Vi proponiamo un racconto scritto dal gruppo “Scrittori da Strapazzo”, realtà indipendente formata da appassionati di scrittura e narrativa. In fondo potete trovare una descrizione del loro progetto, insieme ai recapiti per contattarli.
Le domeniche sono il peggio. In modo assoluto. Senza termine nessun di paragone, senza associarle a nient’altro: non nel senso che le domeniche sono peggio dei lunedì o peggio dei nazisti. No, le domeniche sono il peggio. Punto. Lucia sognava il momento in cui la totalità della società civile si sarebbe riunita per mettere per iscritto la verità su questo problema.
Le domeniche sono il peggio e Lucia aveva trascorso questa particolare domenica a vagare come un fantasma, infestando la sua stessa casa, continuamente divisa tra il proposito di iniziare un’attività creativa, divertente e produttiva e la segreta volontà di raggomitolarsi per terra e dormire per un millennio.
Il dolore più grande di quella domenica però era il fatto che alle quattro del pomeriggio Lucia non aveva ancora sentito il suono della sua stessa voce.
In quel bilocale vuoto, a volte, le sembrava di udire il suono dei suoi stessi organi macinare i giorni.
Attraversata per un istante da questo pensiero deprimente, si alzò di scatto dal divano, pronta a seppellire quel senso di vuoto sotto una forzata gioia di vivere.
Facciamo una torta.
Sbirciò dentro al frigo, rimanendo delusa ma non sorpresa dal suo contenuto: un cartone del latte aperto e rimasto intonso, un barattolo di maionese finito, gli avanzi del cinese di venerdì che prendevano vita in fondo al ripiano, tre uova solitarie sullo scaffale. Facciamo una torta banane e noci. Prima che se lo potesse impedire, una playlist di solare e inconsistente musica indie suonava dallo speaker del cellulare e lei stava già radunando gli ingredienti sul tavolo chiamandoli per nome, come compagni d’armi di quella emozionante avventura.
I beat sostenuti davano il ritmo all’impasto, che ora si mescolava alla cadenza di una cassa ora di un tamburello. Ma una volta messo tutto in forno, quell’energia passò dalle mani ai piedi e presto Lucia si ritrovò a saltare e volteggiare in un modo che solo la sua solitudine gli poteva permettere.
In due falcate la lunghezza del soggiorno-cucina era presto attraversata e subito si entrava in camera. Si esibì in una giravolta nel corridoio tra i due letti gemelli, alla fine della quale si piegò in un inchino, guardandosi riflessa nel grande specchio a muro, il suo pubblico immaginario.
Il forno suonò. Presa dalla fretta, Lucia azzardò una corsa scoordinata. Ma i calzini non fecero nessun attrito col parquet nudo e in un attimo si ritrovò a terra, in una spaccata involontaria. Il suo inconscio ancora non si era abituato alla questione dei tappeti. Ludo se li era portati via quando si era trasferita. La mancanza di quella che era stata la sua coinquilina per anni adesso la avvertiva nel silenzio della casa, un letto vuoto e il muscolo della gamba stirato.
Con qualche imprecazione e la sottile, imbarazzante consapevolezza che bastavano un po’ di fili intrecciati per sconvolgere il suo umore, andò verso la cucina.
Il risultato di tutto fu un mostro di pan di spagna e crema. Lucia lo ripose sul bancone della cucina e da lì pareva osservarla, giudicandola.
Sei un cliché di donna.
Non ne toccò un pezzo. Non aveva fame. Capitava sempre più spesso ormai: cucinava quantità imbarazzanti di cibo, solo per sentire poi in fondo alla gola la nausea al pensiero di mangiare.
Così il mostro rimase là, appollaiato sulla cucina, fissandola mentre cenava.
E anche il mattino dopo, mentre rivoltava il suo microbo di casa per trovare la scarpa sinistra, il mostro la stava fissando. E a pranzo, dopo essere tornata dall’università, lui era ancora lì. Fissava e giudicava. Era come se tutta la melanconia di quella serata si fosse materializzata, diventando magicamente ingrediente dell’impasto. Lucia aprì il bidone della spazzatura pronta ad assassinare il mostro con un gesto drammatico, poi il pianto di un miliardo di bambini africani salì dalla sua coscienza occidentale.
Impacchettò il mostro nella carta stagnola e uscì di casa diretta a lavoro, sperando che la signora Bellini non fosse allergica alle noci.
Scrittori da strapazzo è un gruppo indipendente di appassionati di scrittura e narrativa. Abbiamo voglia di confrontarci, crescere e magari aprirci un nostro spazio nel sempre simpatico mondo dell’editoria. Ah, siamo anche ironici. Se vuoi unirti al gruppo di Trieste tutto quello che ci serve è un numero di carta di credito e il cognome di tua madre da nubile.
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