di Tommaso Tercovich
“Vogliamo che l’era digitale sia l’alba dell’emancipazione individuale e delle libertà politiche, resa possibile dalle inedite potenzialità di internet, oppure siamo disposti ad accettare un sistema di monitoraggio onnipervasivo che neppure i più sadici tiranni del passato avrebbero osato immaginare?”. Questa la domanda provocatoria che il premio Pulitzer 2014 Glenn Greenwald si pone nell’introduzione al suo libro No place to hide – sotto controllo. Edward Snowden e la sorveglianza di massa (Rizzoli 2014). Questo libro, leggibile d’un fiato come un romanzo di LeCarré, raccoglie principalmente la storia di come il giornalista americano sia entrato in contatto con Edward Snowden, ex dipendente della CIA e dell’NSA e di come grazie a questo lavoro giornalistico siano emerse all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale le metodologie che l’agenzia statunitense di sicurezza, l’NSA, ha adottato per sorvegliare in maniera sistematica e continuativa numerosi obiettivi, sospetti, cittadini, aziende, paesi stranieri e cavi di telecomunicazioni sottomarini.
Ma questo libro non è soltanto una critica all’amministrazione o alla politica degli ultimi anni, infatti può essere letto anche come una potente critica al sistema americano (e mondiale) dell’informazione, piegato a logiche di potere: Washington Post e New York Times in particolare vengono accusati di essere troppo sensibili al potere politico e di portare avanti un giornalismo “ossequioso e venato di timore”, come, per esempio, aver evitato di usare la parola ‘tortura’ per descrivere certi interrogatori del periodo di Bush.
Facendo un balzo in avanti ad oggi Greenwald, dopo aver pubblicato numerosi articoli su questa storia sul quotidiano Guardian, ha costituito il suo giornale on line, in modo da poter continuare liberamente la sua attività giornalistica.
Il primo capitolo, come un libro di spionaggio, descrive il rocambolesco contatto tra l’informatore e il giornalista attraverso email, programmi di cifratura e molto sospetto tra i due. Il secondo capitolo racconta dei dieci giorni che Greenwald passò a Honk Kong per incontrarsi, discutere, scrivere con Snowden, che si era rifugiato lì per paura delle autorità, ma era deciso a svelare all’opinione pubblica tutto ciò che sapeva. Sono descritte e spiegate anche le azioni dell’amministrazione Obama che, come dice lo stesso Snowden, non solo sta proseguendo la linea del predecessore Bush sullo spionaggio, ma “in molti casi aveva anche peggiorato le cose”. Le accuse mosse da Snowden e dal giornalista sono chiare: Obama si era impegnato nella campagna elettorale a proteggere gli informatori e invece li stava perseguitando ai sensi dell’Espionage act per reprimere il dissenso.
Uno dei primi scoop frutto della collaborazione tra la “talpa” e il giornalista è una ordinanza segreta della FISA, un tribunale (regolato da una norma approvata da democratici e repubblicani ai tempi di Bush) che autorizzava l’NSA a intercettare tabulati telefonici di milioni di americani clienti Verizon, uno dei principali fornitori americani di servizi telefonici.
Il programma che ordinava queste operazioni di spionaggio su vasta scala si chiama PRISM e ha permesso all’agenzia americana di intercettare i dati di clienti Apple, Facebook e Google.
Il terzo capitolo descrive nel dettaglio tutti i numerosi progetti di sorveglianza e qui si scopre che non è solo una questione che riguarda gli statunitensi o i “terroristi”: “i documenti non lasciavano dubbi a riguardo: la NSA si occupa anche di spionaggio economico e diplomatico, nonché di attività di sorveglianza rivolte a intere popolazioni, e quindi non dettate da sospetti circostanziati”. Vengono elencati molti dei programmi dell’NSA scoperti attraverso documenti riservati trafugati da Snowden. Il quarto capitolo titolato “il male della sorveglianza” è una analisi dei motivi che hanno spinto il governo americano a violare la privacy di molti cittadini sottoponendoli a controlli su larga scala. Questo capitolo è molto duro specialmente nei confronti di coloro che si dicono favorevoli alla raccolta indiscriminata dei dati. Il giornalista, sostenendo che la privacy è una condizione fondamentale dell’essere persone libere, smonta la tesi di chi ritiene che la sorveglianza sia mirata solo verso chi abbia qualcosa da nascondere. Ritiene che, viceversa, sia usata dal governo statunitense per controllare e reprimere il dissenso specialmente interno e controllare quello all’esterno del suolo americano. Nel libro viene smentita la tesi secondo cui la tecnica illegale di raccogliere questi dati sia servita a fermare attacchi terroristici: lo dimostra il caso di Boston del 2013.
E in Italia che effetto hanno avuto queste rivelazioni? Con il governo Letta la questione del cosiddetto “scandalo Datagate”, provocato dalle rivelazioni di Snowden, non ha prodotto risultati se non morbide dichiarazioni in parlamento. Neanche il governo Renzi ha cambiato questa linea nonostante lo spionaggio abbia interessato anche il Centro Internazionale di Fisica Teorica (Icpt) di Trieste! In questi mesi, tra crisi internazionali e paure di estremisti vestiti di nero, è passato decisamente in secondo piano questo squarcio sull’attività di spionaggio a danno dei cittadini del mondo perpetrato, con il favore e la complicità di molti governi europei, dal governo statunitense.