall’inglese dall’autore, l’originale è pubblicato qui sulla rivista Blue Labyrinths.
“Semiotica della fine” è una serie di articoli sul capitalismo del significato e sul significato della fine del capitalismo. Alessandro vive a Londra, ha pubblicato con Ibiskos Editrice Risolo (Generazioni/Generations, 2017) ed è un contributore per Blue Labyrinths; è anche un musicista, e due tra i suoi progetti più recenti sono “Anna mi odia” (Atlantide Dischi) e “Hirami Hatamami”.